Juliette Evola, voce della Mitteleuropa

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Nel 2001 ha scelto di trasferirsi dalla Cechia per vivere nel capoluogo giuliano. «L’origine è il nostro futuro. Trieste è come Praga: una città magica e letteraria». Nel 2025 uscirà il suo primo romanzo: “Le 12 civette”

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Scorcio di Trieste (ph. Pralea Vasile da Pixabay)

Abbiamo recentemente incontrato nella sua abitazione triestina Juliette Evola, la scrittrice praghese che sta per pubblicare un romanzo sul quale si stanno riversando molte aspettative, Le 12 civette, edito dai tipi di Polidoro la cui uscita è prevista per febbraio 2025.

Non sapevamo chi ci saremmo trovati di fronte, essendo un personaggio molto schivo di cui si trovano online poche attestazioni e che, come altri artisti e scrittori più illustri di lei (Pynchon, Salinger, Malick) non ama essere fotografata.

Juliette è una bella donna che parla un italiano quasi perfetto, senza particolari inflessioni, e “indossa” la sua età con piglio sbarazzino.

Il suo modo di fare è improntato a quella leggerezza che può avere solo chi nella vita ne ha viste e vissute tante. Ci ha ricevuto nel suo appartamento di Barcola, pieno di colori e con vista sul golfo.

Juliette Evola, anche il suo percorso biografico ha qualcosa di letterario: lei è nata a Praga ma è di origini italiane…

«Come direbbe Adorno, sono per una vita ascetica e un’arte voluttuosa, anche se in effetti un po’ di vicissitudini le ho avute anch’io. Mio padre era un operaio siciliano che durante l’ultima fase del Ventennio emigrò a Trieste dove visse per una decina d’anni e dove conobbe mia madre, prima di essere costretto a spostarsi in Cecoslovacchia per lavorare nello stabilimento chimico di Litvinov, a cento chilometri da Praga. Finita la guerra i miei si trasferirono nella capitale, nel quartiere di Malà Strana, dove nel 1951 sono nata io».

Juliette Evola

Com’era la Praga dell’epoca?

«Da studentessa adolescente ho vissuto in prima persona le speranze deluse della Primavera di Praga. Bazzicavo teatrini off e circoli artistici d’avanguardia, in particolare iniziai a frequentare intellettuali e cineasti del nuovo cinema d’animazione praghese a trazione surrealista – da Jan Švankmajer a Dariûs Kubíček che poi è diventato il mio inseparabile compagno – che proprio in quegli anni muoveva i suoi primi passi. Ero molto irrequieta ma ho vissuto una giovinezza felice. È un periodo glorioso che ricordo con piacere. Mio padre continuava a fare l’operaio a chiamata, mia madre andava a servizio, mia sorella era troppo piccola per lavorare. Io di giorno facevo la cameriera e di notte mi esibivo nei locali d’avanspettacolo. Quei posti equivoci che in quegli anni passavano per rivoluzionari e dove spesso mi ritrovavo sul palco nuda. Cose che succedono, soprattutto alle belle ragazze (ride, ndr). I soldi erano pochi e avevo fame di tutto. Quelli sì che erano anni balordi, ma fantastici. Non le sembrerà, ma sono una sopravvissuta».

Quali sono i suoi riferimenti letterari e quale il suo rapporto con la lingua italiana?

«Parlo correntemente ceco, tedesco e francese. Ma la lingua che preferisco da un punto di vista letterario è l’italiano. È la lingua di Dante, Petrarca e Slataper, oltre che dei miei genitori. In generale mi interessa molto l’attenzione al territorio e alle realtà locali e periferiche ed è uno dei motivi per cui da vent’anni a questa parte trascorro l’estate a Falcade, un ridente paesino dolomitico. Conoscendo ormai molto bene l’atmosfera sospesa e rarefatta di quei posti, durante l’anno pandemico mi è venuta l’idea di provare ad ambientarci una storia d’amore venata di tinte gialle, però con l’intenzione di riempirla di riferimenti esoterici e folclorici».

