La forza dell’umanità

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Margherita Reguitti

23 Dicembre 2019
Reading Time: 6 minutes
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Gianni Arteni

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Da Gorizia a Trieste, da Grado a Tolmezzo dagli anni Sessanta a oggi Arteni in Friuli Venezia Giulia significa abbigliamento di qualità. Un’impresa famigliare nata in un piccolo negozio nel 1961 dalla determinazione e dal desiderio di fare di due fratelli friulani: Nella e Gianni. Una sfida negli anni del boom economico del dopoguerra, poi negli anni ’80 la trasformazione in Società per Azioni mantenendo il timone in famiglia.

Oggi Arteni significa 12 punti vendita fra i quali il grande centro di Tavagnacco e le boutiques del centro di Udine e di Cividale del Friuli. Un’azienda con 150 dipendenti. In questi quasi sessant’anni di impresa, giunta alla terza generazione, tanto è cambiato nel mondo dell’abbigliamento. Ne abbiamo parlato con Gianni Arteni; un gentleman friulano riservato e pacato che ama il proprio lavoro come il primo giorno, convinto che sapere consigliare l’abito che valorizza una persona significa darle la possibilità di essere se stessa al meglio.

Gianni Arteni, imprenditore di successo fra i più solidi e stimati della regione, che uomo era nel 1961 quando tutto è iniziato?

«Poco più che ventenne, ex dipendente di un’attività commerciale che lavorava mezza giornata in un negozio di tessuti di Cividale. Un giorno assieme a mia sorella Nella abbiamo deciso di fare il grande passo aprendo il nostro primo negozio: trentasei metri quadrati a Feletto Umberto (a oggi in attività, ndr). Nella era appassionata e studiosa di moda e tessuti femminili ma anche insegnante alla scuola di taglio e cucito: abbiamo iniziato con un’attività di vendita di stoffe, confezioni e merceria. Intuimmo che la grande rivoluzione del capo pronto, figlio della voglia di cambiamento e di ricominciare del dopoguerra, era la grande evoluzione del settore. Inizialmente entrammo nelle confezioni per uomo e puntammo a prendere contatto con aziende serie e affidabili. Nella era facilitata nell’impresa dalla sua esperienza e professionalità, io ero affascinato e credevo nel capo confezionato. Fra le prime aziende fornitrici la Facis di Torino, una delle leader in quel momento in Italia. Inizialmente il mercato proponeva solo uomo, il settore della moda femminile infatti si sviluppò più tardi, in quanto ogni donna sapeva cucire ed era uso che gli abiti venissero confezionati in casa o dalla modista o sartina, a seconda del censo. Per l’uomo era più semplice, inoltre lo spezzato, che si vendeva molto, aveva il vantaggio di abbinare una giacca con più calzoni».

Intuì subito che la strada sarebbe stata ampia e il successo grande?

«Compresi subito che la strada del vestire pronto era facile e offriva grandi prospettive, certo non avevo idea di dove saremmo arrivati e del successo dell’impresa appena nata. Facis produceva 120 taglie solo per uomo. C’era un grande fermento della produzione e di vendite che poi interessò anche il settore femminile, che richiedeva studi più approfonditi per la modellatura e la scelta dei tessuti».

Oggi quali sono le differenze nel fare impresa rispetto agli anni Sessanta?

«Credo che la differenza fondamentale sia l’entusiasmo che in quegli anni animava tutti noi. Voglia di riscatto, di crescere, di contare, di fare impresa, soprattutto in un Friuli che viveva il passaggio dall’economia agricola a quella industriale. Avevamo pochi mezzi e i cardini erano basati sul lavoro e sulla credibilità dei fornitori. Oggi la situazione si è capovolta, il mondo è diventato super affollato, i canali di vendita sono molteplici, secondo me esagerati rispetto alla potenzialità di consumo del Friuli Venezia Giulia dove i numeri del bacino di clientela sono bassi. I negozi tradizionali oggi si trovano in una morsa, con costi di gestione elevati e una concorrenza molto spietata e scorretta: mi riferisco all’e-commerce. Quando ho iniziato non potevamo neppure immaginare il panorama di oggi fra web, centri commerciali e outlet. Una vera rivoluzione».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lei continua la sua attività di imprenditore, nonostante tutto. Quali valori la sostengono?

