Romans, un libro riunisce i fratelli Calligaris

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Margherita Reguitti

12 Gennaio 2021
Reading Time: 4 minutes

Le loro storie raccolte in uno stadio

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Conoscere la storia della propria comunità, soprattutto negli anni difficili, è forza. Le piccole storie inoltre sono spesso lo spunto per delineare e comprendere meglio il presente, ma anche per ripercorre i crocicchi e le strade della grande storia.  

Edo Calligaris, storico collaboratore de Il Piccolo e appassionato ricercatore e testimone di memorie della comunità di Romans d’Isonzo in provincia di Gorizia, è narratore attento. Il suo caparbio e preciso lavoro di ricerca è diventato produzione e memoria letteraria attraverso le quali riemergono e rivivono fatti e personaggi della comunità altrimenti destinati all’oblio.

Il libro

Il suo ultimo lavoro, “Armando e suoi fratelli. Le loro storie raccolte in uno stadio”, ha il duplice valore di cronaca documentata della sofferta e gloriosa vita della società calcistica Pro Romans, giunta al traguardo di un secolo di attività, e ricordo della vicenda umana di Armando Calligaris, promessa del calcio locale che la sventura cieca trasformò nella sofferenza di una vita. Lo stadio cittadino nel 2002 venne intitolato ai tre fratelli Calligaris: Mario, Alessandro e Armando. Tre giovani appassionati di sport che la guerra e la sventura di un triste incidente, nel caso di Armando, fermarono nella strada di una carriera di successo.

L’incidente fatale

Un fatto accidentale nell’estate del 1930, quando Armando aveva solo 7 anni, fu il passo che segnò la sua esistenza di sofferenza fisica e psichica, portandolo alla morte, recluso nell’Ospedale psichiatrico di Gorizia, nell’ottobre del 1966. Per difendere il bimbo dall’assolto di un cane nell’aia di una casa, un concittadino lo colpì con un badile, causandogli lo sfondamento della parte temporofrontale destra e marchiandolo con una vistosa cicatrice sopra l’occhio destro. Conseguenza di questo trauma lesivo fu una iperepilessia con comportamenti violenti lesivi verso gli altri e se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un uomo buono, attaccante di razza fino al manifestarsi del male

Calzolaio di mestiere, era di indole calma e buona, era il male che dal 1951 iniziò a manifestarsi con comportamenti aggressivi che richiesero il primo, breve, internamento nell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia. Prima la guerra si era presa i fratelli Roberto e Alessandro, quest’ultimo mai tornato dalla Russia.

Armando si avvicinò al calcio grazie al suo lavoro di calzolaio, era infatti specializzato nella trasformazione di scarponi abbandonati dai soldati italiani in calzature civili.

“In campo era un attaccante di razza – così lo descrive Edo Calligaris in uno dei passaggi del libro che è arricchito da molte fotografie, la maggior parte delle quali inedite -, mancino puro, molto rapido, scattante, tenace e combattivo”.

Per proteggere il capo da eventuali colpi, soprattutto nei tiri di testa, portava un caschetto in cuoio cucito con le sue mani.

Dal 1945 al 1948 giocò in varie squadre di serie C, fra le quali Saici Torviscosa, ma anche club di fuori regione si interessarono a lui, senza però concludere il contratto, per timore che la vistosa cicatrice avrebbe condizionato il suo rendimento nel futuro. Nell’ultima stagione le sue presenze si diradarono a causa del manifestarsi delle prime crisi epilettiche che si immagina furono causate dell’impossibilità della massa celebrale di espandersi causa la compressione alla fronte, conseguenza del forte trauma.

Franco Basaglia e la speranza della guarigione

Dopo il primo ricovero il padre Giovanni Battista, che non si dava pace, pensando a quel figlio senza colpa, costretto a passare i suoi giorni dentro l’inferno del manicomio, chiese e ottenne, visto il miglioramento delle condizioni di Armando, di riportalo a casa, assumendosene la responsabilità.

Negli anni a seguire si alternarono periodi di vita calma e tranquilla in famiglia e altri ricoveri. Nel gennaio del 1964 Franco Basaglia, che nel frattempo era giunto a Gorizia per dirigere l’ospedale e tracciare la via che avrebbe cambiato il corso della psichiatria in Italia e nel mondo, accese una speranza di guarigione. Convinse le autorità e la famiglia che si poteva tentare un intervento chirurgico. Armando venne trasferito nell’Ospedale di Udine, dove nel reparto neurologico neurochirurgico venne operato. Rientrato a Gorizia il decorso postoperatorio fu positivo. L’ottimismo nei primi dieci giorni crebbe, medici e famigliari erano ottimisti, credevano nel possibile miracolo.

La resa

Ma la realtà beffarda e crudele si ripresentò con un attacco epilettico. La resa di Armando arrivò due anni dopo in un altalenarsi di periodi tranquilli e crisi all’interno dell’Ospedale di via Vittorio Veneto. Alle 3 del 12 ottobre 1966 raggiunse la cima del Calvario dove trovò la pace.

Un libro per non dimenticare

All’intitolazione dello stadio ai fratelli Calligaris era presente anche Roberto, quarto fratello che da sempre si era speso come giocatore prima e come dirigente successivamente per la Pro Romans. I fratelli Calligaris, soprannome di famiglia Vuardiàns, ora vivono nelle pagine del libro di Edo Calligaris, libro edito dal Gruppo di ricerca “I Scussons”, presieduto da Germano Pupin, e dal Circolo “Mario Fain” guidato oggi da Claudia Panteni che ha ricevuto il testimone da Renato Valentinuz, per anni presidente generoso e creativo, con il contributo del Comune.

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