L’eleganza della melodia

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Margherita Reguitti

29 Agosto 2023
Reading Time: 5 minutes

Nato a Pordenone da genitori napoletani, ha scelto la campagna friulana per vivere con la sua famiglia. Concertista di fama internazionale, è pronto a nuove sfide

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Vedere il mondo attraverso la musica era il suo sogno da bambino. Porre l’ascoltatore la centro della musica e dei suoni del suo pianoforte è l’obiettivo raggiunto con il suo ultimo lavoro discografico “Don’t  forget to fly”.

La melodia elegante e sempre misurata nell’intensità di lirismo e passione è la cifra che rende unica la musica di Remo Anzovino. Un melos mediterraneo che scaturisce dalle sue radici napoletane, intriso, in equilibrio creativo perfetto, di essenzialità di paesaggi, pulizia di espressione e sincerità di sentimenti, tessere della sua anima friulana.

Nato a Pordenone da genitori partenopei, il compositore ama la sua città dove vive con la famiglia e compone le sue musiche, sintesi di cultura classica e visione innovatrice e contemporanea. Ugualmente sente propria la cultura secolare, il temperamento e il patrimonio della “Città del Sole”.

«Ho avuto dei genitori eccezionali – esordisce con orgoglio Anzovino, in questi mesi in tour in Italia – che hanno saputo sia trasmettermi la cultura napoletana sia farmi crescere immerso nel contesto friulano dove si erano trasferiti per ragioni di lavoro. Sono il frutto dell’osmosi di due culture, sensibilità, sguardi, conoscenze e bellezze. Sono innamorato di questa terra dai paesaggi essenziali, dai valori saldi nella sincerità dei sentimenti mai ostentati ma sempre profondi. Per questo ritengo la mia storia personale e professionale significativa e interessante. Amo il Friuli e sono riamato dal pubblico e dalla gente».

Che cosa c’è del Friuli nella sua musica?

«Certamente il rigore nella pulizia della composizione che riflette la passione friulana per il lavoro. Così come la ricerca d’equilibrio essenziale della forma, di eleganza espressiva anche quando vengono toccate corde liriche emotive forti e profonde, senza mai essere “strappacuore”».

Quanto c’è di Napoli?

«L’innesto di un amalgama di sentimenti, emozioni e lirismo: un tutto che definirei melos mediterraneo. Dove il senso della melodia è la cifra che pubblico e critica mi riconoscono. La mia formazione classica parte dalla scuola rinascimentale di Gesualdo da Venosa e arriva al periodo d’oro quando Napoli era per importanza e dinamicità artistica la New York del Settecento. Vale ricordare che il padre di Mozart, dopo le lezioni di contrappunto a Bologna con padre Giovanni Battista Martini, portò il giovane Wolfgang proprio a Napoli. Dentro di me sento le commedie di Edoardo De Filippo e le opere di Roberto De Simone, fino ai ritmi e alle parole delle canzoni di Pino Daniele e ai film di Massimo Troisi».

Come mai ha deciso di continuare a vivere a Pordenone?

«La trovo una città piccola ma stimolante: ne è una riprova il numero di importanti musicisti che qui sono nati e cresciuti. Nella campagna pordenonese, dove vivo con mia moglie e i miei figli, trovo la pace e la concentrazione creativa per la scrittura. L’ultimo lavoro “Don’t forget to fly” è stato scritto proprio qui per essere poi registrato a Fiesole. Da qualche anno ho casa anche a Roma, ma è un’altra cosa, più funzionale al suo essere grande città dove le cose accadono, soprattutto per il cinema. Amo le atmosfere e la cultura contadine, così come di Udine apprezzo la vivacità intellettuale, il suo essere propulsiva nell’impresa. Mi piace anche la spontaneità d’entusiasmo per le nuove esperienze».

Un esempio?

«Il successo di 8 anni fa del concerto “Risveglio” in piazza San Giacomo, un’esperienza all’epoca unica. Come avvenuto anche quest’anno nel concerto all’alba nel parco di Villa Manin, seduto al pianoforte con il pubblico, immersi nella dimensione del fantastico e dell’onirico, superando la paura dell’umano di volare. Le note come evocazione di immagini dinamiche del reale: una seconda volta per Icaro che raggiunge il suo sogno».

