Banche, evoluzione o rivoluzione

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redazione

17 Maggio 2016
Reading Time: 5 minutes

Credito e futuro

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“Oggi le banche sono sotto assedio… Una nuova tecnologia per i prestiti minaccia le reti bancarie”. Indovinate un po’ in che anno si è iniziato a parlare delle banche in questi termini?

Se avete pensato al 2015, siete molto lontani da quando più di 27 anni fa fu pubblicato un libro, “Rompere la banca”, in cui Lowell L. Bryan sostenne che il settore doveva evolvere separando le diverse attività in componenti autonome, trasparenti, ciascuna capace di sostenersi finanziariamente senza far ricorso agli utili di quelle più redditizie. Si riferiva alla “tecnologia” delle cartolarizzazioni dei mutui subprime che tanti danni sistemici ha generato. Oggi le banche, alcune in procinto di superare le difficoltà generate dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007, altre ancora afflitte dalle problematiche dei crediti deteriorati, sono di nuovo sotto assedio, minacciate da una regolamentazione più stringente e dalle nuove tecnologie (questa volta informatiche e delle comunicazioni), sullo sfondo di politiche monetarie espansive che comprimono la loro fonte tradizionale di guadagno, gli interessi sui prestiti.

Forti spinte al cambiamento provengono infatti dall’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Questa evoluzione costituisce il terreno fertile su cui si sviluppano varie iniziative tese a modificare, fare evolvere, rendere più efficiente e ampliare la sfera dei servizi finanziari. I nuovi ingressi sono molteplici: aziende della tecnologia e delle telecomunicazioni, retailer on e offline, start up innovative e market-place virtuali, anche del tipo P2P (peer to peer), spesso raccolti sotto l’espressione Fin-Tech. Molti banchieri sono preoccupati dal cosiddetto fenomeno dell’unbundling, ovvero dalla scomposizione e disintermediazione che si sta manifestando in modo diverso da quanto immaginato più di un quarto di secolo fa, ovvero da nuovi player provenienti da settori diversi che sfruttano le nuove tecnologie. Questi operatori stanno attaccando le parti più redditizie del business bancario, quello dei servizi finanziari di base che implicano un contatto diretto con la clientela.

È troppo presto per capire se questi cambiamenti strutturali investiranno in maniera permanente il settore bancario o alcune sue parti. I corsi e i ricorsi storici non si applicano soltanto ai cambiamenti geo e socio politici. Avvengono anche nell’economia. La storia economica suggerisce che la separazione (unbundling) è un fenomeno temporaneo e periodico comune a molti settori industriali e che gli svantaggi di business verticali (monoline) in ultima analisi portano a una ricomposizione (rebundling) sia che si tratti di non banche che sostituiscono le banche tradizionali sia di banche che acquisiscono e integrano le non banche.

Evitando di fare parallelismi azzardati, si dice che i processi sono sempre evolutivi: appaiono rivoluzionari a chi non sa leggere tendenze e fenomeni, magari all’inizio nella forma di segnali deboli che però quando raggiungono una massa critica irrompono sulla scena improvvisamente. E sembrano rivoluzioni. Proprio come negli ecosistemi biologici, nei quali diversi organismi elementari si evolvono in modo indipendente per poi aggregarsi in nuove forme di vita che successivamente si differenziano, dando luogo alla tanto essenziale biodiversità. Ma non è la natura che muove l’evoluzione dei settori industriali. Essenzialmente sono le nuove tecnologie, l’ambiente socio economico e istituzionale di riferimento, fatto da attori privati e pubblici, regolamentazioni e struttura dei mercati. E poi un ruolo fondamentale lo svolgono i cicli economici e del credito. All’inizio di periodi espansivi le perdite su crediti sono contenute e ciò favorisce l’ingresso di nuovi operatori, grazie anche alla presenza di liquidità abbondante. Tuttavia nel corso dei cicli espansivi per un business di prestito diventa più agevole uno sviluppo che possa contare su fonti di finanziamento stabili come quelli a disposizione delle banche. In periodi di contrazione e di accesa competizione gli operatori monoline hanno l’esigenza di integrare l’offerta con nuovi sevizi e di diversificare, diventando più simili alle banche. Aumentano la rischiosità dei prestiti e quando la loro qualità inizia a peggiorare la disponibilità di fondi inizia a rarefarsi e, di nuovo, poter contare su fonti finanziare stabili diventa fondamentale.

