Il costruttore visionario

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Michele Tomaselli

17 Agosto 2016
Reading Time: 8 minutes

Giacomo Ceconi

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La Transalpina è una linea ferroviaria ricca di storia ed è costellata da opere ingegneristiche di notevole complessità; anzitutto il ponte di Salcano, che sormonta il fiume Isonzo poco dopo il confine italiano, è reputato un capolavoro architettonico, soprattutto per la sua arcata in pietra di 85 metri, particolare che lo eleva a ponte in pietra a campata unica ricurvo più lungo del mondo. Poi, in direzione di Villaco, prima di arrivare a Jesenice, si trova il traforo delle Caravanche, una galleria della lunghezza di 7.975 metri che collega la Carinzia alla valle slovena di Zgornjesavska.

Degna di nota anche la galleria del Woichen (Piedicolle), nei pressi di Tolmino, un traforo alpino della lunghezza di 6.327 metri sotto le Prealpi Giulie. Ma sono anche interessanti i fabbricati della stazione di Nova Gorica (Görz Staatsbahnhof), in stile secessionista, e l’adiacente deposito delle locomotive.

La Transalpina, considerata oggi uno dei percorsi ferroviari più affascinanti d’Europa, venne inaugurata il 19 luglio 1906, da sua altezza reale, erede al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando (più tardi ucciso a Sarajevo nell’episodio che sancì l’inizio della Prima guerra mondiale) e serviva a collegare Jesenice a Trieste, la parte mancante dei 717 chilometri dalle Ferrovie imperiali, tra Praga e il Litorale Adriatico. Alle origini fu denominata Wocheinerbahn, dal nome della valle del lago di Bohinj in Slovenia (che in tedesco si dice Woichen), raggiunta dal percorso. Tra i protagonisti indiscussi di questa ferrovia, iniziata nel 1901 e terminata solamente cinque anni dopo, troviamo il friulano Giacomo Ceconi, uomo di umili origini che seppe costruire con la fatica del lavoro un vero e proprio impero. In pochi anni riuscì a diventare uno dei massimi costruttori di ferrovie dell’Impero Austroungarico, fino a disporre di 16.000 uomini, in gran parte provenienti dai monti del Friuli.

Ceconi nacque nel 1833 a Pielungo, piccolo borgo silenzioso della spettacolare Val d’Arzino: qui le bellezze sono ancora oggi innumerevoli, in gran parte legate all’acqua, tra laghi, sorgenti carsiche e torrenti ovunque, pozze dal colore smeraldo, carsismi e fenomeni di erosione.

I genitori di Giacomo (Jacum, in friulano), Angelo Ceconi e Maddalena Guerra, possedevano una casa modesta; in particolare erano dediti alla coltivazione della terra, conducevano un’esistenza semplice e tradizionale, sapendo come resistere al clima della vallata. La vita di montagna era dura, fatta di ritmi serrati e pesantemente condizionata dai rigidi inverni. Così, nella lotta per la sopravvivenza, la sua famiglia, come buona parte della popolazione, s’ingegnava a costruire zoccoli (tàlmines), che poi vendeva nei mercati di Clauzetto e Spilimbergo. Jacum passò tutta l’infanzia in questa vallata, portandosi addosso una gerla fino a che, appena diciottenne, tentò la fortuna nella città dei venti; assieme a suo cugino raggiunse Trieste e cominciò a lavorare nell’impresa Martina di Chiusaforte, allora appaltatrice dei lavori del parco ferroviario della Meridionale. A quel tempo Trieste era uno dei centri più importanti dell’Impero Austroungarico, dotata di un’efficiente linea ferroviaria e di un porto tra i più importanti d’Europa.

Dodici, quattordici ore al giorno: era questo il normale orario di lavoro di Jacum. Dapprincipio doveva sgobbare così tanto per portare a casa qualche fiorino, anche se tutto migliorò quando ebbe la fortuna di apprendere il mestiere di muratore. D’altra parte districarsi con pietre e mattoni era un’arte per Jacum, oltre che permettergli di ottenere la fiducia dei capi. Incoraggiato dai risultati ottenuti, soprattutto attraverso gli studi scolastici, che frequentò nel tempo libero, tra gli anni 1851 e il 1856, investì il suo primo gruzzolo acquistando manuali di tecnologia costruttiva nei campi stradali, ferroviari e civili. Cosicché li assimilò scrupolosamente anche imparando a rinunciare a ogni tipo di svago e risparmiare quanto più denaro possibile. Tuttavia la strada verso il successo era alle porte… I cantieri triestini erano stati bloccati per un guasto tecnico che nessuno sapeva risolvere. Jacum si fece avanti e ovviò con astuzia al problema, ottenendo per premio la qualifica di muratore.

