Un’arte democratica

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Margherita Reguitti

4 Gennaio 2018
Reading Time: 4 minutes

Elio Ciol

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C’è un raro pudore e un’umiltà dei grandi nella relazione che il maestro Elio Ciol instaura con chi guarda i suoi lavori. Opere che trasmettono ricerca di serenità e spiritualità, cura del dettaglio, avvolto nel silenzio di uno scatto d’istinto o costruito. Un dono colto e fissato per essere generosamente condiviso.

I suoi lavori trascendono il segno, suggerendo melodie musicali. Le sequenze delle lagune gradesi, dei paesaggi illuminati dalla neve, degli incastri di pietre antiche, dei paesaggi dai piani sequenza netti, hanno atmosfere e ritmi sonori: uno spartito di immagini dell’anima, oltre il tempo, che rende il segno armonia di toni e colori, di bassi e di alti. Sequenza di linee contrastanti, composizioni di melodie-immagini di gamme sonore costituite dalle note basse dei neri e dei grigi scuri, in un crescendo di note alte e cristalline di luce.

«Certo è una questione di lettura», commenta il maestro, affabile e disponibile guida nella recente mostra delle sue opere presenti nelle collezioni fotografiche internazionali, allestita nell’ex Sala Consiliare del Comune di Casarsa della Delizia, dove vive e lavora da sempre.

«La fotografia – spiega – è un’arte democratica: ognuno può leggerla secondo le sue possibilità e preparazione. È un’arte della quotidianità, per questo non intimorisce, ma è accessibile a tutti. Per me è importante capire l’effetto di un mio scatto sulle persone. Ecco perché mi piacerebbe poter intervistare il visitatore. A ognuno potrei così chiedere quali emozioni, pensieri, riflessioni il mio lavoro suscita e trasmette. Questi sarebbero elementi importanti per me».

Le opere che sono state esposte nella mostra di Casarsa fanno parte di un’importante donazione di oltre 500 immagini del maestro alla città. «Il gesto del dono – confida – è importante: bisogna dare per avere, per fare che le cose avvengano. Casarsa non aveva uno spazio espositivo per la fotografia: ho deciso di fare una donazione importante, lavori già incorniciati, con la condizione che vengano esposti e questo spazio viva». Figlio d’arte, il maestro Ciol è cresciuto in camera oscura e davanti alla macchina fotografica. Il padre e lo zio, nei primi anni ’20 del secolo scorso, aprirono lo studio accanto alla casa di Pier Paolo Pasolini.

Un’attività che ora è gestita assieme al figlio Stefano, valente allievo. «Anche io – prosegue il maestro – ho imparato da mio padre a regolare le luci e a stampare. Oggi il mestiere di fotografo non esiste più. Tutti fanno scatti con molta facilità, senza contemplazione, senza pensare. Ma chissà che fine fanno tutti questi scatti? Io non ho regole, ogni fotografia ha la sua storia, alcune sono regali: vedo e d’istinto scatto, altre foto invece richiedono tempo di contemplazione. Rispetto al passato oggi vi è più attenzione alle piccole cose, al recupero della spiritualità che emanano le pietre e i luoghi. Vi è attenzione a salvare una visione e a metterne in rilievo dei particolari. Una fotografia poi cambia e racconta cose diverse, anche a me».

Grande viaggiatore, l’opera di Ciol è testimonianza e memoria: «Ho viaggiato molto; non solo in Europa e in Italia ma anche in Yemen, Siberia, Libia, Uzbekistan, India, Nepal, Egitto e Siria. In alcuni casi le mie fotografie sono ciò che rimane di monumenti e siti archeologici oggi distrutti». Un esempio su tutti; le immagini di Palmira del 1996.

Nel 1963 Ciol collaborò come fotografo di scena con padre David Maria Turoldo alla realizzazione di “Gli ultimi”, documentario sulla vita contadina del Friuli degli anni Trenta. «Fu un’esperienza importante – ricorda Ciol – che avrei voluto proseguire, ma mi resi conto che il cinema era un lavoro di gruppo; non mi avrebbe permesso di continuare a lavorare in studio. Negli anni successivi, ad Assisi ho realizzato dei cortometraggi per ragazzi e oggi, con mio figlio Stefano, abbiamo l’idea di realizzare un progetto di immagini in movimento, un linguaggio che certamente aiuta chi guarda a leggere l’immagine. Sto studiando i movimenti di macchina e le inquadrature».

Nella piccola Casarsa Ciol ebbe un rapporto d’amicizia con Pasolini: «Lo conoscevo fin da ragazzo, andavo spesso a giocare con lui e il cugino Nico Naldini, mio coetaneo (entrambi classe 1929, ndr). Un giorno venne in studio e chiese a mio padre che andassi con la macchina fotografica all’Academiuta di lenga furlana. Fu la mia prima foto importante, ma all’epoca non lo sapevo. Non ho mai forzato il nostro rapporto. Lo incontrai per caso nel 1967 ad Assisi, nella sede della Civitate cristiana. Mi vide e subito chiese che cosa ci facessi là. Gli risposi che dal 1955 ero di casa, avendo anche sposato un’assisana. Lui era in città per presentare l’idea de “Il Vangelo secondo Matteo”».

Nonostante la passione per i viaggi il maestro non ha mai voluto lasciare Casarsa: «Oggi tutto è cambiato e del Friuli di un tempo restano i ricordi. Sono però ottimista; con i ricordi resistono anche i valori. Capisco i problemi di oggi, la fretta, le preoccupazioni per il futuro incerto, ma credo che fino a quando sorge il sole c’è sempre una possibilità, per la quale ringrazio Dio ogni giorno».

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