I Balcani a Gorizia

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Michele D'Urso

12 Luglio 2013
Reading Time: 5 minutes

Radio Zastava

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Tranquilli, non lasciatevi intimorire dal titolo. Niente invasioni e nemmeno cataclismi tellurici in grado di spostare la regione balcanica in quella alpina. Niente di tutto questo. Però, di vibrazioni potenti come un terremoto, se vi recate a uno dei concerti dei Radio Zastava, gruppo nostrano di musica da loro definita ‘Gipsy balkan swing … and more’, ne potrete sentire, eccome.

Dalla nota informativa che loro stessi pubblicano, si evince che “Il gruppo è formato da otto funambolici artisti (‘the funambolic heptet’)” della nostra regione, che traducono in musica le loro svariate origini: dalla slovena alla friulana passando per la asburgica e la serbo bosniaca. Per non correre il rischio di saltarne qualcuno, li elenco subito: Nico Rinaldi (sax contralto), Marco von Kappel (helikon), Walter “Wallace” Grison (sax tenore), Stefano Bragagnolo (percussioni), Leo Virgili (trombone), Gabriele Cancelli (tromba), Predrag Pijunovic (grancassa) e infine colui che, in qualità di portavoce, rilascia l’intervista, il fisarmonicista del gruppo, David Cej.

David, una curiosità: il nome Radio Zastava è ispirato dalla bandiera (nelle lingue slave il termine è proprio ‘zastava’) o dalla famosa marca di auto prodotta in Yugoslavia negli anni che furono?

«Dall’auto. Tutto nacque dalla grancassa di Predrag ‘Pedja’ Pijunovic… Il suo strumento ha la particolarità che da una parte si percuote con un battente, mentre dall’altra si suona con una bacchetta che produce un suono acuto e molto particolare. Una volta Pedja non si era portato appresso la bacchetta, pensando bene di rimediare svitando l’antenna della sua auto. Essendo Pedja bosniaco, è nato il ‘witz’ che vuole l’antenna presa da una Zastava».

Un passo indietro, prima del nome. Come vi siete messi assieme?

«Ci conoscevamo perchè alcuni di noi suonavano già insieme in altri contesti (principalmente nella Bande Garbe, propaggine bandistica degli Arbe Garbe). Poi, nel 2005, Gigi Miracol, artista girovago veneto, ha contattato Leo Virgili perché gli serviva una band di supporto per il Carnevale di Venezia. Leo, all’epoca unico musicista professionista del gruppo, ci ha contattato tutti, tengo a sottolineare, con uno ‘squallido’ sms, chiedendoci di affiancare Gigi Miracol come Marching Band… ed eccoci qui!».

Avete deciso subito di suonare musica balcanica?

«Era il 2005, periodo in cui la musica klezmer e balcanica cominciavano a invadere l’Italia: noi abbiamo partecipato all’invasione. Molta gente pensa che il balkan sound sia solo Kusturica, con la sua No Smoking Band, o Bregovič, ma in realtà questo genere di musica ha confini molto più ampi. Nella nostra regione abbiamo avuto band come gli Zuf de Žur o i Kosovni Odpadki. Noi, vuoi per una teatralità tutta nostra (abbiamo suonato appesi ai rami di un faggio secolare e anche su sette sidecar per le vie di Cesena), vuoi per le nostre origini diversissime, ci siamo spinti un po’ più in là, aggiungendo altro».

E così ci troviamo di fronte al vostro successo…

«Il bello del nostro gruppo è l’armonia che ci tiene assieme».

Niente screzi, niente prime donne?

«Assolutamente no. Anche i due elementi che diversi anni fa lasciarono la band lo fecero perché avevano deciso di espatriare per studiare o seguire altri progetti musicali. Per noi è stato istintivo capire, in base al proprio talento, la rispettiva collocazione. E una volta che hai trovato il tuo ruolo non ti importa se in un pezzo tu hai un intervento più corto degli altri, perché sei consapevole che senza quell’apporto il brano non sarebbe più lo stesso».

