Pierpaolo Mittica, il fotografo degli ultimi

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Le sue immagini danno voce ai paria del mondo, persone prive di volto e diritti. «Ho sempre messo al primo posto la libertà di scegliere i temi sociali dei miei scatti». Come il suo ultimo straordinario reportage da Chernobyl: «Un racconto di umanità e di amore eterno per una terra persa per sempre»

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Pierpaolo Mittica

La fotografia per Pierpaolo Mittica è lo strumento per narrare storie sepolte, crimini perpetrati ai danni del pianeta.

Un tramite per raccontare la vita di tanti ultimi, paria del mondo: lo sfruttamento da parte dei Paesi ricchi di una massa di senza voce, privi di volto e diritti.

Il suo motto “I photograph because I need to photograph – fotografo perché ho il bisogno di fotografare” è mediato dal rapporto con quello che lui definisce essere stato il suo maestro di fotografia e mentore di vita, Walter Rosenblum (1919-2006, fotogiornalista durante il grande sbarco D Day in Normandia nel 1944 e fra i primi a documentare l’ingresso americano nel campo di concentramento di Dachau).

«Ho conosciuto Walter e sua moglie Naomi a Spilimbergo – ricorda Mittica – dove ho seguito le sue lezioni. Era il 1997 e da subito è nata una bella amicizia con entrambi. Per me è stato un maestro spirituale. Un mentore di tecnica e di vita che mi ha trasmesso il suo modo di vivere in rapporto con ciò che ci circonda e fatto partecipe della sua etica nello sguardo verso l’altro, oltre la materialità. In questo senso utilizzo il termine spirituale, oltre la sfera religiosa, ma nella sua accezione di essenza civile per essere testimone e narratore».

La foresta brucia dietro la città fantasma di Pripyat. Il 27 aprile 2015 oltre 113 Km2 di vegetazione contaminata furono interessati da un grande incendio nella zona di esclusione di Chernobyl, spargendo nell’aria tonnellate di particelle radioattive (ph. P. Mittica)

I reportage del fotografo friulano da Chernobyl sono una delle testimonianze più dirette e vere a livello internazionale, paesaggi, cieli e genti che Mittica conosce, protagonisti nelle sue fotografie da oltre 20 anni, e dal 2012 nei video realizzati con l’amico regista Alessandro Tesei.

Il mondo così conosce storie altrimenti destinate a restare sotterranee, attraverso le pagine di National Geographic America, Photomagazine, Daylight Magazine, Days Japan International, The Telegraph, The Guardian e in Italia su Internazionale, l’Espresso, Panorama, Repubblica, Il Sole 24 ore e Corriere della sera. Queste infatti sono alcune delle testate che pubblicano il suo lavoro.

Cosa significa fotografare per necessità?

«Walter Rosenblum ripeteva sempre, e io concordo pienamente, che la fotografia nasce da un bisogno, da una necessità e una spinta che scaturiscono dall’interno del nostro essere. Attorno a noi ci sono così tante cose che ci ispirano e commuovono, ci fanno incazzare. Vediamo tante ingiustizie, situazioni nelle quali i più deboli sono sopraffatti. Quello che sento dentro è l’urgenza e la necessita di raccontare. La fotografia è un mezzo come la scrittura o altre forme espressive. Dall’inizio della mia attività ho sempre affrontato argomenti poco conosciuti al grande pubblico e ai media mainstream. Storie forse destinate a restare nascoste. In modo particolare i temi ambientali e le conseguenze dell’esplosione del 1986 del reattore nucleare a Chernobyl, in Ucraina». Recentemente il CRAF, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo, ha ospitato la mostra “Chernobyl”.

Esposte 76 fotografie scattate fra il 2014 e il 2019, divise in 8 capitoli, frutto degli ultimi sei anni di lavoro in quel territorio devastato. Immagini, raccolte anche in una pubblicazione, che raccontano la vita all’interno e all’esterno della zona di esclusione e le conseguenze del disastro nucleare sulle persone e sull’ambiente.

Maria Semenyuk nel 2015 nel villaggio contaminato di Paryshev, zona di esclusione di Chernobyl. Maria è deceduta l’anno seguente all’età di 78 anni (ph. P. Mittica)

Un racconto dell’immane violenza perpetrata contro la popolazione ucraina durante e dopo questa tragedia.

Un racconto di umanità e di amore eterno per una terra persa per sempre.

«Sono orgoglioso – sottolinea – di aver aperto una strada per far conoscere temi per me fondamentali: la violenza contro la terra, l’avvelenamento nucleare di vaste aree del pianeta dove vivono persone che non hanno scelta, non possono scappare, vivono sapendo di non avere futuro».