Il disco, uscito lo scorso maggio, per settimane è stato il più venduto in Italia. È il suo primo album per piano solo, realizzato con la nuova tecnologia spaziale del suono.

«Ci sta dando molte soddisfazioni e sarà bello condividere l’emozione del volo, dello slancio nel vuoto evocato dalle note. Sarà per me, e spero anche per il pubblico, un’esperienza immersiva totale. In questi giorni inoltre ho consegnato al mio editore il testo per la pubblicazione dell’album. Mi piace pensare che la gente non solo ascolti ma anche suoni la mia musica».

Quest’anno ricorrono i 60 anni dalla tragedia del Vajont. Nel 2013 la sua “Suite for Vajont” per pianoforte e coro maschile fu il brano ufficiale dell’omonima Fondazione e ricevette il premio dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica con la motivazione “composizione forte e travolgente che mostra la grande sensibilità umana e artistica che solo un figlio di quella terra avrebbe potuto comporre”.

«Come per i 50 anni dalla tragedia, costruiremo qualcosa di pregnante per continuare a ricordare e mai dimenticare. Ci stiamo lavorando e sarà un momento importante anche di riflessione».

Qual è il segreto della sua musica?

«Il suo concetto visivo che fu la spinta innovativa iniziale della mia carriera, quando le sequenze dei film muti erano la colonna visiva della scrittura musicale. Ma anche l’amore e una conoscenza profonda del cinema, del teatro e della televisione per le quali scrivo. A oggi sono circa 25 le colonne sonore da me composte (fra i tanti premi ricordiamo il nastro d’Argento per il film “Hitler contro Picasso e gli altri” con Tony Servillo, n.d.r.). Un’attività che mi piace ed emoziona, infatti ho appena letto la sceneggiatura di un film importante ambientato negli anni del nazismo per il quale firmerò la colonna sonora».

Cosa le piace di sé?

«Non saprei: forse essere un eterno studente, avere sempre il desiderio di imparare qualcosa di nuovo».

Quanto dura la sua giornata?

«Sei ore di sonno pieno e tranquillo sono sufficienti, mi alzo presto e fra le prime cose che faccio mi metto al pianoforte e suono un pezzo di classica, preferibilmente Bach che considero il grande nonno. Un suo preludio o fuga mi fanno un effetto di chiarezza e pienezza, meglio di una seduta psicologica. Sento il sublime della matematica applicata alla musica. Del resto la sua musica era scritta per Dio».

Ha un approccio disciplinato nel suo lavoro?

«Molto. Serve metodo e rigore per portare avanti due carriere tanto diverse da non toccarsi. Da una parte quella di compositore e autore per il cinema, dall’altra il mestiere di concertista-interprete che per me significa creare un legame fatto di suoni fra palco e pubblico».

Ci confessi un suo desiderio folle.

«Quando mi attrae qualcosa, nonostante il mio rigore professionale mi accendo di un bel fuocherello. Il mio desiderio più intenso, non so se folle, è continuare a diffondere bellezza scrivendo musica in grado di dare al pubblico strumenti nuovi per immaginare. Continuare a percorrere strade oltre le convenzioni e trasgressioni che portino a far vibrare le corde segrete che emozionano le persone. Dopo aver composto la sinfonia per coro e orchestra della Magna Grecia, ispirata alla Cattedrale di Gio Ponti a Taranto, che considero musica assoluta, il mio obiettivo è alzare ulteriormente l’asticella e cimentami con la scrittura di un’opera lirica o forse un balletto».

Quale sarà il tema?

«Non l’ho ancora definito, così come non ho ancora la visione del tempo storico di ambientazione. Questo perché il cuore del mio lavoro sarà la sua forza di parlare ai contemporanei, magari da un tempo diverso dal presente. In fondo “La Traviata”, capolavoro del genere melodramma, emoziona oggi come ieri, anche se ambientata due secoli prima».

 

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