Il Baffone che soffia

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Michele Tomaselli

9 Dicembre 2015
Reading Time: 5 minutes

Un’immagine contesa

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Secondo uno studio del magazine americano on line VinePair sulle birre più popolari in oltre 100 paesi, la Birra Moretti risulta essere la birra più conosciuta in Italia, oltre che rappresentare da sempre un prodotto dell’eccellenza made in Italy.

La storica azienda, un tempo marchio di nicchia friulano, dal 1989 passata di mano alla multinazionale canadese Labatt e dal 1996 assorbita dalla Heineken, è oggi un’azienda che garantisce un prodotto in oltre 40 Paesi (tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Giappone) e annovera una produzione di oltre 2 milioni di ettolitri all’anno.

Il Friuli le ha dato le radici, il cuore e la sostanza: storia ben nota, anche recentemente ricordata ai posteri nel libro: «La birra Moretti da Udine al Mondo – 130 anni di una dinastia imprenditoriale», scritto dall’erede Luigi Menazzi Moretti.

Evanescenze di un Friuli scomparso, ma allo stesso tempo storie di una terra forte, decisa, dai sapori inconfondibili, capace di stuzzicare il palato più sopraffino e delicato. Non è anacronismo dire che Udine poteva ritenersi, allora, la capitale italiana della birra. Oltre alla Moretti di viale Venezia, fondata nel lontano 1859, accoglieva la Dormisch, nata a Resiutta nel 1875 e trasferita in città dieci anni dopo. Senza scordare che anche Trieste possedeva una tradizione dell’arte birraia con lo stabilimento della Dreher, inaugurato nel 1866.

Il famoso manifesto di Franca Segala (ph. M. Tomaselli)

Ma andiamo avanti… Ricordate la storica immagine del “Baffone” che accompagna, ancora oggi, la Birra Moretti in tutto il mondo (perfino nel cuore dell’Expo appena concluso)? Il “siôr di Tresésin” che venne immortalato da Lao Menazzi Moretti al ristorante Boschetti “di Tresésin” (Tricesimo) – o stando ad altra versione il “siôr di Collerumiz di Tarcint” fotografato alla stazione ferroviaria di Tarcint (Tarcento) alla fine della Seconda guerra mondiale. Un uomo antico e moderno allo stesso tempo, elegante in un abito verde scuro, estremamente naturale, con un bel cappello, grandi baffi e un viso che sembra custodire mille racconti. Come quello di quando il commendatore Moretti gli chiese il dovuto per il disturbo e lui rispose “Ch’al mi dedi di bevi, mi baste” (“Mi dia da bere che mi basta”).

All’epoca le nuove tecnologie sperimentate in azienda avevano necessità di essere affiancate da un’accorta campagna pubblicitaria, in cui l’arte dell’immagine illustrasse il prodotto industriale. Ecco perché quella fotografia fu consegnata, alla fine degli anni ’40, all’illustratore Segala, alias Franca Segala – conosciuta soprattutto per l’illustrazione delle copertine dei quaderni – che disegnò il famoso manifesto, icona e simbolo della Birra Moretti in tutto il mondo.

Orso Maria Guerrini nella pubblicità della Birra Moretti (ph. M. Tomaselli)

Quando il cartellone fu consegnato alle birrerie, migliaia di persone si riconobbero nel “Baffone”, a conferma che il Commendator Moretti era riuscito a individuare un personaggio davvero autentico. In seguito, nel corso degli anni il “Baffo” è stato interpretato da vari attori e persino da un disegnatore, Bruno Bozzetto; il volto più noto, però, è stato quello dell’attore e doppiatore Marcello Tusco, poi sostituito da Orso Maria Guerrini.

Il cartellone della Moretti che intravvide la Groth all’ingresso di Tarvisio (ph. M. Tomaselli)

Almeno, questa è la storia che ci hanno sempre raccontato. Quella vera riguardo l’immagine del “Baffone” che soffia sulla schiuma di un gran boccale di birra risulta però essere un’altra. Si tratta infatti di uno scatto realizzato, nel 1939, dalla fotografa tedesca Erika Groth-Schmachtenberger (1906-1992), nota in patria per l’interesse sui soggetti popolari, che ritrae un contadino tirolese, precisamente di Thaur in Tirol, a pochi chilometri da Innsbruck. Nel 1956, entrando in Italia dal valico di Tarvisio assieme al marito, la Groth incappò in una serie di cartelloni stradali della Moretti che pubblicizzavano il “Baffone”.

Si trattava del famoso manifesto della Segala che riproduceva il suo scatto originale in bianco e nero e che subito riconobbe. Era evidente la corrispondenza dei cartelloni alla sua fotografia: lo stesso uomo robusto, con un abito scuro, con un bel cappello, i grandi baffi e lo stesso sfondo. Lei non aveva mai ceduto i diritti d’immagine, così decise di rivolgersi a un avvocato per legittimare il diritto d’autore. L’anno successivo si vide dare ragione ma ottenne un misero risarcimento di soli 800 marchi, giusto per acquistare due stufe a olio e resistere all’inverno. Ma, spinta dalla curiosità, scrisse una lettera alla Birra Moretti per sapere come erano andate le cose. Non ebbe riscontro fino a quando una nota le comunicava che la fotografia proveniva da un calendario bavarese.

A questo punto la storia autentica, quella della Groth, cancella ogni ipotesi di “Baffone” friulano. È stato Antonio Rossetti, presidente dell’Associazione Cervignano Nostra, a far chiarezza su questa storia, in una recente mostra dedicata all’indimenticabile architetto Ennio Puntin Gognan, già socio del prestigioso circolo fotografico “La gondola” di Venezia, amico della brava fotografa che ospitò anche a Cervignano. Dopo la scomparsa della Groth, l’architetto Puntin donò al sindaco di Thaur tutta la documentazione raccolta sulla vicenda.

In mostra, sono stati esposti il libro “Meine liebsten Fotos” (“Le mie fotografi e predilette”), del 1984, dove la Groth pubblicò la fotografia originale, e un altro scatto inedito del “Baffone” che dorme su una panca della locanda tirolese, accanto al suo inconfondibile cappello e alla pipa con l’uccellino scolpito.

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