Irina Coretti, aggiungere vita agli anni

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Da 12 anni dirige una realtà che coinvolge cittadini da trenta diversi comuni. «Offriamo opportunità di arricchimento culturale, ma anche occasioni per vincere la solitudine e sentirsi apprezzati e pronti a nuove esperienze»

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Irina Coretti

Irina Coretti

CERVIGNANO DEL FRIULI – Pacatezza, determinazione, visione. Tutte caratteristiche che Irina Coretti possiede e che in oltre un decennio alla guida dell’Università per la Terza età “Città di Cervignano e Bassa friulana” ha saputo trasmettere al vasto mondo che gravita attorno a una realtà di oltre 700 associati. Come lei stessa racconta in questa intervista.

Cosa significa presiedere una realtà come l’Università della Terza Età?

«Prima di tutto un grande impegno, sia da parte mia sia da parte delle splendide persone che, all’interno del Consiglio direttivo, da anni mi affiancano nella scelta degli obiettivi da raggiungere e dei mezzi per farlo. La sintonia e l’amicizia createsi nella lunga collaborazione alleviano il mio compito in modo indispensabile. Poi significa soddisfazione e in qualche modo un certo orgoglio: il buon andamento dell’associazione, il gradimento che riscuote, i sorrisi delle persone che la frequentano ci dicono che stiamo operando bene e ci rendono consapevoli di esserci prodigati al meglio. Aggiungo infine un ultimo termine a questa risposta: stupore. Trovo intorno a me sempre tanta disponibilità, più di quanta possa immaginare e mi riferisco ai docenti, ai collaboratori, alle associazioni e alle istituzioni con cui condividiamo il nostro percorso e ogni volta me ne stupisco piacevolmente».

Nel vostro caso, cosa si intende per “Terza Età”?

«Quando alla fine degli anni ’70 nell’università di Tolosa si sperimentò un nuovo modo di coinvolgere gli anziani nell’apprendimento e si comprese come la “pedagogia” della terza età dovesse essere inventata ex novo nell’ambito dell’educazione dell’adulto, ci si riferiva a persone che, concluso il loro periodo di lavoro, potevano essere disponibili a un altro tipo di vita che avrebbe forse riservato loro novità piacevoli e insperate soddisfazioni. I docenti sperimentatori, colpiti dallo straordinario entusiasmo degli anziani che partecipavano al progetto, dal loro desiderio di rimettersi in gioco, dalla voglia di superare la sfida di chi invecchia e viene poco considerato, vennero sollecitati dal motto del prof. Vellas di Tolosa che invitava ad “aggiungere vita  agli anni e non anni alla vita”, e crearono un elenco di obiettivi e di metodi che favorirono la fondazione della prima Ute in Francia. Il progetto venne raccolto da Torino, da Trento e nei primi anni ’80 arrivò nella nostra regione, a Udine in particolare, dove il gerontologo Paolo Naliato fece suo in prima persona il motto di Vellas».

Ai giorni nostri vale ancora così?

«Oggi parliamo tranquillamente di una quarta età se non di una quinta, in quanto la lunghezza della vita apre orizzonti allora insperati. E lo vediamo dal grande numero di anziani che frequentano la nostra università, il 75% in fascia di età fra i 60 e gli 80 anni con ben 78 ultra ottantenni: tutti desiderosi di sperimentare quanto da noi proposto, di aprirsi a nuove conoscenze, di partecipare a lezioni, incontri, visite, di avere occasioni di parlare, scambiare opinioni, condividere momenti di vita con altri, che non siano la famiglia».

Sul territorio regionale sono diverse le Università della Terza Età: qual è il filo conduttore che unisce i loro obiettivi?

«Gli obiettivi sono ben definiti dagli statuti: in sintesi si tratta di offrire occasioni di arricchimento personale dal punto di vista culturale in una sorta di educazione permanente, ma, e questo è un punto fondamentale, mai dimenticando l’aspetto sociale di chi partecipa ai nostri incontri, lezioni, attività. È molto importante offrire occasioni per vincere la solitudine, per parlare con altri, per condividere progetti e idee, per sentirsi apprezzati e pronti a nuove esperienze. Un’offerta di stimoli che coinvolgono positivamente tutti noi, corsisti e docenti».

