La forza dell’immagine

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redazione

8 Marzo 2021
Reading Time: 3 minutes
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Stefano Stafuzza

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La voce di Stefano Stafuzza trasmette al primo impatto la dedizione con cui affronta la sua passione. Perché sebbene lavori per un’azienda che si occupa di tutt’altro, è impossibile non definirlo fotografo. I suoi scatti non sono frutto del caso, ma il risultato di mesi di documentazione e di viaggi nelle zone più svariate del mondo. Un percorso che abbina natura, storia e attualità, attraverso un filo rosso onnipresente: il risvolto sociale che l’immagine è in grado di comunicare.

Stefano, quando è nata la sua passione per la fotografia?

«Dal 1985, per quindici anni, mi sono dedicato alla fotografia paesaggistica e naturalistica, esclusivamente del Friuli Venezia Giulia. Poi per un lungo periodo avevo abbandonato tutto».

Come mai?

«La mia concentrazione e spirito di osservazione si erano offuscati. Dopo un’accurata riflessione, mi sono accorto che nelle mie immagini mancavano degli elementi. Sentivo il bisogno di raccontare aspetti sociali di un luogo senza tralasciare del tutto il paesaggio, sia esso naturalistico o urbanistico. Volevo ugualmente che entrasse nei miei scatti come sfondo, in quanto importante per definire il senso del luogo».

Dalle periferie degradate di Mumbai alla Catalogna in piazza per l’indipendenza, fino all’emarginazione degli artisti di East London: Stefano Stafuzza come sceglie le aree dei suoi reportage?

«Non sono casuali. Vengono scelte con cura e con alle spalle mesi di lavoro di documentazione.  L’ispirazione nasce da varie componenti: avventura, curiosità ed emozioni suscitate dalla lettura di libri che evidenziano la vita sociale di un luogo romanzato dalla descrizione degli autori».

Cosa desidera comunicare attraverso le foto dei suoi reportage?

«Culture, tradizioni, sofferenze, paure, modi di vivere. Elementi che descrivono ogni singolo scatto, informazioni che rendono forte un’immagine. Ad esempio nel centro della metropoli di Mumbai, si trova una lavanderia a cielo aperto: il Dhobi Ghat. Qui 14.000 persone con le famiglie vivono nelle loro baracche, confinanti con la ferrovia e chiuse lungo il perimetro da mura, in contrasto con i grattacieli della città. I lavandai rimangono sommersi nell’acqua con detersivo fino alle ginocchia per circa 10 ore per lavare i panni di hotel, ospedali e ristoranti».

Un mondo completamente diverso da Londra…

«Nel reportage su East London ho cercato di dare un’impronta diversa della classica Londra che conosciamo. Una zona di quartieri poveri con un alto tasso di criminalità e meta principale dell’immigrazione da altri paesi. Un’urbanistica disordinata che assomiglia a una grande periferia. Gli abitanti di quest’area parlano tutt’ora il dialetto “cockney” anziché l’inglese della City, sentendosi in questo modo più londinesi».

C’è uno scatto a cui è particolarmente legato?

«Sì, uno realizzato a Venezia. Dimostra il coraggio di una donna per tenere aperto il suo negozio di scarpe mentre l’inondazione invade la Calle».

Nel recente passato le sue fotografie sono state premiate in ambito internazionale dal Fine Art

Photography Awards: che significato ha per lei questo riconoscimento?

«È una grande soddisfazione, in quanto la chiave di lettura che cerco di trasmettere a ogni singola immagine è piaciuta ed è stata condivisa con un vasto pubblico».

Quali sono i prossimi reportage che desidera realizzare?

«Sto realizzando un progetto finalizzato a una mostra in programma nell’arco del 2021, in cui voglio esprimere le varie sfaccettature della personalità di Sara. Poi, Covid permettendo, andrò in Andalusia».

 

Stefano Stafuzza è un fotografo freelance che vive a San Canzian d’Isonzo. Per approfondimenti: www.stafuzzastefano.com

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