Germano Pontoni: i sapori della vita

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Suo padre lo vedeva in ufficio, così fece firmare a un cuoco la richiesta di iscrizione alla scuola alberghiera. Ha cucinato su navi da crociera e in hotel rinomati, ma anche portato avanti progetti sulla salute alimentare per diversi enti del territorio. «Oggi si consuma cibo come carburante. Ma visitare un orto o un pollaio resta qualcosa di magico»

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Germano Pontoni (ph. Claudio Pizzin)

Da anni le sue ricette sono un appuntamento fisso della nostra rivista.

Così come i suoi libri di cucina e i suoi show cooking spopolano negli eventi enogastronomici del Friuli Venezia Giulia.

Il Maestro di cucina Germano Pontoni, da Basaldella del Cormor, è un’istituzione del panorama culinario regionale. E dopo oltre sessant’anni di attività, ripercorriamo con lui una carriera tutt’altro che scontata.

Germano Pontoni oltre 60 anni passati dietro ai fornelli per deliziare i palati della gente. Quando è scoccata la passione per la cucina?

«Sin da piccolo mia madre, essendo lei fuori per lavoro, mi ha insegnato a preparare per la famiglia alcune pietanze semplici ma importanti. Ancora oggi le ricordo con nostalgia: mi piaceva mangiare e i parenti dicevano che da grande dovevo fare il cuoco. Esattamente il contrario di mio padre: lui voleva che mi chiudessi in un ufficio».

Addirittura?

«Quando frequentavo la scuola commerciale, nel doppio turno verso fine anno scolastico a maggio, mio padre mi portava sopra le “bocche di lupo” della mensa comunale, situata sotto il palazzo. Mi faceva guardare in basso dove lavoravano i cuochi, sudati all’inverosimile, e mi diceva: “Se farai il cuoco quello sarà il tuo inferno”».

Una terapia d’urto…

«Durante le vacanze estive degli ultimi due anni di scuola, grazie a parenti, aveva trovato il modo di mandarmi a fare lo sguattero di cucina in due ristoranti. Il cuoco del secondo locale firmò come mio padre per mandarmi alla scuola alberghiera a Firenze e poi a Porretta Terme. E da lì ebbe inizio la mia vita professionale».

Mai avuto dubbi su quella scelta?

«Frequentando gli stage della scuola a Firenze e a Viareggio in hotel di prima categoria compresi subito che, seppur con sacrificio e caparbietà, quella era la mia vita. Avevo 15 anni, distante dalla famiglia e dalla volontà di mio padre. Ma anche lui, visti i successi a scuola, comprese presto che questa era la mia strada».

Quali sono state le sue prime esperienze da cuoco professionista?

«Durante il periodo estivo, dal 1968 – al ritorno dalla navigazione – fino al 1973, sono stato Chef della Simeoni Hotel Organization di Jesolo, presso l’Hotel Beau Rivage, con una brigata di 6 cuochi, due dei quali avevano tre anni più di me. Nei tre anni seguenti sono stato Secondo Chef e istruttore presso l’Hotel Enalc a Marina di Aurisina, mentre nel periodo post terremoto sono stato Secondo Chef all’Astoria di Udine. Dal 1977, con l’apertura del ristorante La Rotonda dell’Hotel Internazionale di Cervignano, ho condotto la cucina fino al 1981».

Germano Pontoni, a sinistra, nella cucina di bordo di una nave

Poi i suoi orizzonti sono cambiati.

«Sono stato chiamato a dirigere la cucina dell’Istituto Regionale di Medicina Fisica e Riabilitazione “Gervasutta” di Udine, il settore Dozzinanti dello stesso e quello dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Lì ho iniziato un percorso nuovo, legato all’uso di prodotti di origine biologica attraverso un progetto regionale. Nel 2004 il mio impegno è terminato e ho scelto di intraprendere l’attività come libero professionista, mettendo a disposizione il mio sapere per Scuole alberghiere, diverse Istituzioni e in particolare la Regione FVG che ho avuto l’onore di rappresentare all’Expo di Haichi, in Giappone nel 2005, e all’Expo di Milano con le Eccellenze del territorio».

La cucina è evoluzione continua, che implica studio e aggiornamenti costanti. Uno chef come fa a tenere il passo con i tempi?

