Quali sono le principali sfide che la Pubblica Amministrazione (P.A.) nelle sue diverse articolazioni e in generale il personale del settore pubblico dovranno affrontare per gestire efficacemente gli sforzi di trasformazione e di cambiamento delle riforme in cantiere?
Come evolvere da assetti, pratiche e cultura orientati al “fare di più con le risorse a disposizione” al “fare meglio con meno risorse a disposizione”? Ma, soprattutto, come gestire un processo di innovazione e cambiamento che richiede di “fare diversamente”, mettendo al centro i bisogni del cittadino?
Le recenti dichiarazioni di ministri, sottosegretari, alti funzionari della P.A., sindacalisti, parlamentari, denunciano l’ormai ricorrente stato confusionale e contradditorio che si verifica ogni qualvolta qualcuno tenta di proporre soluzioni anche interessanti, con obiettivi socialmente ed economicamente rilevanti e condivisibili e che vanno nella direzione del cambiamento dello status quo.
Certo la sfida è epocale. I “vecchi modi” di gestione della cosa e dei servizi pubblici dovrebbero semplicemente essere trasformati in un nuovo ambiente di lavoro stimolante, passando da una prospettiva basata sull’occupazione di risorse a una basata sulle necessità del cliente/cittadino e sulle caratteristiche dei lavoratori dell’era digitale. Quanti milioni di cittadini/lavoratori sono stati esposti a processi di trasformazione aziendale che hanno introdotto i concetti di qualità/efficienza sul posto di lavoro? Si può ragionevolmente verificare che la maggioranza dei lavoratori di oggi lavorano – in diverse modalità e forme – con strumenti e metodi basati sulle nuove tecnologie dell’informazione (ICT). Pertanto, è ragionevole assumere che i cittadini/elettori si aspettino che tali pratiche di lavoro vengano applicate anche all’operatività della P.A.
Il settore pubblico e la sua dirigenza a tutti i livelli sono quindi chiamati a focalizzarsi su “che cosa i clienti/cittadini hanno bisogno” e “con quale qualità/costo fornirlo”, in contrapposizione al tradizionale “cosa possiamo fare con quello che abbiamo”.
Le resistenze al cambiamento sembrano ignorare gli effetti e le potenzialità che l’innovazione nei modelli di management e delle tecnologie digitali hanno già dispiegato nel settore privato. L’efficienza che portano contiene i semi di una trasformazione che ridurrebbe drasticamente la burocrazia, espanderebbe la libertà di accesso e fruizione dei servizi e riqualificherebbe, restringendola, l’estensione degli ambiti di attività e il ruolo delle amministrazioni pubbliche.
Ma allora perché di fronte ai vantaggi sistemici di un tale rinnovamento non si inizia con determinazione un percorso virtuoso? Perché cambiare nella sfera del pubblico è più difficile che cambiare nella sfera privata. Si tratta di un cambiamento epocale, ovvero di gestire un passaggio dall’“era industriale dello Stato” all’“era del governo post industriale”, un passaggio che parte significativa del settore privato ha già affrontato e sta affrontando, dovendosi misurare con un contesto ambientale e competitivo globale.
Le difficoltà per la P.A. non sono riconducibili solo agli impatti, pur decisivi, del cambiamento sulla sfera “politica” (government): esse derivano almeno in egual misura dalle resistenze poste dal livello “manageriale” (governance), dalla stratificazione normativa e dalla cristallizzazione di prassi, sistemi operativo procedurali, sistemi retributivi farraginosi e obsoleti e comportamenti che con la burocrazia in senso weberiano non hanno nulla a che fare.
Nel settore privato l’impatto delle inefficienze specifiche (aziendali) e sistemiche si misurano in termini di fallimenti e licenziamenti. Nel settore pubblico si scaricano sull’aumento del debito pubblico e si misurano con l’arretramento del Paese in quasi tutte le graduatorie internazionali (attrattività per gli investitori, ecc.), con tutto ciò che ne consegue (dalla fiscalità alla qualità dei servizi pubblici).
La domanda che viene da cittadini e imprese oggi non riguarda solo migliori e più efficienti servizi, ma anche un settore pubblico che nella sua configurazione istituzionale, strutturale e nella sua leadership sia più veloce, più economico e più responsabile. Queste esigenze e maggiori spinte al cambiamento rischiano di trovare impreparato il management del settore pubblico che dovrà affrontare una serie di importanti sfide: creare una cultura che metta al centro il cittadino, incoraggiare il pensiero innovativo, premiare il comportamento imprenditoriale, favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro ad alte prestazioni, rimuovendo allo stesso tempo i tradizionali ostacoli che caratterizzano le organizzazioni burocratiche.
