Una vita sulla cresta dell’onda

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Michele D'Urso

12 Aprile 2017
Reading Time: 5 minutes
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Giorgio Magi

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Spesso, parlando di sportivi di rango, si usa dire: è un atleta completo. Tale definizione, all’apparenza perentoria, dà comunque adito a qualche perplessità. Cosa si intende per ‘completo’? Forse che è capace di effettuare tutto lo scibile di una sola disciplina, oppure che è capace di tecniche appartenenti a più sport? Chiedo lumi a Giorgio Magi, triestino da Senigallia, classe 1964, abile campione, in terra e mare, di sport fra loro imparagonabili.

Tra il windsurf e il bodybuilding non vedo tante analogie, eppure lei…

«Ho tanti interessi e per questo ho praticato e pratico diversi sport. Tutto è partito dal mare. Io mi sono trasferito a Trieste nel 1971, ma i miei parenti sono ancora nel paese di origine, per cui passavo le estati dividendomi fra il medio e l’alto Adriatico».

E dove ha iniziato a praticare?

«Ho cominciato a cavalcare le onde nelle Marche. Partecipai ai soliti corsi di vela per ragazzi, mi piacque e cominciai a gareggiare nelle classi 470 e Flyng Junior, ottenendo buoni risultati. Si era in pieni anni ‘70».

E proprio in quel periodo il windsurf, in Italia, visse la sua epoca d’oro.

«Posso dire di essere stato un pioniere di questa disciplina e anche un buon praticante: dopo appena due anni ero già campione europeo senior in una classe che oggi nemmeno esiste più e che veniva denominata ‘Scirocco’».

Per uno che vive nella città della Bora, oserei dire un ‘segno’.

«Gareggiavo per la Società Velica Barcola e Grignano. Per me il windsurf era tutto: andavo a scuola, ma per  modo di dire… Non terminai gli studi fermandomi a metà delle superiori. I miei impegni sportivi mi assorbivano completamente, supportati dai risultati, tanto che nel 1984 rischiai di andare alle Olimpiadi di Los Angeles».

Sogno che purtroppo sfumò.

«Con esso svanì anche la mia fanciullezza, perché poi partii per il servizio militare in Marina. Per fortuna fui reclutato nel gruppo sportivo, anche se poi la cosa si limitò solo alla forma, perché ero di stanza a Napoli, ma accettai quasi subito una destinazione a Trieste che mi permetteva di essere a casa. In quel periodo mi capitò fra le mani una rivista di bodybuilding e fu amore a prima vista».

Quindi il prode Nocchiero, inaspettatamente, ammainò la vela?

«Mi iscrissi in una palestra comunale e cominciai a ‘barcamenarmi’ fra manubri e bilancieri. Subito  mi accorsi che per praticare quello sport avevo bisogno di una istruzione adeguata e conseguii il brevetto di Allenatore della allora Filpj, la federazione riconosciuta dal CONI. Era il 1987».

E il mare?

«Non ci pensavo proprio più. Ero assorbito dal nuovo sport, anche perché vivevo mettendo a frutto il mio titolo di Allenatore insegnando in una palestra, perciò la mia era una dedizione totale».

Se bodybuilding sta per ‘corpo costruito’, lei ci metteva anche l’anima…

«Non tardai a mettermi in luce anche in questo sport: dopo cinque anni di pratica ottenni un favoloso quarto posto ai Mondiali australiani della federazione internazionale denominata NABBA».

Per uno sport dove gli anni di pratica non si contano, lei ha bruciato le tappe.

«Essere di nuovo nel Team Italia, in uno sport molto diverso dal windsurf, fu una grande soddisfazione. Ne conservo un ricordo indelebile, ingigantito anche dal fatto che il leader di quella nazionale era il dottor Massimo Spattini, il quale, dopo essere stato lui stesso un campione, è ancora oggi uno dei guru indiscussi del bodybuilding mondiale».

Onda su… Honda. Lei andava anche in moto.

«Un brutto incidente motociclistico mi costrinse a diversi mesi di stop. Fu un periodo buio; avevo anche cambiato lavoro più volte, ma la mia voglia di fare bodybuilding era ancora intatta e tornai alle gare nel 1996, vincendo il titolo italiano e coronando il sogno di giocarmi la finale del famoso concorso di Mr. Universo, dove arrivai quinto».