«Tenersi al passo può essere faticoso se la professione implica oltre alle ore di lavoro anche quelle di aggiornamento, di responsabilità verso l’azienda dove presti servizio e verso i collaboratori della brigata. Ma l’aggiornamento è fondamentale: frequentare corsi di specializzazione per il settore ma anche di economia gestionale, nonché studiare nuovi abbinamenti con ingredienti innovativi, capaci di valorizzare l’aspetto visivo, olfattivo e gustativo, sono tutti aspetti imprescindibili. Senza mai tralasciare l’ambito della salute dell’organismo».

Gli ingredienti sono un elemento essenziale della buona cucina. Dal la scelta dei prodotti di stagione ai loro abbinamenti nei piatti, Germano Pontoni come “sceglie” i suoi ingredienti?

«L’esperienza sul campo, la conoscenza fin da ragazzo del nostro territorio e dei suoi prodotti sono uno stimolo per proposte innovative. Avere avuto contatti fin in tenera età con l’orto e il pollaio, oltre agli studi alla scuola alberghiera, è stata una palestra per me insostituibile. Ai miei tempi, il periodo della formazione comprendeva la frequenza di metà del periodo scolastico nelle brigate delle cucine dei ristoranti e hotel di primordine. Gli abbinamenti si ottengono dopo prove e sensazioni organolettiche condivise con i collaboratori e con il consumatore finale. Per comprendere se un abbinamento di ingredienti è valido consiglio di fare sempre alla vecchia maniera: avere cioè la “modestia” di controllare i piatti di ritorno dalla sala ristorante per capire se è stato gradito o lasciato lì».

Germano Pontoni durante uno showcooking

Tra le centinaia di ricette proposte da Germano Pontoni, qual è quella a cui è più legato?

«La mia esperienza mi porta a rispettare le eccellenze che in ogni regione prevalgono, ovvero i prodotti, il territorio e l’uomo che produce. In Friuli Venezia Giulia ho avuto molti apprezzamenti proponendo la carne dell’oca, della trota, del coniglio, ma anche il formaggio Latteria e Montasio. L’oca è una delle mie specialità, sulla quale ho realizzato tre pubblicazioni, di cui una in 6 lingue, esaltandone le ricette raccolte da ogni dove».

Lei ama semplicemente definirsi “un cuoco nostalgico dei sapori e dei saperi del passato”. Perchè?

«Oggi purtroppo si tende a consumare cibo come carburante, senza la consapevolezza che un piatto dovrebbe offrire anche sensazioni organolettiche e garanzia di salubrità. La nostalgia di profumi, odori e sensazioni legate al contatto – a volte solo visivo – con un ingrediente è tanta. Da bambino, mia madre mi portava nell’orto o a fare la spesa al mercato rionale o in negozio: emozioni che oggi è difficile percepire a meno che non si vada in qualche fattoria o da piccoli produttori accorti e preparati a produrre in qualità. Una nostalgia che in me diventa spesso sensazione di malessere, in quanto desideroso di variare i sapori e il piacere della tavola».

Spesso Germano Pontoni veste i panni di Ciccio Pasticcio, nome coniato per lei dai bambini. Il personaggio viene portato in giro in tante iniziative di solidarietà in forma volontaria: quanta soddisfazione le dà lavorare con i più piccoli?

«La soddisfazione è grande, così come grande è il mio impegno giocoso. Avvicinare i bambini confezionando con loro la pasta, il pane, gli gnocchi, la pizza, i biscotti è speciale. Esattamente come arrivare nelle scuole dell’infanzia vestito con il buffo costume di Ciccio Pasticcio, giocare con loro assieme alle maestre, aiutandoli a riconoscere le sensazioni organolettiche di frutta e ortaggi in feste di primavera e d’estate».

Oggi Germano Pontoni è un apprezzato Maestro di cucina che ha ottenuto diversi riconoscimenti, scritto molti libri (una sua grande passione) in collaborazione con la casa editrice “L’orto della cultura” dedicati ai diversi modi di cucinare, ma soprattutto a un cucinare sano. Ai giovani che si approcciano al mondo della cucina quali consigli si sente di dare?

«Di essere rispettosi dapprima verso se stessi, quindi con chi è loro vicino nelle attività giornaliere e con chi li prende per mano per farli entrare in questo mondo invidiato, ma impegnativo e faticoso. E avere un occhio di riguardo verso gli ingredienti che poi saranno la loro materia prima, per innovare e creare pietanze in grado di lasciare una traccia indelebile nel tempo».

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