Massima collaborazione, quindi. Un concetto per nulla scontato nella nostra società.

«Concordo, anche se forse il nostro campo specifico crea l’uguaglianza dell’ambiente. Faccio un esempio: se gioco a basket e la mia squadra perde, io, che magari ho segnato 30 punti, posso pensare, sbagliando, di essere fuori dalla sconfitta; nella musica non è mai così».

Quante prove fate?

«Una volta alla settimana. Ognuno di noi ha un lavoro diverso, con orari diversi, e proveniamo da posti diversi, dove risiedono le rispettive famiglie. Riuscire a trovarci una volta alla settimana è già un mezzo miracolo».

Avete un agente?

«No. Tutto viene deciso insieme. Anche il fatto che io sia ‘addetto alle pubbliche relazioni’ è una decisione collettiva, come chi deve tenere la cassa, chi tiene i contatti con le manifestazioni, e altro. Ognuno fa ciò che sa fare meglio. Devo ammettere che dal punto di vista commerciale, forse, avremmo bisogno di una mano, perché noi siamo presi dal suonare, e il tempo di far tutto non c’è».

Chi scrive i testi?

«In realtà abbiamo solo una canzone cantata (Canzone Arrabbiata); e anche quella di fare musica senza aggiungere dei testi che dicano per forza qualcosa di intelligente è una scelta collettiva. Noi comunichiamo con le note. La stessa Canzone Arrabbiata in principio era cantata da tutti, adesso la canta solo uno. Ma principalmente per esigenze tecniche».

Possiamo fare un elenco delle vostre opere?

«A noi piace suonare dal vivo e il nostro punto di forza, il nostro legante, è proprio il concetto di festa che abbiamo in comune. Finora abbiamo fatto centinaia di concerti ma solo due dischi: The funambolic heptet e The funambolic experiment. Entro l’estate speriamo di far uscire il nostro terzo lavoro che stiamo attualmente registrando e del quale, come scaramanzia vuole, non anticipo nulla».

Se non avete un agente, avrete almeno un distributore?

«In realtà no. I nostri dischi si trovano solo ai nostri concerti… Ma in questo ambito forse dovremmo trovare un’altra soluzione».

Domanda personale: hai sempre suonato la fisarmonica?

«Ho cominciato da bambino con questo strumento, poi in età adolescenziale sono migrato verso la chitarra, ritenuta strumento più seducente. Ma passata la pubertà sono rinsavito, per tornare alla fisarmonica che mi dà sempre maggiori gioie.  Ultimamente uso quella ‘coi bottoni’, che trovo più agile e assolutamente geniale per com’è concepita la distribuzione delle note».

Andresti a Sanremo?

«Per partecipare al Premio Tenco (premio assegnato anche a strumentisti e arrangiatori)… senz’altro!».

L’ultima è una domanda campanilistica. Provenite tutti da più parti: siete un gruppo friulano o giuliano?

«Goriziano. Gorizia, secondo me, è omnicomprensiva perché racchiude in sé tutta la storia della regione, anche negli usi e nei costumi».

Oltre a essere la tua città…

«Non si può pensare a questa città senza tenere in considerazione tutta la sua storia e tutto il territorio circostante. Faccio un esempio: nel monastero della Castagnevizza, a 100 metri in linea d’aria da casa mia, sono seppelliti gli eredi al trono di Francia. Solo che è in Slovenia, e nessuno, in Italia, ne fa menzione, mentre io, come tanti goriziani, vedo il monastero ogni volta che mi affaccio alla finestra…».

Gorizia, città di verità nascoste. Come un po’ tutta la nostra regione. David scappa via, atteso a una partita di basket, sport che pratica ancora con passione. Io resto a prendere gli ultimi appunti, poi esco in strada. L’aria ha un profumo particolare; misto alpino e mediterraneo. D’un tratto non trovo più così strano che le note dei Balcani giungano fi no a Gorizia. Non si è sempre detto che la musica unisce, nevvero?

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