Le riforme non si realizzano per editti né la trasformazione avviene facilmente o rapidamente. I dirigenti del settore pubblico devono trovare modalità gestionali e operative adeguate all’altezza delle sfide. Una delle sfide chiave riguarda la capacità di comunicare e infondere un senso di urgenza nel tentativo di mobilitare strutture e persone.
Il management del settore pubblico dovrà guardare oltre il breve termine, gestendo i rischi regressivi e le resistenze implicate dall’intensità del cambiamento, accompagnando i collaboratori in ambiti lontani dalla loro zona di comfort. In una certa misura, un tale senso di urgenza attualmente esiste ed è aperta la discussione sulle implicazioni delle riforme strutturali del settore pubblico.
Un’altra problematica che dovrebbe creare un senso di urgenza è l’incombente crisi di “capitale umano”. Si prevede che una parte rilevante dei dipendenti pubblici maturerà i requisiti pensionistici nei prossimi cinque anni. Il problema della staffetta generazionale è quindi reale e va affrontato per tempo anche per creare un ambiente lavorativo attraente per i nuovi lavoratori. Una generazione che si spazientisce quando una pagina web richiede più di un paio di secondi prima che appaia, non ha intenzione di sprecare il suo tempo in un settore pubblico che non è in grado di produrre soluzioni reali ai problemi.
Si tratta di questioni non riducibili ai livelli retributivi, ma in generale concernenti l’offerta di un ambiente lavorativo che sia più in grado di soddisfare le esigenze di sviluppo professionale e personale dei dipendenti pubblici.
Una seconda importante sfida per i manager del settore pubblico sarà quella di concretizzare un progetto per il cambiamento. Gli sforzi di trasformazione spesso falliscono perché la visione del futuro non viene mai chiaramente definita e comunicata. Senza una visione, gli sforzi di trasformazione possono deteriorarsi in iniziative sconnesse che portano in direzioni opposte. Ridurre i costi o conseguire il pareggio di bilancio non sono una strategia, ma rappresentano soltanto un mezzo per conseguire un fine superiore, una visione di come si vuole sviluppare l’architettura della casa comune ai diversi livelli, la proiezione del modo di essere e di funzionare del “bene comune”.
Comunicare la visione regolarmente, proteggere e abilitare i collaboratori ad agire sulla visione è fondamentale per liberare energie e creare tensioni positive per superare sistemi o strutture che minano la visione stessa. Sviluppare una “organizzazione che apprende” dovrebbe essere parte integrante della visione per il futuro. Creare una massa critica di persone motivate e impegnate nella realizzazione delle riforme e dei progetti di cambiamento è infatti una terza sfida cruciale per il successo. Anche nel settore pubblico operano molte persone imprenditive, che stanno cercando di implementare soluzioni e tecniche per rendere i processi gestionali e operativi più veloci, migliori ed efficienti anche senza incentivi.
Queste persone possono rappresentare gli agenti di cambiamento, in quanto stanno impiegando le loro capacità senza ricompense tangibili o immateriali. I sistemi di valutazione delle prestazioni devono essere modificati per allinearli agli obiettivi del cambiamento e premiare i dipendenti per il loro impegno. Se si chiede alle persone di fare qualcosa di diverso si devono cambiare i percorsi di carriera e creare incentivi appropriati.
Tutte le promesse e gli obiettivi delle riforme rischieranno di essere vanificati o non sostenibili e gli sforzi di trasformazione non avranno l’esito sperato fino a che sistemi di gestione, strutture e processi, in particolare nel settore delle risorse umane, non saranno riallineati ai nuovi obiettivi. E una delle più grandi sfide potrebbe essere quella di inserire e formare le risorse umane.
Da tempo e da più parti viene indicato che un governo più manageriale della cosa pubblica è necessario per rendere effettiva la realizzazione delle riforme in cantiere. Ciò significa promuovere lo sviluppo di una nuova classe manageriale e nuovi modelli di management a tutti i livelli della pubblica amministrazione. Questi leader dovranno affrontare con successo le sfide della trasformazione, cioè trasmettere un senso di urgenza, creare un progetto di cambiamento per realizzare le riforme, motivare e responsabilizzare i collaboratori e celebrare, dare visibilità e riconoscimento ai risultati conseguiti.
“Rottamare” parte della classe politica è sicuramente utile, ma non basta. Il nuovo che avanza deve avere la consapevolezza delle sfide da affrontare, le competenze tecniche e la dimensione etica per segnare la discontinuità che fa nascere il cambiamento.