Vita e rispetto

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redazione

7 Marzo 2018
Reading Time: 6 minutes
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Mauro Buoro

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L’ultima istantanea ha la cornice della storia. La Porta di Brandeburgo come viatico tra passato e futuro. Tra l’obesità di 152 kg che mette in pericolo l’esistenza e il ritorno all’amore per la vita, sostenuto da una forza di volontà che ogni giorno si scopre più intensa. Una determinazione che si autoalimenta, dando nuovi impulsi, stimoli, sollecitazioni. Perché se quando tutto sembrava finito trovi la salvezza salendo sulla sella di una bicicletta, allora scendere diventa impossibile.

E la spinta sui pedali si trasforma in un moto perpetuo che conduce verso emozioni e orizzonti molto più lontani dei chilometri divorati sull’asfalto.

Mauro Buoro, in cosa consiste la sua nuova avventura in mountain bike?

«Da tempo covo il desiderio di percorrere in bici il tragitto tra i due punti di confine più estremi dell’nordest e del nordovest d’Italia, partendo da Rabuiese per raggiungere Bardonecchia in provincia di Torino. Una coast to coast di 640 km attraversando FVG, Veneto, Lombardia e Piemonte. Nel frattempo, però, mi è venuta anche questa nuova idea: correre una Maratona di 24 ore per scoprire queste bellissime regioni durante il giorno, ma vedendole anche nelle ore notturne».

E la prima regione sarà proprio il Friuli Venezia Giulia, in cui in 24 ore toccherà 39 diverse località. In base a quale criterio le ha scelte?

«Come sempre fatto nelle precedenti esperienze, partirò dal mio comune di residenza: Ruda. La data prescelta sarà un fine settimana di aprile, in base alle condizioni meteo. Nello stilare il resto del percorso, ho trovato interessante percorrere la pianura del Friuli ai suoi confini, con le colline e i monti. Mi dirigerò prima a Trieste per poi iniziare l’ascesa verso la Carnia e quindi riscendere a Osoppo e proseguire per Aviano, Pordenone e poi verso il mare (Lignano) e tornare a casa. Il bello del FVG è che in 24 ore vai dalla Slovenia al Veneto, dal mare alla montagna».

Sarà da solo o accompagnato da qualcuno?

«Questa sfida sarà in solitaria, solo con la mia MTB. Mi mancherà la compagnia di mio figlio Michele che mi ha seguito in quella indimenticabile impresa Trieste–Berlino: 1240 km in 12 giorni, condivisi con lui nei momenti belli e in quelli difficili. Ma io lo sentirò nei miei pensieri durante l’intera maratona: lo vedrò fermo con l’auto in una piazzola che mi aspetta e mi fa le foto, o sotto un albero con la borraccia in mano e a incoraggiarmi urlando “sei un grande, papà!”. Mi ha però promesso che verrà ugualmente a farmi qualche foto».

Cosa l’ha spinta verso questa sfida?

«Avere sconfitto l’obesità che mi portavo addosso da tanto tempo ed essere riuscito a dimagrire 70 kg in 4 anni. Quindi il desiderio di migliorare le prestazioni sportive verificando dove posso arrivare con le mie sole forze fisiche e mentali. Ne ho passate tante nella mia vita per i problemi provocati dall’obesità. Ma adesso ho trovato serenità e tanta fiducia in me stesso. Sto bene e la mia mente è libera da pensieri negativi: ho tanta forza di volontà».

Nella presentazione dell’iniziativa ha sottolineato l’importanza del reciproco rispetto sulla strada tra automobilisti e ciclisti: nel nostro territorio come giudica lo stato delle cose a riguardo?

«Per strada vedo cose che mi fanno passare la voglia di andare a correre. Non c’è rispetto tra queste due categorie: tutti pensano di avere ragione anche quando la colpa è evidente, nella convinzione che la causa è sempre dell’altro. Manca educazione stradale e va insegnata nelle scuole già in giovane età. Se nelle rotatorie dovessi passare solo perché ho la precedenza sarei già morto venti volte, e non esagero. Tralasciando il resto: gli insulti, i tagli della strada durante le svolte, gli spruzzi dell’acqua dei tergicristalli, le urla per utilizzare la pista ciclabile anche quando non c’è, gli sfiori ad alta velocità. È vero però che per le strade ci sono anche gruppi indisciplinati di ciclisti. Io dico semplicemente: rispettiamoci».

Lei è reduce dall’impresa della scorsa estate: da Trieste a Berlino sui pedali. Percorrendo le strade di Austria e Germania quali sono le differenze  rispetto all’Italia nel rapporto con i ciclisti?