Mi sa che lei ha un certo fiuto per le epoche d’oro…

«Erano anni in cui a Trieste si poteva affermare che ogni quartiere avesse il suo campione, il suo finalista a Mr. Universo o ai Mondiali. Oltre a me, altri atleti triestini ottennero piazzamenti di gran rilievo».

In quel periodo si spensero però anche le luci delle pedane dei vari campionati di Cultura Fisica.

«La dedizione ti conquista, ma alla fine ti consuma. Sentivo il bisogno di staccare e cambiai così tanto la mia vita che nel 2002 mi iscrissi nuovamente a scuola per prendere il diploma che non avevo conseguito».

E già che c’era si è preso anche la laurea…

«Dopo anni in mare e in palestra sono diventato un topo di biblioteca! Laurea in Filosofia, precisamente in ‘Storia del pensiero politico’ con una tesi su Aldo Capitini dal titolo ‘L’Anello mancante’, che ha contribuito a fruttarmi il massimo dei voti».

Ammetto la mia ignoranza, non so chi sia la persona oggetto della tesi.

«Allora legga la mia tesi! Scherzo. Era un vero seguace degli ideali del Mahatma Ghandi ed è stato l’ideatore della marcia della pace fra Perugia e Assisi, ha fondato la prima associazione di vegetariani in Italia, nonché, in tempi non sospetti, i centri di orientamento religioso e politico».

Mi basta. Ma lei, col suo passato di ‘Culturista Carnivoro’, è diventato vegetariano?

«Non estremista, ma si, sono prevalentemente vegetariano».

Tornando a noi, siamo arrivati al 2009…

«Come regalo di laurea mi sono comprato l’attrezzatura per il windsurf. Una specie di ritorno alle origini, anche se ormai è tutto diverso e lo stesso windsurf, almeno qui in Italia, ha perso molto della sua popolarità. Poi, un giorno, mi invitano a dare due pagaiate stando in piedi su una  vecchia tavola da windsurf e mi dicono che questa specialità si chiama Stand up Padding, acronimo SUP».

Colpo di fulmine; il ‘topo di biblioteca’, a suo tempo guerriero di mille battaglie sportive, torna a essere l’agonista di un tempo.

«Questo sport è un incrocio fra l’agile equilibrio del surf e la potenza aerobica della pagaiata della canoa: mi ha conquistato completamente. Tralasciando i due titoli di vicecampione italiano, che sono delegato regionale nonché giudice di gara della FISURF e che sono stato Team manager della Nazionale al recente campionato europeo, a me questo sport piace proprio tanto. È una sintesi nella quale ho sentito convergere tutte le esperienze acquisite in passato».

Questo ‘camminare sulle acque’, attingendo al nome della sua associazione, deve essere… magico.

«Ho fondato l’associazione ‘Magic Padle House’ per diffondere sempre più questo sport, ma anche la cultura e la passione per il mare in generale. Ho qualche collaborazione come project designer per tavole, pagaie e altri  materiali. Il mio sponsor principale è la Roberto Ricci Designs».

In questa sua nuova passione che ruolo ha la Filosofia?

«È onnipresente. Se ci si limita a un giro in relax, pagaiare sulla tavola ha qualcosa di meditativo. Devo ammettere però che le mie letture sono tornate a essere prevalentemente sportive, perché questo sport è nuovo e in  rapidissimo sviluppo; è necessaria un’attenta conoscenza scientifica, ben diversa da quella che riguardava i bilancieri. Qui entrano in gioco la calma, l’attenzione, l’equilibrio, la trasparenza, la pazienza, ma anche la perseveranza, in un elemento che trascende il nostro comune senso del procedere: un po’ quello che Platone chiamava la “seconda navigazione”. Anche per questo, e per molto altro, la filosofia è onnipresente».

Pubblicherà mai la sua tesi? Solo il titolo promette scintille…

«Vedremo…»

Posso scommettere che un uomo così versatile, che ha avuto la sensibilità di trovarsi al posto giusto al momento giusto in sport così diversi, troverà il momento giusto per stupirci ancora con qualche opera filosofica. Io pregusto già la lettura…

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