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Vanni Veronesi

22 Aprile 2016
Reading Time: 7 minutes
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Graziadio Isaia Ascoli

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Fondatore della glottologia in Italia, primo autore di studi scientifici sui dialetti, scopritore del ceppo ladino e franco-provenzale, inventore della categoria di ‘sostrato’ e dell’idea stessa di «Friuli Venezia Giulia», l’ebreo goriziano Graziadio Isaia Ascoli attraversò l’Ottocento da protagonista della cultura mondiale. Genio assoluto della scienza, immaginò un’Italia ben più progredita rispetto alle sue classi dirigenti. Lasciando ai posteri una eredità culturale straordinaria.

Alla ricerca di una patria

Nel 1848, mentre l’Europa è infiammata dalle rivoluzioni, una voce fuori dal coro si leva dalle rive dell’Isonzo: è quella di un diciannovenne ebreo di nome Graziadio Isaia Ascoli. Il suo opuscolo Gorizia italiana, tollerante, concorde. Verità e speranze nell’Austria del 1848 presenta una tesi lucidissima: la città è sì italiana, pur con forti minoranze slovene e germaniche, ma i goriziani stanno bene dove sono, in un’Austria-Ungheria che necessita solo di riforme. Posizioni di un colto autodidatta, nato nel ghetto, rimasto orfano di padre a soli due anni ma comunque avviato a una formazione di alto livello: accanto alla tipica educazione ebraica legata alle Scritture e al Talmud, sotto la guida di personalità eccelse come il rabbino Abraham Vita Reggio, suo figlio Isacco Samuele e il biblista Samuel David Luzzatto, Ascoli è infatti gravido di studi letterari, storici, filosofi ci e linguistici, influenzati dalla frequentazione con don Stefano Kocijancic, bibliotecario del Seminario di Gorizia, e resi manifesti nel saggio Sull’idioma friulano e sulla sua affinità colla lingua valacca, il suo primo lavoro filologico, pubblicato nel ’46 a soli diciassette anni.

Un genio del linguaggio

Sposatosi con l’ebrea triestina Fanny Beatrice Kohen, dalla quale avrà quattro fi gli, negli anni ’50 il giovane Graziadio è ormai destinato alla scienza: dopo un curioso manuale di Pasitelegrafia, nel quale propone un sistema universale da applicare al telegrafo elettrico, tra il ’54 e il ’55 pubblica i primi fascicoli della rivista Studi orientali e linguistici, dove riunisce commenti e traduzioni di testi indiani, appunti di ambito semitico, note di dialettologia e un aggiornamento sugli sviluppi della linguistica in Germania, la quale ricambia nominandolo membro della Società Orientale di Halle e Lipsia. Alla diffusa concezione naturalistica del linguaggio, descritto come un essere vivente che nasce, matura e muore quasi ‘biologicamente’, Ascoli contrappone il richiamo alle condizioni storiche nelle quali il linguaggio si è evoluto, svincolandolo da modelli di laboratorio e riportandolo alla sfera dell’umano.

Forte di questa impostazione, diventa il massimo studioso di indoeuropeo, protolingua madre di svariati idiomi successivi, non attestata in quanto tale ma ricostruibile attraverso il confronto fra latino, lingue italiche, greco, sanscrito, armeno, gotico, parlate scandinave e baltiche, paleo-slavo, celtico, idiomi anatolici e germanici. Lingue morte, eppure più vive che mai nella trattazione di Ascoli, alla pari di quelle che egli parla fluentemente (italiano, tedesco, sloveno, francese, ebraico) e dei suoi dialetti di conversazione domestica (friulano, istriano e triestino), come si coglie da queste righe:

Se [in sancrito, ndr] il nome per la divinità presenta una normale derivazione dalla radice splendere”, comune a quelli del giorno e del cielo (div “splendere”, div “cielo”, diva-divasa “giorno”, deva “dio”), non vi si può vedere l’ordinamento di una metafisica di mediocre antichità; giacché (prescindendo dai moderni parlari indiani) il diewa-s, “dio” dei lituani, e i consonanti vocaboli delle nazioni sorelle, il sub divo dei latini (“a cielo scoperto”), il dies, div, deiz, latino, armeno e armonico per “giorno”, attestano remotissima questa applicazione del pensiero ario-europeo (Studi orientali e linguistici, p. 250).

Questa autorevolezza gli vale, nel ’61, la cattedra di ‘Grammatica comparata e di lingue orientali’ all’Accademia scientifico-letteraria di Milano, in concomitanza con l’uscita dei suoi Studi critici; sarà il primo insegnamento di linguistica scientifico-comparativa (che Ascoli ribattezza ‘glottologia’) in un’Italia appena unificata dalla Spedizione dei Mille.

 Fra scienza e passione civile

L’arrivo a Milano coincide con l’ingresso nella rivista Il Politecnico di Carlo Cattaneo, ben felice di ospitare la Prolusione ai corsi di grammatica comparata e lingue orientali con cui Ascoli ha aperto l’anno accademico:

Nell’attuale mia missione sarebbe […] contro il mio assunto l’adoperarmi a sollevare i miei uditori da quelle fatiche intellettuali alle quali appunto son chiamato a condurli. I Veri già conquistati dalle indagini che a me sono affi date mi tocca esibir loro non per modo che ne provino compiacenze più o meno passeggere, ma per guisa che riescano seriamente ad appropriarseli e ad addestrarsi con ciò alle sudate ma beanti scoperte di nuovi Veri. D’altronde, il soave licore agli orli del vaso è oggidì  superfluo, anzi oltraggioso, alla colta gioventù italiana. Essa sente ormai tutta che in ogni verso fa mestieri di studi forti; gli artifizi agevolanti disdegna; anela a quei rattempramenti dell’ingegno che provengono dal lottare contro alle nobili difficoltà; sa che senza gravi stenti non si cavan fossili dalla miniera nostra, ma che son fossili palpitanti di vita umana (da Il Politecnico, vol. XII, 1862, p. 302).