Al giorno d’oggi la popolazione anziana è in costante aumento: le attività proposte dalle Ute che ruolo giocano in questo contesto sociale?

«Le Ute si rendono conto di essere un presidio importante sul territorio nella gestione di una fascia di persone che altrimenti sarebbero forse lasciate sole, in disparte o almeno si sentirebbero inutili. La collaborazione con le Amministrazioni locali è indispensabile per perseguire gli obiettivi prefissati: se il Comune di Cervignano non ci avesse sempre sorretto concedendoci la sede, altri locali e aiuti, non sarebbe stato possibile uno sviluppo tanto capillare sul territorio. Abbiamo sempre letto questo atteggiamento generoso come un segno di stima e riconoscimento».

Irina Coretti come si è avvicinata al mondo dell’Ute?

«Mi sono avvicinata all’Ute di Cervignano quando era ancora sezione dell’Ute di Udine, iscrivendomi a un corso di disegno, poi a uno di ginnastica e subito è giunta la proposta di una docenza in un nuovo corso pensato dalla allora coordinatrice Carla Aita: il Laboratorio della Memoria, che negli anni ha prodotto diversi libretti ricavati dalle numerose interviste ai corsisti. Sono poi entrata quasi naturalmente nel Direttivo e da dodici anni dirigo l’associazione».

Nel corso degli anni l’Università della Terza Età come si è evoluta?

«Molto è cambiato nei 36 anni di vita dell’Ute. Innanzitutto il nome essendo diventati Università per la Terza età “Città di Cervignano e Bassa friulana”; poi la sua veste statutaria, in quanto da dodici anni siamo autonomi da Udine e operiamo su un territorio più vasto con importanti aiuti dal Comune di Cervignano, da quello di Fiumicello Villa Vicentina, da Aquileia e da Ruda, i comuni più grandi da cui provengono numerosi corsisti. E poi è cambiato il numero dei soci iscritti, che sta tornando ai livelli pre pandemia (ora sono 709), e infine il numero dei corsi proposti, 116, mai così alto come quest’anno. Molte offerte di contenuti si sono ampliate, inoltre l’uso dei social ci permette di raggiungere sul cellulare i nostri iscritti per tutte le comunicazioni necessarie e d’altra parte loro possono frequentare corsi di approfondimento sulle nuove tecnologie per restare al passo con i tempi. Gli anni del Covid ci hanno insegnato molto in merito alla didattica a distanza e ne stiamo facendo tesoro per quanto riguarda la disinvoltura acquisita da molti docenti nel maneggiare programmi e metodi nuovi».

In una fase storica in cui l’associazionismo tende a faticare, la vostra è una realtà che appare in piena salute…

«Ospitiamo corsisti provenienti per poco meno di una metà dal comune di Cervignano e per l’altra metà da trenta comuni della Bassa e dell’Isontino. Leggiamo il nostro successo come un mix di buone offerte di corsi e occasioni, di ottimi docenti, di splendidi collaboratori, di buona organizzazione e, soprattutto, di una naturale capacità di accoglienza che ci contraddistingue e, oserei dire, è la nostra cifra. Non nego che alle spalle di tutto questo ci sia un grande lavoro e una forte collaborazione fra persone che operano in sintonia di obiettivi e metodi. Noi vogliamo bene alla nostra Ute e crediamo fortemente in ciò che riusciamo a realizzare. Tutti sono benvenuti in Ute e una volta entrati in questa grande “famiglia” si comprende bene lo spirito che anima ciascuno di noi: uno spirito di volontariato profondo che ci fa stare bene, proprio nel momento in cui offriamo agli altri occasioni di benessere».

Ci sono attività che avrebbe voluto concretizzare in ambito Ute ma che per il momento non sono ancora partite?

«Ancora diversi sogni giacciono nel nostro cassetto: uno o più corsi di cucina (ma la ricerca dei locali non è proprio facile), corsi di lavorazione del legno (cerchiamo degli esperti in materia) e ancora occasioni di conoscenza del territorio con visite e uscite, corsi che portino le persone fuori dalle aule».

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