Ma, a vent’anni, nel pieno della giovinezza e delle forze, lo colse impreparato la chiamata alle armi, un servizio allora obbligatorio della durata di otto anni, previsto per i sudditi del Regno Lombardo Veneto, di età compresa fra i venti e i venticinque anni. Cosicché Giacomo correva il rischio di essere sbattuto in Galizia, al confine dell’impero austriaco. Tuttavia mamma Maddalena fu subito dell’avviso di risparmiargli quella fatica, facendosi carico delle ingenti somme di denaro previste per l’esonero. Così Jacum, sfumata la chiamata alle armi, decise di fondare un’impresa, con l’avvio di diversi lavori per la costruzione di ponti, stazioni e tronchi ferroviari.

Nel 1857, a ventiquattro anni, partecipò alla costruzione della ferrovia Sudbahn: da Klagenfurt a Agram, in Croazia, e a Stuhlweissenberg, in Ungheria. Più tardi venne designato alla sorveglianza di alcuni cantieri, quindi promosso capo squadra e, infine, incaricato di eseguire dei lavori a cottimo. Nel 1865, la sua impresa risulta aggiudicataria di alcuni appalti sulla linea del Brennero e di diverse opere in Ungheria sulla ferrovia Ödenburg-Sopron e Steinamanger-Szombathely. Tuttavia, a causa di alcuni concorrenti sleali non riuscì a collaudare alcune infrastrutture e, per questo motivo, gli fu sottratto l’appalto. Non gli restò altro che promuovere un’azione legale per ottenere legittimamente giustizia. Fu per forza vittoria, oltretutto con il giusto indennizzo.

Cosicché Giacomo Ceconi poté iniziare la sua carriera di grande costruttore. E siccome da cosa nasce cosa, seguendo un  cantiere in Ungheria Giacomo conobbe una ragazza, Caterina Racz, che ben presto diventò sua sposa, oltre che consentirgli di avere due figli: Angelo (venturo ingegnere) e Rosa. Tuttavia la morte della moglie travolse ogni cosa e Ceconi, rimasto vedovo, decise di risposarsi con Giovanna Wuch, austriaca, da cui ebbe altri quattro figli: Vittorio, Jenny, Elvira e Umberto. Un passo avanti per ricordare che nel 1874, anche Giovanna morì, così ebbe modo di risposarsi (seppure per un brevissimo periodo) con Gertrude Maria Dittmar. Intanto nel 1866, cinque anni dopo l’Unità d’Italia, anche il Veneto e il Friuli Occidentale (e, conseguentemente, Pielungo e la Val d’Arzino), furono annessi al Regno d’Italia. Giacomo Ceconi, onde consentire la partecipazione della sua impresa alle gare d’appalto del Regno di Austria e Ungheria, spostò la residenza a Gorizia; in questo modo conseguì la cittadinanza austriaca. Fu un valido motivo per costruire la villa in stile “neogreco” di via del Monte Santo (oggi sede della Direzione Generale dell’ERSA) e arricchita da un parco in stile romantico, su progetto dell’architetto triestino Giovanni Andrea Berlam (1823-1892).

Sempre realizzazioni di Giacomo Ceconi furono le linee ferroviarie da Zagabria a Székesfèhervàr, a Unterdrauburg e a Villacco; alcuni collegamenti ferrati in Baviera e in Boemia, tra cui le ferrovie da Kreuzstatten a Mislitz e da Grussbach a Znjmo; oltre che le stazioni dell’Austro Ungheria di Vipiteno, Colle Isarco, Brennero, Gries, Fiume, di San Pietro al Carso di Pontafel, (inglobata dopo la Grande Guerra a Pontebba) e di Tarvisio. Più tardi, nel 1870, spostando alcuni suoi cantieri in Italia, realizzò la linea tra Pontebba e Tarvisio, allora vivaci cittadine di frontiera divise dal Regno sabaudo e il Regno asburgico. Quest’ultima ferrovia, che collegava Udine a Tarvisio, era allora un’infrastruttura di notevole livello ingegneristico, oltre che paesaggistico, dotata di arditi viadotti e lunghe gallerie.

Ma le imprese ferroviarie più importanti furono il traforo dell’Arlberg, una galleria di 10.200 metri fra la Svizzera e l’Austria, e la galleria del Woichen, sulla linea Transalpina e lunga 6.327 m. A proposito dell’Arlberg, il 23 dicembre 1880 ebbe luogo la discussione delle offerte: migliori offerenti rimasero le imprese Giacomo Ceconi per la parte orientale e i fratelli Lapp per il tratto occidentale. Secondo il capitolato speciale d’appalto il termine conclusivo per la fine dei lavori era previsto il 15 agosto 1885, la penale per ogni giorno di ritardo era di 800 fiorini. Dal giornale dei lavori si legge che il 25 giugno 1881 furono ultimati i primi mille metri del traforo; il 19 novembre 1883, il Ministro del Commercio accese la miccia che squarciò l’ultimo diaframma di galleria e il 14 maggio 1884 venne murata l’ultima pietra del tunnel. Cosicché dopo le operazioni di collaudo, il 3 settembre 1884, fu inaugurata ufficialmente la tratta Landeck-Bludenz. Ruolino da record che testimonia la fine dei lavori anticipata di un anno.

