Una storia politica

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Margherita Reguitti

13 Settembre 2017
Reading Time: 6 minutes

Alessandra Guerra

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“La politica è forse l’unica professione per la quale non si considera necessaria nessuna preparazione specifica”. L’autore di codesta affermazione è Robert Louis Stevenson (1850–1894) in una raccolta di saggi dal titolo Familiar studies of men and book. In altre parole una riflessione dell’autore di romanzi come Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde e L’isola del tesoro.

Non pare essere stato questo il caso di Alessandra Guerra che, seppur molto giovane di età, si preparò, e molto, per diventare la prima donna presidente del Friuli Venezia Giulia. Entrata nella Lega Nord iniziò a fare politica con successo nel 1993 come consigliera regionale e dal 1994 al 1995 venne eletta al vertice del Consiglio della Regione. Sarà in seguito anche assessora alla cultura, vicepresidente regionale e presidente della Conferenza delle Regioni e Province autonome.

Un passo indietro. Quando entra nella Lega Nord la giovane udinese, fedelissima di Bossi, si è appena brillantemente laureata con voto finale 110 e lode e diritto alla pubblicazione della tesi; ha vinto anche il concorso per insegnare, con l’obiettivo di entrare nella carriera universitaria.

«È stato un grande cambiamento – ricorda –, sono arrivata quando governava il pentapartito; gavetta e scuole di partito erano obbligatorie. Oltre a ciò erano da venire le quote rosa; oggi è più semplice entrare in politica senza alcuna esperienza, come dimostrano i curricula dei Cinque stelle. Arrivavo da una famiglia normale con una forte passione civica e laica. Mio padre fu assieme a Fausto Schivi uno dei fondatori del Movimento autonomista friulano».

Come andarono le cose?

«Devo ringraziare i politici marpioni (usa il termine sorridendo, n.d.r.) e i funzionari che mi fecero fare quello che io definisco un master straordinario di tecniche amministrative e politiche. Sapevano esprimere professionalità e ideali. La politica, compito che richiede sacrificio e dedizione, era dunque giustamente pagata. Quelli erano i tempi non della Lega becera di oggi, ma di un movimento popolare che aveva un suo centro studi interno nel quale ci si preparava. Erano i tempi del rapporto con l’Università Bocconi di Milano e di Giulio Tremonti. Erano i tempi nei quali presero il via le spinte verso le riforme che poi vennero fatte dal centro sinistra. Io posso dire che ho partecipato a questa fase importante di rinnovamento del nostro Paese».

Le capitò di incontrare Matteo Salvini nei suoi incontri di partito?

«Se l’ho incontrato non me ne sono accorta e non lo ricordo. Mi confrontavo con Bossi, capo barbarico di un’orda, come eravamo definiti, ma intelligente, con una sua etica. Il corto circuito della mia vita politica è stata sia la sua malattia sia l’arrivo sulla scena politica della Spa di Berlusconi, alla quale la Lega ha ceduto una fetta di elettorato di insoddisfatti desiderosi di cambiare le cose».

È stato a quel punto che lei ha scelto di entrare nel Pd?

«Da buona cattolica – quale ero allora – fedele alla propria posizione, ho sperato che tutto potesse cambiare a fin di bene. Poi non ce l’ho più fatta e ho deciso di lasciare prima la Lega, poco dopo la politica».

Cosa pensa della Lega di oggi che sembra abbandonare la sua connotazione di partito del Nord?

«Oggi non ha più quel fil rouge del federalismo, elemento forte e caratterizzante, per il quale eravamo arrivati alla modifica del titolo quinto della Costituzione. Un cambiamento fondamentale nella vita del Paese che venne attuato poi dalla sinistra sulla spinta di Bossi che sapeva trattare politicamente con tutti».

Lei si occupa ancora di federalismo.

«Oggi i miei interessi sono più di tipo culturale e storico. Nella mia attività di insegnante a contratto, l’Università di Trieste mi ha offerto l’opportunità di trattare il tema dell’analisi dei movimenti federalisti e cambiamenti in senso federale. Maroni, che nel momento delle lotte intestine voleva ancora costruire il partito di buon senso della prima ora, mi chiese di lavorare nel parlamento del nord sul federalismo fiscale. Io accettai, ma senza la presenza di Bossi mi ritrovai a essere merce di scambio fra le diverse faide».

Nel 2009 la decisione di appoggiare Illy come presidente del FVG entrando nel Pd, una scelta che rifarebbe visti i risultati?