Questa volta la storia potrebbe essere diversa. Ad esempio per i cosiddetti financial marketplace, le piattaforme on line in cui si incontra direttamente l’offerta di venditori di crediti (o di richiedenti prestiti, imprese e privati) e la domanda di investitori alla ricerca di rendimenti. Per loro l’esigenza di trovare fonti di finanziamento potrebbe essere soddisfatta da fonti di raccolta alternative o complementari, ma rimarrebbe l’esigenza di soddisfare altri fabbisogni finanziari, per non rimanere solo un episodio sporadico e opportunistico nel ciclo di vita finanziario della clientela. Viene da chiedersi se nell’adottare un approccio più olistico nella gestione della relazione con il cliente con un’offerta più completa questi operatori saranno in grado di mantenere la stessa efficienza e qualità di servizio.

Le banche come le conosciamo oggi non sono sempre state cosi, con centinaia, anche migliaia di prodotti e servizi, dal più semplice al più sofisticato, tanto da configurarsi come conglomerati di business e attività molto diverse tra loro, con sistemi operativi e gestionali incredibilmente complessi. Anche loro hanno cominciato facendo bene una sola cosa.

Nel Rinascimento in Italia le funzioni bancarie si svilupparono dall’attività degli orafi , custodivano l’oro e altri oggetti preziosi, restituendoli quando richiesto e rilasciando in cambio una ricevuta. A queste funzioni di custodia si aggiunsero via via quelle di cambiavalute e successivamente di garanzia dei pagamenti e poi di prestito.

Nel XV secolo Firenze aveva un’ottantina di banche che facevano prestiti a re, imperatori e papi. Oggi nessuno si sognerebbe di lanciare da zero una banca come Intesa Sanpaolo. Affonda le radici in centinaia di anni di storia lungo un percorso evolutivo che ne ha fatto il primo gruppo bancario italiano e tra i primi in Europa. Negli ultimi 10-15 anni la tecnologia ha abilitato lo sviluppo, spesso strabiliante, di start up nei prestiti on line diretti tra privati, nei servizi di gestione del risparmio on line, nei pagamenti via smartphone o wearables (lo smart-watch è solo una prima avvisaglia dei dispositivi che avremo a disposizione), fino alle banche totalmente virtuali.

Fra non molto questi nuovi operatori potrebbero trovarsi ad affrontare le stesse sfide degli operatori bancari tradizionali. Spesso la loro operatività e competitività deriva anche da ambiti di mercato preclusi alle banche o dall’apertura di settori prima riservati alle banche. La PDS2, nuova direttiva europea sui sistemi di pagamento, dal 2017 consente ad esempio l’ingresso sul mercato di nuovi operatori specializzati in competizione con gli attuali player.

I cicli di unbundling e rebundling sono infatti influenzati e spesso determinati dalle normative regolamentari almeno tanto quanto lo sono dalle forze di mercato e dalle nuove tecnologie. Quando il contesto istituzionale e i regolamenti cambiano, le aziende devono adattarsi al nuovo ambiente per sopravvivere. Dato l’attuale stato iper regolamentato del sistema bancario ci si piò aspettare di assistere all’irrompere di molte innovazioni e nuovi modelli di business creati da operatori non bancari.

Le banche tuttavia non stanno a guardare, molte di loro stanno cavalcando le opportunità offerte dalle nuove tecnologie facendo leva sulle proprie ampie basi di clientela e su enormi patrimoni informativi che stanno iniziando a sfruttare. Ci saranno vincitori e perdenti e certamente la banca del futuro sarà molto diversa dall’attuale. Quando i nuovi players avranno raggiunto dimensioni abbastanza grandi, tali da creare problemi e rischi sistemici, assisteremo a cambiamenti delle regolamentazioni.

E probabilmente a ricomposizioni e riaggregazioni frutto di contaminazioni evolutive tra modelli di business innovativi e tradizionali.

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