Del suo romanzo si sa solo che è un thriller ambientato nell’anno della pandemia…

«Sarà per il cognome che porto (ride di nuovo, ndr) e per la nascita praghese, ma magia e occulto sono da sempre le mie grandi passioni. Un po’ per caso e un po’ a causa di quello che stava succedendo, l’idea iniziale si è trasformata in qualcosa di più articolato, sulla falsariga – facendo le debite proporzioni – de Il nome della Rosa di Umberto Eco, Le Benevole di Jonathan Littell, L’isola della paura di Dennis Lehane e L’elenco telefonico di Atlantide del friulano Tullio Avoledo. Poi a me piace molto il cinema e penso di essere stata influenzata anche da registi come Lynch e Polanski. Ci aggiunga una spruzzatina di Bernhard e les jeux sont faits, rien ne va plus. Mi faccia poi dire che un ruolo fondamentale l’ha svolto il mio editor, il vulcanico Orazio Labbate (fondatore del gotico siciliano, ndr) al quale dovrò sempre una riconoscenza infinita».

Juliette Evola è solita trascorrere l’estate in una valle dolomitica dove ha ambientato il suo romanzo

Non il classico libro giallo da ombrellone pieno di colpi di scena, quindi?

«In parte sì ma con tanti riferimenti all’attualità. Ho tentato di inserire un concentrato simbolico delle dinamiche sociali, politiche, economiche, esistenziali e delle idiosincrasie tecnologiche della società contemporanea all’interno di un microcosmo molto circoscritto, rappresentato da un paesino di montagna, cercando però di rispettare le regole e le convenzioni del genere. Spero di esserci riuscita…»

Ha vissuto gran parte della sua vita a Praga, come mai la scelta di vivere a Trieste?

«Alla fine degli anni Sessanta ho conosciuto quello che poi sarebbe diventato mio marito, Dariûs Kubíček (1935-2016, ndr), un regista teatrale che aderiva al movimento Fluxus e con cui ho girato mezzo mondo prima di stabilirmi, per quei singolari casi del destino, proprio a Trieste all’inizio degli anni Duemila. Mi è sembrata una degna chiusura del cerchio. Trieste è stata una folgorazione: un golfo spettacolare pieno di barche e movimento, una delle piazze più grandi e belle d’Europa, mare e montagna nella stessa cornice, cultura e gioia di vivere a volontà, e infine quello stile asburgico che la rende così simile alla mia Praga, sebbene così diversa. Per forza che i triestini sono tanto allegri! È stato veramente come tornare a casa».

Lei è una insegnante elementare. Spesso gli scrittori sono identificati come sofisticati intellettuali o accademici universitari, se non addirittura come magistrati ed ex parlamentari. Essere una “semplice” maestra sarà un problema?

«Non è mai stato un problema. Negli anni Settanta coi soldi che avevo messo da parte con gli spettacoli mi sono iscritta all’università, ma è durato poco. Non ce la facevo proprio a sbarcare il lunario facendo lavoretti saltuari. Per di più dovevo pensare anche al mantenimento di mia sorella, visto che i miei genitori ormai non erano più in grado di lavorare. Le prospettive professionali di una donna nella Cecoslovacchia degli anni Settanta non erano certamente quelle di oggi. E così ho deciso di diventare una maestra. Non era la vita che avevo sognato ma me la sono fatta piacere: amo i bambini anche se – o forse perché – non ne ho mai avuti. Ho continuato a fare la maestra anche qui a Trieste, fino a quando non sono andata in pensione qualche anno fa. Riguardo al giudizio degli altri non me ne può fregare di meno. E se non ho il côté dello scrittore me ne farò una ragione».

Reinterpretazione visiva dell’artista Hitnes del tema de “Le 12 civette”, romanzo esoterico di Juliette Evola che verrà pubblicato da Polidoro a inizio 2025

Lei si definisce una femminista. Cosa vuol dire essere una femminista nel 2024?

«Le confesso che sono ormai molto disincantata e anche un po’ incattivita. Il femminismo dovrebbe porre in atto una critica radicale dell’esistente e invece è sempre più spesso un ipocrita strumento di dominio e affermazione di sé che finisce per sostenere e alimentare i modelli che vorrebbe stigmatizzare. Sono il potere e le discriminazioni economiche e sociali in tutte le loro declinazioni il vero nemico da combattere. Potere che certo non teme questo femminismo d’accatto, modaiolo e piccolo-borghese che risulta anzi splendidamente funzionale alle logiche e agli interessi delle élite economiche e politiche».

Lei ha un nome a dir poco peculiare: solo un’omonimia o è per caso imparentata con il fascista libertario e filosofo reazionario Julius Evola?

«Non mi pare rilevante…»

Approfondimenti online: www.le12civette.com

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