«Tasto dolente, troppa differenza. Le piste ciclabili da noi ci sono, non tante ma stiamo migliorando. Ho percorso i 400 km della ciclabile Alpe Adria, da Grado a Salisburgo: la cosa che si nota subito in Austria sono i tanti cicloturisti anziani con le loro bici, attrezzate con borse e luci, e tutti con giubbino fluorescente per essere visibili pure nelle strade. Ma anche tante famiglie con i bambini piccoli e genitori con i carrettini omologati per neonati, con una bandierina per segnalare la loro  presenza. Per la Germania è sufficiente questa esperienza: andando verso Lipsia, lungo una delle poche strade prive di ciclabili, la corsia era stretta e la pendenza in salita mi costringeva ad andare piano. Tutti i camion sono rimasti rigorosamente dietro di me aspettando che io scollinassi per superarmi solo allora, a due metri di distanza. Un altro pianeta».

Torniamo all’impresa di Berlino: giungere sotto la porta di Brandeburgo dopo aver percorso 1.240 km in bicicletta cosa ha significato per lei?

«Un sogno. Passare sotto la porta di Brandeburgo e dire “io ce l’ho fatta” è stata un’emozione unica. Non scorderò mai gli ultimi due chilometri percorsi assieme a mio figlio Michele: non so spiegare cosa abbiamo provato in quel momento, ma so che ho avuto la forza e la fortuna di viverlo».

Quell’esperienza come le ha cambiato la vita?

«Ho acquisito tanta fiducia in me stesso e consapevolezza della mia forza di volontà. Se crediamo in noi stessi si può fare quasi tutto nella vita. E poi  il sostegno della gente: mi fermano per dirmi “Ti ammiro, sei un esempio”. A tutti spiego che una corretta alimentazione e una buona attività sportiva rendono la vita più bella. Un’associazione che aiuta le persone a trovare la forza di iniziare una dieta controllata e a trovare la fiducia in se stessi mi ha addirittura invitato come testimonial. Una visibilità – ci tengo a sottolinearlo – figlia anche dell’attenzione mediatica che iMagazine ha dato alla mia storia».

Dal passato al futuro: dal punto di vista fisico, come si sta preparando per percorrere 330 km in 24 ore?

«Sono in ritardo nella preparazione a causa di un’operazione alla gamba fatta lo scorso ottobre. Mi alleno come sempre: tanti chilometri su e giù per la strada costiera che conduce a Trieste, ottima per allenarsi con il suo saliscendi e il panorama fantastico. Esco anche alla sera per abituare il mio corpo per la notte e faccio molta attenzione all’alimentazione: per una corsa così lunga non devo avere crisi di fame o cali di glicemia, devo sapere dosare bene le forze fisiche ma anche mentali perché questo fa la differenza».

Dalla lunghezza del tracciato al transito notturno in strade non sempre illuminate: quali sono le criticità che teme maggiormente di questa impresa?

«Ho deciso di partire da Perteole in direzione Trieste alle ore 24 di venerdì perché con l’ora legale avrò più luce alla mattina e la notte sarà più corta. Sono attrezzato per l’illuminazione con batterie che mi permettono di avere una buona visuale sulla strade per evitare buche o ostacoli. Grazie a un apposito giubbino giallo sarò ben visibile agli automobilisti. Ciò che temo maggiormente è il freddo: la stanchezza e la mancanza di sonno possono creare problemi di termoregolazione del corpo. In poche parole non devo sentire freddo dentro. Ma la mia determinazione farà la differenza».

Un’impresa che rappresenta solo la prima tappa di un percorso…

«Dopo il FVG passerò a Veneto, Lombardia e Piemonte: seguirò i confini delle pianure, cercando di usare meno possibile le strade statali, attraversando piccoli paesi, bellissimi borghi e località storiche. Nella loro scelta mi confronterò con l’amico Fabio Ferrarini, dottorando all’Università di Milano, giovane storico della cultura della Mitteleuropa. Entrambi siamo dei viaggiatori».

Qual è il messaggio che desidera trasmettere con questa sua sfida?

«Io ho sofferto molto per la mia obesità. Mi sentivo impacciato e goffo, ma non ho mai perso la mia dignità e la fiducia in me stesso. A volte bisogna trovare le persone giuste che ti aiutano e cercare di avere tanta forza di volontà per trovare il proprio benessere. Ecco cosa voglio trasmettere».

“Trova una motivazione, ti salverà la vita” è una frase a lei molto cara. Dopo aver realizzato il sogno di Berlino, qual è ora la nuova motivazione?

«Voglio vivere e promuovere il rispetto sulle strade verso noi ciclisti: siamo persone, padri, amici, mariti, nonni, e pedalare ci fa stare bene. E quando saliamo in sella vogliamo anche tornare a casa. Così ora la mia motivazione è riassunta in nuovo messaggio: “Lotta all’obesità e rispetto sulle strade”. Mi piace pedalare ma voglio tornare a casa dai miei cari».

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