Verso la fine del mondo

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Michele Tomaselli

13 Novembre 2014
Reading Time: 9 minutes
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Il Cammino di Santiago

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“Quando si va verso un obiettivo, è molto importante prestare attenzione al Cammino. È il Cammino che ci insegna sempre la maniera migliore di arrivare, e ci arricchisce mentre lo percorriamo. Bisogna saper trarre da quello che siamo abituati a guardare tutti i giorni i segreti, che a causa della routine, non riusciamo a vedere.”

Il cammino di Santiago, Paulo Coelho

 

Come pellegrino ho concluso l’ultima tappa del Cammino di Santiago: ho attraversato i Pirenei, la Meseta, la Navarra, l’Asturia, la Galizia. Ho potuto ammirare le innumerevoli meraviglie di questo percorso che il Consiglio Europeo ha dichiarato “itinerario culturale europeo” per l’importanza culturale e religiosa. Per vivere questo viaggio è necessario prendere tempo, stare dentro il Cammino, con i suoi ritmi e i suoi riti, condividere la fatica e la meraviglia con i compagni e tutte le altre persone che ho conosciuto, ognuna con la sua storia, ma tutte con un’unica meta, Santiago de Compostela. Fatiche, vesciche, tendiniti e disagi non ci hanno fermato, alla fine è stato grande l’entusiasmo di entrare a Santiago e di assistere alla celebrazione del botafumeiro nella Cattedrale.

Non sono stato deluso dal Cammino: una volta in marcia, ho scoperto la forza per compierlo, nonostante la fatica che, ogni giorno, mi perseguitava, passo dopo passo, tappa dopo tappa, verso la meta finale, quella cattedrale di Santiago che, con le sue architetture, mi ha permesso di aprirmi verso Dio. I dolori sono stati ripagati dalle gioie del viaggio e dalla serenità dei pellegrini che incontravo e, casomai avessi avuto bisogno di curarmi i piedi, le farmacie qui sono molto diffuse e frequentate.

Sono passati esattamente otto anni dal mio primo viaggio in Spagna sul Cammino di  Santiago.  Lo “Strano Cammino di Santiago”, come lo definisce lo scrittore brasiliano Paulo Coelho nel suo libro “Diario de un Mago”; un fenomeno sociale, culturale e religioso, già sviluppato nel Medioevo, che negli ultimi anni ha destato grande interesse nella cultura contemporanea. Uno specchio fedele in cui ciascun pellegrino riflette e medita sui temi che maggiormente gli stanno a cuore.

Un bagaglio culturale millenario che unisce molteplici ed eterogenee discipline: storia, geografia, letteratura, misticismo, leggende e religione, che trova la sua espressione più significativa nell’aspetto interculturale, perché qui i diversi popoli mettono a confronto le proprie culture, religioni e tradizioni.

Un bell’itinerario da percorrere a piedi, in bicicletta, a cavallo, per gli amanti della natura e dello sport. Se ne parla continuamente nei giornali e nelle televisioni, è meta di pellegrinaggio di molti credenti, e può essere una particolarissima destinazione di vacanza. Vi è l’impressione che sia diventato un viaggio di moda, un evento mondano, viste le migliaia di persone che ogni anno raggiungono, da tutto il mondo, il capoluogo della Galizia, per rendere omaggio alle reliquie dell’Apostolo San Giacomo.

Nella tradizione cristiana, l’interesse generato dalla città di Compostela (dal latino Campus Stellae) nasce dalle notizie che iniziarono a circolare, già a partire dal VII sec., sulla presunta presenza dell’apostolo Giacomo il Maggiore in Galizia,  per l’annunciazione del Vangelo. 