Mittica conosce bene la zona di esclusione dell’Ucraina dove i pochi anziani che ancora vivevano nei villaggi abbandonati hanno dovuto spostarsi, alcuni deportati in Russia e Bielorussia. Chi è testardamente rimasto vive isolato, contando sulle poche forze rimaste ed esigui aiuti umanitari. «Nonostante sia uno dei luoghi più contaminati della terra – spiega Mittica – la zona morta di Chernobyl era piena di vita prima della guerra. Oggi è diventata davvero area di esclusione totale al confine con la Bielorussia, ogni accesso esterno è vietato».

Pierpaolo Mittica è stato uno degli ultimi testimoni. Sono oltre 60 i premi internazionali che gli sono stati assegnati. Ultimo in ordine di tempo a Milano “Umane tracce”, con la pubblicazione del volume “Semipalatinsk. Il crimine dei test nucleari”, edito da Crowdbooks.

Le persone che lei ha incontrato nelle terre contaminate hanno coscienza del pericolo nel quale vivono?

«Da una parte subiscono qualcosa di cui non conoscono la gravità, dall’altra evitano di farsi domande perché senza speranza e alternative. L’inquinamento nucleare non si vede, eppure uccide».

Il Friuli Venezia Giulia vanta una significativa tradizione nel campo della fotografia: molti i fotografi di rilevanza nazionale e internazionale, Elio Ciol e Italo Zannier solo per citare due maestri. Vivere lontano dalle grandi capitali è una scelta di libertà?

«Vivere a Spilimbergo, vivace cittadina in provincia di Pordenone, significa vivere la normalità, lontano dalla confusione delle grandi città. Mi offre quel distacco che in questo periodo di crisi di giornali, riviste, in generale della carta stampata, è fondamentale per una visione oggettiva e libera da condizionamenti di sorta».

Come imposta i suoi progetti?

«In alcuni casi mi autofinanzio e successivamente le spese vengono coperte dalla vendita dei libri pubblicati, oppure parto già con un incarico da parte di testate italiane o internazionali. Alcuni progetti hanno la finalità di raccogliere fondi con obiettivi umanitari. Nel 2010 ho realizzato “Tokai Kora”, dedicato ai bambini di strada a Dhaka, in Bangladesh (l’editore Torre del Vento ha pubblicato “Tokai – A life in chains”): 60 mila creature senza diritti, in schiavitù. In altre situazioni la spinta è sensibilizzare l’opinione pubblica su realtà di lavoro senza diritti e tutele come nel caso dei minatori di zolfo in Indonesia».

Il suo rapporto con il denaro?

«Discorso complesso. Qualsiasi professione deve avere un giusto compenso ma il “grande denaro” serve solo se condiviso. Misero chi tiene i soldi nelle sue tasche e, avendone la possibilità, non aiuta gli altri. Le nostre capacità devono anche servire per migliorare la vita delle comunità, anche facendo conoscere le loro storie. Questo per me è il risultato più appagante e bello».

Mai avuto paura?

«Sono stato arrestato in Bielorussia, lì ho temuto la polizia locale; trovandomi da solo e senza la possibilità di comunicare con l’esterno. Una situazione pesante».

Vladik, 7 anni, e suo fratello Igor, 6 anni, in una foto del 2015, nel piccolo villaggio di Radinka, molto contaminato e situato a soli 300 metri dalla zona di esclusione di Chernobyl (ph. P. Mittica)

Con Alessandro Tesei realizza anche reportage video: quali le differenze rispetto alla fotografia?

«La telecamera permette un altro livello di racconto rispetto alla fotografia. Un solo scatto rimane impresso ed è efficace, il video permette di approfondire la storia, comprendendo anche strumenti diversi come la musica, le testimonianze. Dà sollecitazioni diverse a chi guarda. Sono due concetti differenti, inoltre un reportage fotografico ha bisogno di tempo per essere realizzato, quello video è veloce, arriva prima al grande pubblico».

 

Fotografo umanista conosciuto a livello internazionale, Pierpaolo Mittica nel 1990 consegue il diploma in conservazione, tecnica e storia della fotografia indetto dal CRAF. Studia con Charles Henri Favrod, Naomi Rosenblum e Walter Rosenblum. Le sue foto sono state esposte in Europa, Stati Uniti e Cina e la mostra “Chernobyl l’eredità nascosta” è stata scelta nel 2006 dal Chernobyl National Museum di Kiev in Ucraina come mostra ufficiale per le celebrazioni del ventennale del disastro nucleare. Mittica è relatore in numerose conferenze in Italia, Europa, Stati Uniti e Giappone e le sue foto sono state pubblicate da quotidiani e riviste italiani e stranieri.

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