«Sono andata a fare la cameriera nel Pd. Io ci credevo tanto, era stata una folgorazione work in progress. La Lega si stava avvicinando a una destra scomoda, era risucchiata da un vortice di potere nel quale doveva la sua esistenza a Berlusconi. In quel momento Illy stava facendo delle riforme di tipo federalista. Da qui la mia scelta di appoggiarlo, inizialmente anche con l’avallo di Maroni. Quel centro sinistra in regione era una danza di buon senso, di opportunità e capacità politiche e amministrative. Mai più visto dopo. Ecco perché poi decisi che avevo voglia di tornare a studiare e di riprendere in mano la mia vita».

È ancora iscritta al Pd?

«No, mi definisco anarchica, atea e vegetariana. I miei interessi al momento sono tornati ad essere quelli che erano prima che la politica mi rovinasse la vita».

In che senso?

«Ho perso tutto a causa della politica. Non sono una privilegiata, come alcuni ritengono, ma una persona che merita le scuse della politica che mi ha usata come capro espiatorio: bella, giovane e intelligente, un cavallo di razza, venni definita da alcuni, che però doveva essere strigliata. Avrei dovuto accettare di rinunciare ad usare la mia testa».

Nel 1994 le subentrò alla presidenza della regione Sergio Cecotti, oggi possibile candidato Governatore: “Tutto cambi affinché nulla cambi”, per dirla con le parole di Tancredi nel Gattopardo?

«Proprio così, Cecotti, che a quel tempo aveva abbracciato gli ideali federalisti del Movimento Friulano di mio padre, era elemento di spicco della Lega. Lui è stata una delle persone che mi hanno fatto più male. Lasciò il partito nel 2003 causando così la mia sconfitta nelle elezioni regionali dello stesso anno».

Non la imbarazza ricevere un vitalizio di 3.000 euro al mese dopo circa 15 anni di servizio?

«Questo importo è solo un riconoscimento dell’alta professionalità con la quale ho svolto il mio mandato in politica e il frutto di quanto versato in un fondo assicurativo durante l’attività politica. Aggiungo che continuo ancora oggi a dare il mio contributo gratuito attraverso l’insegnamento e la ricerca che svolgo senza onorario, solo con rimborso spese per benzina e autostrada, per enti pubblici e privati che richiedono la mia collaborazione. La politica mi ha distrutto l’esistenza sul piano civico e personale. Un concorso pubblico al quale partecipai avendo i titoli per vincerlo è stato annullato piuttosto che riconoscere le mie competenze. Se non è questo accanimento della politica contro una persona, che cosa è? Avrei potuto avere quel posto, mi venne detto chiaramente, se avessi accettato un percorso di riabilitazione. Io rifiutai: mi considero una matta sana, normale in un Paese anormale».

Cosa c’è scritto sulla sua carta d’identità?

«Sono un’insegnante, ho vinto un concorso per entrare in ruolo, ma il diritto andò perso negli anni della mia attività politica. Così la mia carriera è stata bloccata. Mi capita di fare formazione, di fare lezione in Università e in scuole private, compiti che tengo a sottolineare svolgo a titolo gratuito».

Torniamo all’attualità: a suo avviso come è cambiato il FVG in questi anni?

«Nei primi cinque anni dal 1993 abbiamo fatto miracoli. Riforme importanti: è stata creata l’Arpa, realizzata la riforma sanitaria, iniziato il processo di passaggio delle servitù militari alla Regione. Il centro sinistra ha dato un grande contributo negli anni successivi e devo dire che il presidente Riccardo Illy ha governato benissimo. Con lui condivido l’etica dell’impegno pubblico e la concretezza dei risultati nella conduzione della cosa pubblica. Ha saputo guardare avanti, con una capacità imprenditoriale non compulsiva. Credo sia l’unico politico nazionale ad avere una statura alla Macron».

Se la chiamasse sarebbe disposta a lasciare i suoi studi e le sue attività di ricerca per riprendere l’attività politica?

«Non è stato facile riprendere a vivere dopo l’esperienza politica. Il mio corpo gridava e solamente attraverso un duro lavoro di recupero del senso della vita e dell’equilibrio psico-fisico – raggiunto anche attraverso lo yoga, lo sport e uno studio approfondito dell’anatomia del corpo – ho recuperato una normalità e serenità di donna e madre. Riccardo Illy tuttavia è una persona con la quale tornerei a mettermi in gioco».

I suoi progetti nel breve periodo?

«Sto scrivendo un saggio di storia dell’arte con un impianto scientifico basato su documenti rinascimentali, con un supporto documentario non solo di testi cartacei ma anche di testimonianze architettoniche. Sarà un lavoro che tratterà dei terapeuti che seguivano Gesù, fra i quali Maria Maddalena. Il lavoro di una vita per me».

Un lavoro che verrà presentato in che forma?

«Spero che uscirà come pubblicazione per avere la maggior diffusione possibile. Ma non mi chieda quando».

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