«Oggi più che mai bisogna credere in un lavoro spesso ingrato e deludente. Ma i risultati per chi sa produrre reddito e rinnovamento non mancano. La soddisfazione di rendere un cliente contento conta più del denaro. Questo vale per tutte le imprese».

Lei crede che ci sarà ancora un futuro per il negozio di abbigliamento tradizionale?

«Questa è la domanda! Il settore sta attraversando un momento difficilissimo, un cambiamento forte e devastante. Ci sarà futuro per i negozi di una certa dimensione ma umani, con alta professionalità degli operatori, in grado di fornire servizi e qualità del prodotto».

Qual è la ricetta?

«Credo che le boutiques in genere tengano. Continua a piacere, o meglio si riscopre il negozio a misura d’uomo e di donna. Un fenomeno già avviato da alcuni anni in America. Il consumatore attento si affida alle mani di professionisti capaci e preparati. Stiamo vivendo la messa in discussione delle grandi superfici che oramai la gente frequenta mal volentieri. Questa è una buona notizia per le attività di quartiere dove viene offerto un servizio, i clienti sono chiamati per nome. I tempi imporranno alle grandi superfici di ridimensionarsi».

La vostra impresa dà lavoro a 150 persone. Quale senso di responsabilità sente verso di loro come imprenditore?

«Il senso di responsabilità è molto alto da un punto di vista umano, sono 150 famiglie, la preoccupazione è forte in questo mercato oggi così difficile. I collaboratori sono l’azienda, senza di loro l’azienda non esiste. Li sentiamo vicini, amici, ci vogliamo bene, con stima reciproca. Queste sono le motivazioni che rendono vincente un gruppo coeso. Così come avere dei clienti fidelizzati».

Quali caratteristiche apprezza maggiormente nei collaboratori?

Correttezza, affidabilità, capacità di ricevere e capire il cliente, suggerendo le cose giuste. Tutto questo ha come riscontro la riconoscenza della clientela per il servizio. Queste sono le caratteristiche in linea con l’azienda».

Il vostro dna è di impresa famigliare giunta alla terza generazione, come viene mantenuta questa impronta?

«Nella libertà di ognuno di fare scelte diverse secondo le proprie inclinazioni. Le mie due figlie, la maggiore Cristina e la minore Tiziana, sono in azienda. La prima si occupa del personale e di altri settori e in futuro sarà lei a guidare il gruppo, mentre la seconda segue i buyers. Sono molto impegnate e mi danno grandi soddisfazioni. Mio genero e un mio nipote, figlio di mio fratello, lavorano con noi. Altri nipoti invece stanno seguendo un percorso di studi all’estero in Gran Bretagna e Belgio e anche in America».

Quali pensa debbano essere le caratteristiche di un imprenditore?

«Nel mio settore la comunicazione e l’attenzione nei confronti della clientela. Mi considero fortunato perché la mia attività ha sempre permesso di confrontarmi con tante persone diverse. Stare in mezzo alla gente mi piace. Per questo continuo ad amare il mio lavoro».

La sua giornata tipo a che ora inizia e finisce?

«Inizia verso le 7 con la sveglia: alle 8.30 sono in azienda, un’ora prima dell’apertura del centro di Tavagnacco. Rientro per le 20.30 e ogni sera leggo per almeno due ore, l’attualità sui giornali locali e nazionali ma anche libri di genere diverso. Di recente ho letto il libro del medico friulano d’adozione Elio Carchietti dal titolo Il baratto impossibile, che tratta temi morali seguendo i ricordi in parte autobiografici di un giovane medico. Durante il giorno cammino molto: circa 10 chilometri. Molti in azienda pochi all’aria aperta».

A proposito di salute: quali sono le condizioni del mondo imprenditoriale ed economico friulano?

«Stagnazione, incertezza, delusione, nulla si muove. Siamo in Friuli, ma nel resto del Paese è uguale, un momento di grande riflessione, aspettiamo che qualcosa accada. E in questo stato non si produce né lavoro né ricchezza».

Mai tentato dalla politica?

«In varie occasioni a livello locale mi sono stati proposti posti prestigiosi. Io però, seguendo il consiglio di mio padre, ho sempre evitato di mettermi addosso colori politici. Indosso tutte le tinte per i miei clienti, nessuno deve pensare che sono contro di lui. Ho scelto di essere un operatore commerciale: oggi a 82 anni sono ancora qui».

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