Giacomo, figlio di Zebedeo e di Salome, proveniva da Cafarnao e apparteneva a una modesta famiglia di pescatori. Fu uno degli Apostoli più importanti, in quanto godeva di una particolare confidenza con Gesù, assieme al fratello Giovanni e a Pietro. Inoltre, secondo i Vangeli sinottici, assistette alla Trasfigurazione, cioè alla manifestazione visibile della divinità del Maestro. Si tratta di un evento cardine del mistero trinitario, con il quale la voce del Padre rivela l’identità di Gesù: “Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo”, Gesù manifestava la sua divinità e lo Spirito Santo, sotto forma di nuvola, avvolgeva il corpo di Cristo.

Dopo la morte del Messia, Giacomo costituì parte dell’antica aggregazione della Chiesa di Gerusalemme, e poi come missionario si spinse forse in Europa, da cui però fece ritorno a Gerusalemme. Fu infatti fatto “uccidere di spada”, come raccontano gli Atti degli Apostoli, da Erode Agrippa I, presumibilmente nel 42 d.C. (la data della morte è dubbia), divenendo così il primo Apostolo martire. Secondo la leggenda, i suoi discepoli trafugarono il corpo dalla Palestina e lo imbarcarono su una nave, che raggiunse Iria Flavia (la baia di Arousa in Spagna), da qui fu trasportato dagli angeli nei cieli, fino al bosco “Liberum Domum” (la futura Santiago de Compostela), per essere seppellito in un’arca marmorea. Passarono molti secoli e la Spagna sembrò dimenticare la saga di San Giacomo, finché all’inizio dell’VIII secolo, quando gli arabi invasero la penisola iberica, conquistandola quasi tutta, si verificarono diversi e misteriosi avvenimenti legati all’apparizione del Santo.

Uno fra questi si sarebbe verificato nei primi anni del IX secolo (813 secondo la Leggenda Aurea), quando il vescovo di Iria, Teodomiro, avvisato dall’eremita Pelayo della presenza di alcune strane luci sul monte Libradón, scoprì il sepolcro di San Giacomo. In seguito, il re asturiano Alfonso II fece edificare una prima chiesa in onore del santo, dando origine a Santiago (da Sant-Yago) de Compostela, la terza città santa della cristianità, dopo Gerusalemme e Roma. Il sepolcro si trasformò in una “Mecca Cristiana”, un nuovo luogo della devozione, contro la minaccia musulmana.

San Giacomo non era percepito soltanto come il “Santo protettore”, bensì come il guerriero che, vestito di bianco in sella a un cavallo, con una spada fiammeggiante, fermava l’avanzata islamica e offriva la salvezza dell’anima e la gloria dei cieli. Dopo la riconquista della penisola iberica per mano cristiana, (ad eccezione di Granada), iniziava, nel sec. XI, il viaggio di migliaia di pellegrini verso Santiago de Compostela. In pochi secoli sorsero imponenti e spettacolari  cattedrali, opere d’arte e monumenti: Santiago era così diventata il centro europeo della cattolicità.

Per arrivarci dalla Francia era necessario compiere il lunghissimo Cammino francese, un groviglio di strade e di sentieri impervi, anche insidiati da lupi, che si estendevano nella Spagna settentrionale per circa 780 chilometri. Un viaggio allora improponibile, che richiedeva l’attraversamento dei Pirenei e della Meseta, lungo i regni di Navarra, Rioja, Castilla, Leon ed infine la Galizia. In realtà i pellegrini non si fermavano a Santiago, ma a Finisterrae o a Muxia, sul litorale atlantico, allora credute la fine del mondo. Per secoli e secoli continuarono a giungere migliaia di pellegrini, finché dopo il XVI sec. la rotta jacobea e gli altri pellegrinaggi d’Europa caddero in una profonda crisi: Lutero aveva bollato i pellegrinaggi come atti di idolatria.

Nuovo interesse al Cammino fu determinato in tempi recenti da diversi fattori: nel 1884 Papa Leone XIII confermò nella bolla “Deus Omnipotens” l’autenticità dei resti di San Giacomo; nel 1982 Papa Giovanni Paolo II effettuò la prima visita a Santiago e, infine, nel 1985 l’UNESCO dichiarò la Rotta Jacobea Patrimonio Universale dell’Umanità.

