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Andrea Fiore

29 Giugno 2023
Reading Time: 2 minutes

Fare favori per riceverne altri in cambio. L’opposto del dedicare gratuitamente il proprio tempo per il prossimo. Le nuove generazioni di oggi quali strade seguono?

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Premessa doverosa: quando si parla di tendenze sociologiche riferite a fasce d’età, generalizzare è la soluzione più sbagliata.

Per questo, il ragionamento che sto per sviluppare va inteso per una fetta (ahinoi crescente, secondo i dati Istat) della popolazione giovanile e non nella sua interezza.

Mi riferisco al binomio tra giovani e volontariato. Ovvero dedicare gratuitamente il proprio tempo per attività in favore della società: sia essa intesa come aiuto alle persone fragili o semplicemente partecipazione alla vita associativa o politica senza ottenere in cambio profitti se non un arricchimento personale, per quanto fatto in favore del prossimo.

I dati Istat, dicevamo: su 7 milioni di italiani che si dedicano al volontariato, le fasce d’età meno coinvolte risultano essere quelle dei giovani e dei pensionati. Per questioni pratiche e di prospettiva, mi soffermerò sulla prima.

Negli ultimi mesi sono partite numerose campagne nazionali di sensibilizzazione verso i giovani per stimolarli a divenire donatori di sangue (ma anche di midollo osseo o altre necessità sanitarie).

Il loro effetto? Pressoché nullo.

La risposta a questo appello caduto nel vuoto va ricercata nel rapporto che i giovani hanno con la società, percepita come un’entità che non fa nulla per loro. Perché quindi dovrebbero loro fare qualcosa per lei?

Un ragionamento frutto di profondo egocentrismo, menefreghismo e disinteresse che, in primis, danneggia proprio i soggetti chiamati in causa.

Fare volontariato, infatti, è spesso il primo passo per molti giovani per imparare qualcosa di pratico nella vita sociale, assumendo responsabilità verso gli altri e operando per raggiungere obiettivi condivisi. Un aspetto fondamentale, perché delinea una forma mentis e un modo di stare al mondo che caratterizzeranno il prosieguo della vita. Perché, come gli indicatori Istat confermano, se non si inizia da giovani difficilmente lo si farà da adulti.

Anzi, dati alla mano, più una persona è impegnata – anche con il lavoro – più si dedica ad attività di volontariato. Viceversa, chi non fa nulla il più delle volte non ha interesse a dedicare il proprio tempo in attività non remunerative.

Ecco allora che la prospettiva va ampliata: quello di una fetta consistente dei giovani non è solo un disinteresse verso il volontariato, ma un disinteresse generico verso tutto. Le cause? Una, sicuramente, è il modello prettamente consumistico verso cui sono veicolati: volere tutto (auto, moto, casa) dandolo per scontato, sentendosi di riflesso infelici se queste cose la società non gliele garantisce. Con buona pace per il senso del sacrificio.

Fare qualcosa solo se si può ottenere qualcosa in cambio. Pretendere di ottenere tutto subito. Ma nel frattempo restare inerti in attesa che la “società” dia adeguato riconoscimento. Un cortocircuito che non passerà indolore, perché il progressivo tracollo cui è destinata l’attività di volontariato, in particolare tra i giovani, avrà ripercussioni pesanti sul futuro della nostra società.

 

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