Friuli in giallo

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Vanni Veronesi

30 Gennaio 2015
Reading Time: 4 minutes

Francesca Raffaella Guerra

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Chi è Francesca Raffaella Guerra?

«Un’appassionata di crimini fin da adolescente, quando vidi una trasmissione dedicata a Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee…»

Era Mixer di Giovanni Minoli, vero? Ricordo un’imitazione fantastica di Corrado Guzzanti…

«Ma lo imitavo anch’io! – ride – Minoli aveva uno stile inconfondibile e il montaggio di Mixer era qualcosa di nuovo per la tv di allora. Quello speciale su Dahmer mi colpì profondamente: iniziai a occuparmi di assassini seriali. A sedici anni».

Una passione quantomeno ‘curiosa’. Come reagiscono le persone quando lo sanno?

«Con stupore e talvolta sconcerto, inutile negarlo, ma la cosa mi diverte. La puntata di Minoli era andata in onda nel 1991; l’anno dopo avevo l’esame di passaggio dal triennio al biennio delle superiori e come tesina a piacere portai… Jeffrey Dahmer!»

Immagino la facce del corpo docente.

«La loro curiosità si spostò dall’argomento della tesina alla sottoscritta: cercavano di capire chi fossi io!».

Cosa le interessa in particolare di questo mondo?

«Mi colpiscono gli aspetti psicologici: cosa scatta nella mente di un uomo? Come si arriva a compiere simili delitti? Penso a Dennis Nilsen, il mostro di Londra, necrofilo e assassino di 15 persone. Ho compiuto varie ricerche su di lui e nel 2008 gli ho anche scritto: siamo entrati in comunicazione epistolare ed è nata un’amicizia, con tutti i limiti del caso».

Che persona è Nilsen?

«Ho scritto un romanzo su di lui, ancora inedito, privandolo del fascino che gli è stato cucito addosso. I serial killer sono persone deboli, sconfitte, con enormi dolori alle spalle, fra cui la consapevolezza della propria malattia mentale. Nilsen è in carcere dal 1983; da allora ha tradotto centinaia di romanzi in braille, per permetterne la lettura ai ciechi».

Cosa vi siete scritti?

«Gli ho parlato della mia terra e gli ho dato alcuni spunti per riflettere sulla sua vita carceraria; lui, fra le altre cose, mi ha inviato delle splendide poesie».

Torniamo alla sua adolescenza: cosa accadde terminati gli studi?

«Iniziai a lavorare e, dopo alcuni anni, diventai la responsabile di 52 agenzie matrimoniali in tutta Italia, un impero costruito da una famosa imprenditrice. Per molto tempo ho girato la penisola aprendo nuove filiali e addestrando il personale. Finché, milanese sempre vissuta in città, arrivai a Udine per inaugurare la prima sede friulana».

E cosa accadde?

«Mi ritrovai in una realtà difficile: i clienti erano per lo più ex di altre agenzie sparse nel Nord Est, quindi con un carico di esperienze ben più complesso del solito. E poi parlavano quasi tutti in friulano e io faticavo a comprendere… Ma era proprio la mentalità a essere diversa: la sede di Udine è l’unica ad aver chiuso i battenti. In compenso, esplorai questa regione a me ignota: fu una rivelazione».

Perché?

«Il resto d’Italia ha un’immagine distorta del Friuli: non si sa bene neanche dove collocarlo. Qui ho scoperto luoghi di incredibile bellezza: sono rimasta affascinata da questo ‘compendio dell’universo’, come diceva Nievo. E ho sentito la necessità di scrivere. Ne è nata una serie di romanzi, Friuli terra di misteri, con un personaggio comune: il giornalista Manuèl Feruglio, alle prese con indagini da vero e proprio giallo. A oggi ho pubblicato otto libri, ognuno ambientato in località diverse della regione».

Come prendono forma i suoi romanzi?

«Nascono ‘al contrario’: il punto di partenza è il luogo. Di solito mi segnalano una località interessante; io vado nella sede del Comune per informare della mia iniziativa e mi faccio segnalare un esperto, un ‘tuttologo’ del luogo. Più che storici, sono persone che amano il loro paese e sanno tutte le cose più minute: mi faccio accompagnare da loro e ogni volta è come entrare in un altro mondo. Le loro memorie sono preziosissime».

Quindi è il luogo che ‘crea’ la storia?

«Esattamente: devo essere ispirata dal territorio. Se non scatta la scintilla, non arriva neanche il libro».

Le sue storie sono vere o immaginarie?

«Lo scenario è autentico, ma la trama è di fantasia».

Perché il Friuli le appare come una terra di misteri?

«Venendo dalla realtà lombarda, l’impatto con questa terra è stato fortissimo. Non è questione di ritmi più lenti: quando vivevo a Milano avevo una casa in val Brembana, ma in quella pace assoluta non ho mai scritto una riga. Qui, invece, ho trovato una bellezza insospettabile. E dove c’è tanta luce la fantasia vuole che, dietro, ci siano anche grandi ombre: gli ingredienti per il thriller erano già pronti in questi paesaggi unici».

Progetti futuri?

«A maggio usciranno quattro nuove storie di Manuèl Feruglio, con un taglio diverso rispetto all’altra collana. Resta in piedi, inoltre, la mia idea di partenza: vorrei trasformare Friuli terra di misteri in una fiction cinematografica».

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