 

Il Cammino nel XXI secolo

Il 23 ottobre 1987 Il Consiglio d’Europa ha riconosciuto l’importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano l’Europa per arrivare a Santiago de Compostela, dichiarando la via di Santiago “itinerario culturale europeo”. Oggi è frequentato da un numero elevatissimo di pellegrini (nel 2013 le presenze attestate sui vari percorsi hanno toccato quota 215 mila).

Ci sono diverse strade che portano a Santiago: la più classica è il Cammino francese che, iniziando da SaintJeanPied de Port sui Pirenei, conduce in circa 800 km a Santiago. Il pellegrino può comunque scegliere di partire da qualsiasi altra località, ricordandosi però che per ottenere la Compostela (il diploma in latino che attesta l’avvenuto pellegrinaggio) sarà necessario dimostrare di aver percorso almeno gli ultimi 100 Km a piedi, (200 km in bicicletta e 300 km a cavallo) esibendo la Credencial, il caratteristico documento che raccoglie i sellos (timbri) durante il Cammino. La mochila (zaino) come dicono gli spagnoli, sarà la nostra casa per tutto il cammino. Meno pesante sarà, e meglio vivremo il nostro Cammino.

Nelle righe che seguono, ecco il diario di viaggio della parte conclusiva del mio Cammino: gli ultimì 180 chilometri.

 

VILLAFRANCA – O’ CEBREIRO (Km 31).  Salutato l’ottimo Jato dell’ostello Ave Fenix che mi ha accolto per la notte, proseguo lungo una monotona strada asfaltata per venti chilometri. Nei successivi nove chilometri passo da 700 a 1.300 metri di altitudine. È una salita che fa paura! Una delle più dure del viaggio. Arrivato in cima, mi sembra di trovarmi in un villaggio delle Ebridi, con piccole case di pietra e tetti di paglia: si tratta delle pallozas di origine preromanica che sorgono intorno a una chiesa medioevale legata a un miracolo del XIV secolo. Solo una volta giunti in vetta al Cebreiro (1.330 metri) ci si rende conto che Santiago dista ancora 150 chilometri. Da qui si ha l’occasione di ammirare la verdissima Galizia. Lungo il percorso conosco Massimo di Cividale del Friuli che, al suo terzo Cammino, si è ripromesso, dopo la morte della moglie, di gettare le fedi nuziali nell’Oceano Atlantico.

O’ CEBREIRO – TRIACASTELA (km 21). Nella primissima mattinata parto dal grazioso albergo, in passato un convento. Prendo una pista all’uscita del paese, seguo la conchiglia simbolo del Cammino e raggiungo l’Alto do Poio. La tappa è davvero bella e piacevole senza grosse difficoltà: alterna fitti boschi, pascoli e appezzamenti agricoli, consetendo di vedere dall’alto la Galizia con i suoi paesaggi bucolici e i caratteristici villaggi in pietra.

TRIACASTELA – SARRIA (Km 18,5). Da Triacastela seguo l’antica e remota valle di San Xil, attraversando villaggi sperduti e boschi di querce. È un’atmosfera agreste di rara bellezza che, ad un certo punto, s’impreziosisce ancora di più quando cala la nebbia. E fra le brume ho l’impressione che possa spuntare qualche elfo.  Attraverso un percorso misto di asfalto e terra, raggiungo l’Alto di Riocabo (905 m.), sentendo dappertutto l’odore di letame. È in questa atmosfera che riesco a dimenticare  il forte dolore al tendine e concludere la tappa.