La consonanza con Ippolito Nievo, che due anni prima ha sottolineato l’importanza della letteratura civile per un «popolo che sente e pensa», colloca Ascoli fra gli intellettuali che hanno una idea ambiziosa di cosa dovrebbe essere l’Italia, comprese le zone rimaste sotto il controllo austriaco che egli propone di ribattezzare in modo originale, richiamandosi alla romana Venetia et Histria, la X Regio creata da Augusto nel 7 d.C.:

Noi diremo Venezia Propria il territorio rinchiuso negli attuali confini amministrativi delle province venete [Veneto e Friuli, ndr]; diremo Venezia Tridentina o Retica – meglio Tridentina – quello che pende dalle Alpi Tridentine e può aver per capitale Trento; e Venezia Giulia sarà la provincia che tra la Venezia Propria e le Alpi Giulie ed il mare rinserra Gorizia, Trieste e l’Istria (dall’articolo Le Venezie pubblicato nel ’63 sul giornale Museo di famiglia).

Con lo stesso sguardo attento alle minoranze, Graziadio pubblica nel ’65 uno studio in tedesco sulla lingua degli zingari (Zigeunerisches), vera delizia per i glottologi in virtù della sua origine indiana contaminata con le tante influenze subite dal loro nomadismo.

Gli anni dei capolavori

Nel ’70 le Lezioni di fonologia comparata del sanscrito, del greco e del latino tracciano un bilancio di nove anni accademici a Milano e accompagnano il lettore in un viaggio quasi ‘iniziatico’ nei segreti delle lingue antiche: come quando, a pag. 185, si scopre che il triestino zima, ‘freddo’, è un prestito dall’antico bulgaro źima, il quale trova corrispondenza nel lituano žëma e addirittura nel sanscrito ž‘ jama, ‘inverno’. L’opera gli vale il premio dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi e lo consacra definitivamente fra i grandi, ma Ascoli non si ferma e nel ’73 dà alle stampe il primo numero  dell’Archivio Glottologico Italiano. Una rivista rivoluzionaria fin dal Proemio, dove egli interviene nel dibattito più importante dell’epoca: quale italiano adottare come lingua unitaria? Il fiorentino, proposto da Alessandro Manzoni, pur godendo di una grande tradizione letteraria è solo uno degli idiomi parlati in Italia e ha pari dignità degli altri, tanto più che la distinzione fra lingua e dialetto non ha nulla di scientifico, poiché pertiene solo alla sfera amministrativa e dunque è figlia di scelte politiche. Spetta quindi ai governi innalzare il livello culturale della nazione attraverso un potenziamento dell’istruzione a tutti i livelli, per poter arrivare a un italiano che, pur arricchito dai vari influssi locali, si delinei naturalmente come sovraregionale.

Sarà proprio l’Archivio glottologico italiano, tuttora attivo, a ospitare le più importanti scoperte di Ascoli: l’isolamento del gruppo franco-provenzale, l’individuazione del ceppo ladino, comprendente il friulano e le parlate romanze dei Grigioni e dell’Alto Adige, nonché lo studio delle glosse in antico irlandese ai manoscritti C. 301 inf. della Biblioteca Ambrosiana e Sang. 904 del monastero svizzero di San Gallo.

Gli ultimi anni

Nel frattempo l’uscita del secondo volume di Studi critici, nel ’77, e delle Iscrizioni inedite o mal note greche, latine, ebraiche di antichi sepolcri giudaici del Napolitano, tre anni dopo, segnano il suo ritorno agli antichi amori: l’indoeuropeo e l’ebraico, affrontato da un inedito punto di vista epigrafi co. È poi la volta dell’Encyclopaedia Britannica, dove Ascoli pubblica nell’’80 l’articolo L’Italia dialettale, prima classificazione scientifica dei dialetti italiani, mentre nella Lettera glottologica dell’’81 inventa la categoria di ‘sostrato’, intesa come lingua che, se pure scomparsa in un dato territorio, ha influenzato quella da cui è stata soppiantata: è il tipico caso dei suffissi –icco e –acco di molte città friulane, traccia di un’antica presenza celtica sopravvissuta alla stratificazione romana.

Solo verso la fine degli anni ’80 l’attività accademica di Ascoli rallenta: la nomina a membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e a Senatore del Regno lo costringono a impegni istituzionali che onora con passione. Schierato nell’area liberale ostile alle politiche di Crispi, è l’unico a difendere in Senato il professor Ettore Ciccotti, respinto a un concorso per diventare docente di ruolo in quanto socialista e infine costretto a emigrare in Svizzera. Da riformista, inoltre, Graziadio continua a credere che per valorizzare l’italianità del Friuli Venezia Giulia rimasto sotto l’Austria non ci sia bisogno di alcuna annessione, ma solo di una rinascita culturale a partire dalla creazione di una università italiana a Trieste. Gli eventi, di lì a poco, si muoveranno su ben altri binari, ma Ascoli avrà la fortuna di morire prima della Grande Guerra, il 21 gennaio 1907, a Milano. Puntando lo sguardo verso la sua Gorizia, ancora intatta prima della catastrofe.

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