Unico come Tex!

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Michele D'Urso

20 Gennaio 2016
Reading Time: 5 minutes

Orlando Manfrini

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“Carnuale, carnualicchio, damm ‘nu stoz d ciaucicchia, se nun mo voi dà, che te possa strafoga!” Così recita una antica filastrocca pugliese, che in poche parole esprime tutto il mondo che girava, e gira ancora, attorno al Carnevale. ‘Carnevale, carnevalino caro, dammi un pezzo di salsiccia, se non vuoi darmelo… che tu possa strozzarti!’; questa la traduzione.

Carnevale non è solo una chiassosa sfilata mascherata; nei tempi addietro era il simbolo del rifiorire della natura, perché in questi giorni l’inverno comincia a mostrare i colori della primavera (anche se quest’anno Martedì Grasso cade il 9 febbraio). Carnevale è speranza di felicità. Carnevale è ‘Imbolc’, come i Celti chiamavano la ‘Candelora’; è il periodo in cui nascono gli agnelli, dove i salumi acquistano la saporita stagionatura e il vino la necessaria forza. E chi meglio di Orlando Manfrini, indiscusso mattatore del Carnevale Monfalconese da oltre mezzo secolo, può spiegarci la forza di questa festa?

«Ci vuole tanta forza – confida il diretto interessato – per portare sulle spalle il peso di una tradizione nata secoli addietro. La nascita del mio personaggio, el Sior Anzoleto Postier de la Defonta, si può far risalire al 1884, quando Angelo Paolini, dall’improvvisato pulpito del quarto gradino della colonna di San Marco, e alla luce di un ‘feral’, fece giurare ai monfalconesi che avrebbero per sempre onorato la ‘Cantada’, ovvero il Carnevale. Quindi la tradizione del nostro carnevale è sì documentata dai tempi dell’Austria, ma è chiaro che affonda le proprie radici ancora indietro, ai tempi della Serenissima e oltre».

Come è giunto a interpretare Sior Anzoleto?

«Sono nato a Fiume, oggi Rijeka, il 27 agosto del 1935 da genitori marchigiani. Fummo profughi in più parti, fi no ad approdare a Monfalcone. Giovanissimo mi dedicai al teatro frequentando la compagnia teatrale ‘Dario Niccodemi’ di Trieste, per poi passare alla compagnia di Avanspettacolo ‘De Rose’, che erano considerati gli eredi di Angelo Cecchelin. Erano gli anni ’50, e la mia ‘qualifica’, se così possiamo chiamarla, era di ‘Comico fantasista imitatore’: in tale ruolo ho girato per il Triveneto e oltre, portando uno spettacolo fi no a Vienna, in tedesco ovviamente, lingua del quale non parlo una parola».

Come riuscì nell’impresa?

«Imparai a memoria tutto il testo tradotto in tedesco, curando perfino l’inflessione come in certi dialetti teutonici. Nessuno capì che non parlavo una parola di quella lingua, anzi, ottenni critiche favolose».

Ha detto che faceva anche l’imitatore…

«Personaggi come Alberto Sordi, Vittorio ‘tojo’ De Sica, come lo chiamavo io, Ugo Tognazzi e tanti altri costituivano parte del mio repertorio».

Come mai non ha proseguito la carriera?

«Perché ho sempre lavorato! Prima di tutto riempir la pancia; e poi, mettendo su famiglia, non potevo permettermi di allontanarmi da casa».

Arriviamo agli inizi degli anni Sessanta, e Orlando divenne…

«Era il 1964 e il signor Emilio Cosani, componente del direttivo della ‘Società Monfalconese di Mutuo Soccorso’ – che all’epoca organizzava il Carnevale mentre ora il compito è affidato alla Pro Loco – mi investì della fi gura di Sior Anzoleto Postier de la Defonta, cosa che continua ancora oggi, dopo 51 anni, record mai raggiunto prima e difficilmente eguagliabile dai Sior Anzoleto che verranno».