SARRIA – PORTOMARIN  (km 22,5). Comincio la tappa degli ultimi 100 chilometri. L’inizio è caotico perché il numero di pellegrini è considerevole, ma poi via via si attenua sempre più. Incomincio a godere di panorami emozionanti. Passo per Barbadelo, dove ammiro la chiesa romanica di Santiago del XII sec., e osservo le caratteristiche architetture in pietra con i granai sopraelevati. Incontro molta gente che mi saluta sempre con un ola e un buen camino. Infine intravedo Portomarín, una cittadina ricostruita sopra un bacino artificiale. Si entra in città da una ripidissima scalinata. La città vecchia e l’antico ponte sono stati inabissati nelle acque del lago mentre la Chiesa di San Nicolas è stata trasportata e rimontata, pezzo per pezzo.

PORTOMARIN – PALAS DE REI (km 24). Riprendo il Cammino, che si snoda tra numerosi borghi. Oltrepasso Castromaior, Hospital de la Cruz, Ventas de Narón, e Lameiros, dove mi fermo per visitare la Chiesetta di San Marco. Procedo verso Ligonde, paese in cui soggiornarono nel 1520 Carlo V e Filippo II e dove, a ricordo, è stata posizionata una croce di pietra. Continuo verso l’Alto do Rosario fino a giungere a Palas de Rei.

PALAS DE REI – ARZUA  (km 30). Stamattina il tempo è decisamente bello. Lungo il Cammino apprezzo l’antico tracciato medioevale di Leboreiro, e, poco dopo, a Furelos attraverso il ponte velho (vecchio in gagliego) medievale del secolo XIV, con quattro arcate. Poco dopo arrivo a  Melide, che unisce il Cammino francese con gli altri provenienti da Oviedo. Qui apprezzo una croce in pietra del XIV secolo, una delle più antiche in Galizia. Ancora quindici chilometri fra boschi e villaggi agricoli per arrivare ad Arzùa.

ARZUA – PEDROUZO (ARCA) (km 19). Il percorso di oggi è breve, anche se i problemi fisici mi logorano. La tappa procede in gran parte tra boschi di eucalipto: passo per  l’Alto de Santa Irene e, infine, arrivo ad Arca. Qui degusto il polpo alla gallega.

PEDROUZO (ARCA) – SANTIAGO DE COMPOSTELA (km 22). Comincio molto presto l’ultima tappa del Cammino. Fuori fa ancora buio, ma voglio arrivare entro mezzogiorno a Santiago, prima che inizi la messa del pellegrino. Supero le località di Amenal, San Paio e Lavacolla. Il percorso, dopo aver costeggiato l’aeroporto di Santiago, raggiunge il Monte de Gozo, reso celebre dal discusso monumento a Giovanni Paolo II, per scendere subito dopo, negli ultimi quattro chilometri, alla capitale jacobea. E finalmente appare la cattedrale di Santiago de Compostela. È imponente. Prima di entrare, vado con la mia Credencial all’Oficina del peregrino, appena dietro la cattedrale. È lì che, in coda assieme agli altri compañeros, aspetto il mio turno per ricevere la Compostela. Mostro con orgoglio i timbri ottenuti sulla credencial ed eccola arrivare:  la testimonianza del percorso che ho compiuto. Mi dirigo alla Messa del pellegrino. La tradizione invita i pellegrini a seguire il rituale dell’abbraccio al Santo. Sono fortunato, perché, durante la celebrazione avrò modo di vedere il cerimoniere del botafumeiro, il pesante incensiere a pendolo usato nel passato per coprire gli odori dei pellegrini.

SANTIAGO DE COMPOSTELA – FINISTERRE. Il Cammino è finito, ma non il mio viaggio. Proseguo con una macchina a noleggio verso Finisterre, sulla costa galiziana, per concludere similarmente agli antichi la peregrinazione sulle coste della Morte. I pellegrini di allora, come me in questo momento, si recavano a Finisterre per raccogliere le conchiglie, dette cappe sante, a testimonianza del loro arrivo fino a queste terre. Luoghi che per ciascuno di loro rappresentavano una cosa sola: la fine del mondo.

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