In galleria si lavorava giorno e notte, e i turni si alternavano ogni otto ore; ma è curioso sapere che Giacomo Ceconi era presente al cambio della squadra, così da poter impartire gli ordini e prevenire possibili infortuni. Per far fronte a questa colossale opera, Ceconi ricorse a innovazioni tecnologiche fuori dal comune, soprattutto nel campo della sicurezza. Così, grazie al coraggio di scelte rivoluzionarie si ritrovò ricco sfondato. In breve tempo la sua impresa crebbe a dismisura, fino a contare 16.000 uomini, molti dei quali provenienti dalla Val d’Arzino e dalla Val Tramontina. D’altra parte anche  l’imperatore Francesco Giuseppe si era accorto di lui e per questo motivo gli conferì il titolo di “Nobile di Montececon”. Da lì a poco iniziò un periodo di grande splendore per la famiglia Ceconi, tanto che la villa di Gorizia divenne ben presto salotto della nobiltà friulana.

A fine dell’Ottocento la sua impresa era diventata un colosso dell’edilizia con cantieri sparsi in tutta Europa. Sono di questo periodo i lavori di ristrutturazione del porto di Trieste e di alcune baie in Sardegna. In seguito, completata a tempi da record – otto mesi prima dei termini contrattuali – la galleria del Wochein, si stabilì definitivamente a Pielungo ove trasformò la casa paterna in una dimora degna di un principe. Dall’analisi architettonica emerge un’imponente costruzione neo-gotica dallo stile eclettico, con venature di liberty e dai riflessi medioevali e rinascimentali, circondata da torri e merlature a immagine della sua vita. D’altra parte ritornare alle origini per Giacomo Ceconi significava soprattutto godersi la quiete delle montagne e la bellezza della Val d’Arzino Ma, dopo una vita dura di lavoro, piuttosto che godersi la pensione, scelse di ascoltare la voce dei suoi cittadini, costruendo una nuova strada, tra la Val d’Arzino e Tolmezzo, valicando Sella Chianzutan, là dove a stento si inerpicavano solo le capre. La notizia del progetto destò stupore e incredulità, dacché i residenti non ritenevano possibile che un imprenditore potesse erigere autonomamente una nuova carrozzabile e sostituirsi alle istituzioni.

Lo stesso Ceconi predispose il progetto e il 18 settembre 1889 esplose la prima mina che aprì il varco alla nuova strada. Gli undici chilometri del tracciato furono in buona parte scavati su roccia e consolidati da imponenti opere di sostegno costituite da muraglioni e scarpate in pietra.

L’inaugurazione ufficiale avvenne il 15 novembre 1891, alla presenza delle autorità, tra cui il senatore Antonino di Prampero e un rappresentante del Governo. Fu allora che Giacomo Ceconi intitolò la strada alla Regina Margherita, venendo insignito dal re Umberto I del titolo di Conte della Corona d’Italia. Ancora oggi quella strada è un itinerario ideale che ha mantenuto il nome e le sue bellezze.

Negli ultimi anni di vita il Conte Ceconi si dedicò all’attività politica di Pielungo, venendo eletto più volte sindaco, nonché consigliere della Deputazione Provinciale di Udine. Grazie al suo impegno nelle istituzioni riuscì a vincere l’isolamento della vallata, costruendo i primi acquedotti comunali, alcune aziende agricole, nuovi ponti e sette scuole; queste ultime realizzate solo grazie alla sua generosità. In questi anni assunse una badante di origine slovene, Giuseppina Novak, che conquistò l’animo di Jacum. I due si innamorarono ed ebbero due figli: Mario (che diventerà uno dei massimi scultori italiani del ‘900) e Magda. Il conte, vecchio e ammalato, si spense definitivamente a Udine il 18 luglio 1910, per essere poi trasferito a Pielungo e seppellito nella Cappella di famiglia.

Alla sua memoria sono state intitolate numerose vie e il nome dell’Istituto Professionale di Stato di Udine. A centosei anni di distanza dalla scomparsa del Conte Giacomo Ceconi, il suo ricordo è ancora vivo soprattutto nella Val d’Arzino. Di recente la Graphic Studio di Arba, azienda leader nel mercato della fotografia matrimoniale, ha provveduto a restaurare il Castello Ceconi riportandolo agli antichi splendori.

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