Probabilmente nel mondo nessun Re Carnevale detiene un record di longevità come il suo…

«Sì, ma non ci penso. D’altronde non mi sono limitato solo a questo. Con la mia sposa siamo diventati ballerini sportivi e abbiamo portato a Monfalcone diversi titoli italiani. Gareggiavamo per il Circolo Isontino Amatori Ballo Sportivo, e diventammo così famosi nel campo che mi toccò anche divenire vicepresidente nazionale della federazione».

Un uomo dalle risorse senza fine.

«E visto che mi piace anche la lirica, collaborai con il cavalier Doria alla fondazione del circolo lirico e del museo dedicato a ‘Beniamino Gigli’, prodigandomi nella divulgazione delle attività del sodalizio e girando mezza Italia anche per loro. Ovviamente, anche in quel caso mi toccò assumere il ruolo di presidente. E poi con la ‘Cantada’ abbiamo portato, per anni, in scena delle commedie…»

Basta così come curriculum…

«Ancora un’aggiunta. Da oltre vent’anni sono consigliere della Pro Loco di Monfalcone, per la quale sono stato anche vicepresidente, e a Ravenna ho partecipato alla fondazione del club “Raoul Casadei”».

Una vita senza pause.

«Ci sono stati anche tempi bui. La prematura scomparsa di mia moglie Gianfranca, ad esempio. Però abbiamo avuto due figli stupendi, Cristina e Marco, che mi hanno sempre aiutato e sostenuto. Marco è sposato con… Cristina (tranquilli, è solo un’omonimia) e mi hanno dato il regalo più grande: mio nipote Morgan, che, come disse Sior Anzioleto nel discorso dell’anno in cui è nato, “visto el nome el sarà un pirata come il nono!” (visto il nome sarà un pirata come il nonno, ndr)».

Soffermiamoci proprio sul discorso che ogni Martedì Grasso attira a Monfalcone gente da ogni dove.

«Si tratta del ‘Testamento del carneval’, redatto da me con spunti suggeriti da qualche amico. In questa mia arringa dialettale metto alla berlina le ipocrisie della gente, i misfatti degli amministratori, sia locali che nazionali, e forse per questo sono temuto e rispettato».

Temuto e rispettato: sono parole che ricordano i testi di Gianluigi Bonelli, il papà di Tex, fumetto di cui lei è grande estimatore…

«Estimatore e collezionista. Ho letto Tex per la prima volta da profugo a Palmanova nel 1948, e mi colpì perché lui era amico dei Nativi Americani, popolo per il quale ho sempre avuto una grandissima ammirazione. Per carità, non sono atletico come Tex, ma di avventure ne ho vissute tante anche io».

Infatti lei è anche un grande viaggiatore.

«Se dovessi scrivere un diario di viaggio credo che potrei benissimo spacciarlo per un trattato di Antropologia, ma a due firme però, la mia e quella di Luigi Cervai, il mio ‘Pard’ per antonomasia come direbbe Tex Willer; più che un amico, un fratello».

Il viaggio che le è rimasto più impresso?

«L’Amazzonia. Noi abbiamo sempre viaggiato senza appoggiarci a nessun tour operator, stabilendo solo le date di partenza e ritorno, e i luoghi. Ingaggiammo una guida e scoprimmo l’Amazzonia non partendo dai soliti circuiti, ma scendendo dalla cordigliera peruviana. Ci successe di tutto, compreso l’attacco di un giaguaro. E non riuscirò mai a scordare il concerto mattutino con il quale le scimmie salutano il nuovo giorno».

Torniamo a casa: Monfalcone ama Orlando-Anzoleto.

«E io amo Monfalcone e la sua gente. Ricevere nel 2006, dall’allora sindaco Pizzolitto, la massima onorificenza, il Sigillo della Città, mi onora ancora oggi. Anche la Medaglia d’oro della Regione Friuli Venezia Giulia conferitami per il 50° anno del mio Sior Anzioleto la ritengo un gran riconoscimento al mio operato».

E anche questa piccola intervista, caro Orlando-Anzoleto, vuole essere un piccolo tributo al suo immenso talento di uomo, di attore, di artista a tutto tondo, di padre e di nonno. Il titolo dell’articolo è un piccolo stratagemma per chiudere l’intervista con una frase che riassume la sua personalità. Unico come Tex? No! Orlando, come …Te(x), nessuno mai!

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