Dolce mastina

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Michele D'Urso

1 Settembre 2023
Reading Time: 4 minutes

Fin da piccola amava il pallone, l’assenza di squadre femminili di calcio spinsero il padre a dirottarla sul ciclismo. L’attrazione del campo fu però irresistibile…

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Il calcio è lo sport nazionale per antonomasia. Non si discute, però nell’ultimo periodo, vuoi perché altri sport sono cresciuti, vuoi per una eccessiva enfatizzazione del suo stesso ruolo, ha perso molto dell’antico lustro.

Tuttavia quando in TV c’è una partita di calcio femminile la guardo volentieri e mi chiedo come mai io la trovi più interessante di una maschile.

«Perché il calcio femminile ha quella genuinità che il settore maschile ha ormai perso».

A spiegare il motivo del mio interesse interviene Fiorenza Vescovi, oggi allenatrice con un passato da agonista. «Nel calcio femminile – aggiunge – si trova ancora la gioia che provavo io quando a Turriaco giocavo in cortile con i miei coetanei. Partite interminabili con alternanza di vinti e vincitori senza distinzione di sesso e tanto di ginocchia sbucciate».

Lei ha cominciato quindi in cortile?

«Penso ancora prima, dalla nascita credo; perché la passione per il pallone scorre in me da sempre. Il cortile era il luogo dove realizzarla, ma a quei tempi squadre femminili non ce ne erano, e fu così che mio papà, conoscendomi, dopo aver cercato in giro, alla fine mi disse che l’unica speranza di fare un po’ di agonismo era… darsi alla bicicletta» (Fiorenza ride, ed è una ironia gioviale, dolce, coinvolgente. Femminile, ndr).

E così ha fatto la ciclista?

«Ho esordito a 6 anni con le BMX, un paio di stagioni e poi sono passata alla strada, per 12 anni».

E poi calcio?

«No, a quell’età ero troppo ribelle. Sono andata a lavorare in fabbrica, ma appena mi hanno chiesto di andare a giocare a pallone ci sono andata e lì è iniziata la mia carriera di giocatrice amatoriale. Erano i tempi in cui in Friuli c’era in serie A femminile il Chiasellis, squadra che ha giocato parecchi anni nella massima serie, e in regione vivevamo un po’ di luce riflessa».

In quali squadre ha giocato?

«Ho militato nella Goriziana, poi nel Farra e infine nel Cervignano dove ho salutato l’agonismo e anche un legamento crociato del ginocchio. Nel frattempo avevo ottenuto il diploma con le scuole serali di Amministrazione Informatica e mi ero impiegata, perché all’epoca vivere di calcio femminile non si poteva. Fatta eccezione da pochissimo per la Serie A, non si può nemmeno oggi».

La carriera da allenatrice quando è iniziata?

«Nel 2017, un anno di svolta sportivamente parlando. Il signor Federico Tomasella mi chiese di organizzare il calcio femminile a Turriaco. Per questo ho preso il patentino di allenatore ‘UEFA C’».

Il suo paese natìo alla fine torna sempre fuori…

«Sono legatissima al mio paese, anche se per esigenze economiche abito a Fiumicello, ma appena posso, quotidianamente, torno in Bisiacarìa. A Turriaco avevamo organizzato bene il settore “Pulcine” e l’attività mi ha portato a ricevere, dalla mia ex compagna di squadra Cristina Fumis, all’epoca collaboratrice con la Triestina, la proposta di organizzare un settore di calcio femminile gestito da Triestina e Polisportiva San Marco, quella del Villaggio del Pescatore».

Come è andata?

«Abbiamo lavorato con soddisfazione, sviluppando tutte le diverse categorie. Siamo riusciti ad avere anche 22 “pulcine”, un numero molto consistente per il calcio femminile. Io poi ho ricevuto l’incarico di allenatrice della Triestina Nazionale Under 15».

Con viaggio a Coverciano…

«Sì, perché le nazionali sono legate alla Federazione. È stato bello».

Perché “è stato”?

«Perché il campionato è finito e quindi sono libera di andare in mountain bike».

Allora la passione per la bici le è rimasta?

«Assieme a quella per la libertà e a quella di viaggiare in moto».

Non penso le rimanga molto tempo libero per guardare le partite in TV.

«Difatti ne guardo poche, e per la maggior parte quelle maschili, dove la tecnica è più esasperata e si può sempre apprendere qualcosa di interessante. D’altronde che il livello femminile sia un po’ indietro rispetto all’altro sesso è lapalissiano. Però se gioca la Fiorentina non me ne perdo una; sono tifosissima dei viola».

Perché era attratta da Antognoni?

«No, da Batistuta» (Che figura: mi dimentico sempre dell’età che ho e che Fiorenza non appartiene alla mia generazione. Spero non si sia offesa e provo a recuperare con una precisazione, ndr).

Batistuta che fra l’altro è di origini friulane, in quanto i nonni paterni erano di Cormôns…

«Jera mej se el jera de Turiac» (Dolce sì, ma ironica e tenace…, ndr).

Lei in che ruolo giocava?

«Difensore centrale» (Ecco che si spiega la “dolce mastina”: difficile saltarla in dribbling, ndr).

Come vede il futuro di questo sport in Italia?

«L’avversione o perlomeno la diffidenza verso il calcio femminile è quasi scomparsa e quindi l’interesse intorno al nostro movimento cresce di giorno in giorno».

Da difensore ha fatto qualche gol?

«Sì, un paio. So cosa si prova».

Ha ricevuto già altre proposte per allenare?

«Vagamente; diciamo che per il momento l’estate mi vedrà impegnata con i miei tre gatti, la colonia felina che si trova vicino casa mia e le corse in bici e in moto con mio marito Andrea».

Segue anche lui il calcio?

«Per niente. Faceva Kick Boxing, però mi sostiene in tutto».

Sostenersi, sia in una coppia che in una squadra, è fondamentale. D’altronde, affrontare un difensore centrale, che per di più è cresciuta agonisticamente nei cortili di ‘Turiac’, non è uno scherzo.

 

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