Semplice e vera

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Andrea Doncovio

28 Dicembre 2023
Reading Time: 7 minutes

La direttrice tecnica della rinnovata Triestina Nuoto è già al lavoro per formare talenti in vista delle Olimpiadi del 2032. Ma uno sguardo speciale è dedicato agli atleti disabili

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La luce nel suo sguardo dice già tutto. Persona tosta e determinata, con Sigrid De Riz, ex campionessa italiana di tuffi attualmente alla direzione tecnica della ambiziosa Triestina Nuoto, non servono molti giri di parole. Concreta e con idee chiare, attraverso il connubio tra la sua esperienza da atleta e la visione di uno sport accessibile a tutti, in questa intervista svela i tasselli di quella “meraviglia sportiva” che, assieme ai suoi collaboratori, sta costruendo mattone dopo mattone nella sua Trieste.

Sigrid De Riz, quando è nata la sua passione per l’acqua?

«All’età di 12 anni, per caso. Da nemmeno un anno avevo deciso di non continuare più a far parte della squadra agonistica di ginnastica artistica. Così durante l’estate, a conclusione del primo anno della scuola secondaria, un amico di famiglia mi propose di provare a fare un corso di tuffi presso uno stabilimento balneare di Trieste».

Lei è stata una tuffatrice di livello, vincitrice di titoli italiani e colonna portante della Nazionale. Quali sono state le tappe principali della sua carriera sportiva?

«Un momento importante è stata la prima volta in cui ho battuto le mie avversarie – che già facevano parte della Nazionale e partecipavano a Europei e Mondiali juniores – vincendo l’oro ai Campionati Italiani di categoria. Prima di quel momento, durante le competizioni, mentre le vedevo tuffarsi pensavo a quanto fossero brave, belle da vedere e invincibili. Dopo la mia vittoria capii che se ci ero riuscita una volta l’avrei potuto fare sempre, e così è stato…»

Quali sono le qualità necessarie per diventare una brava tuffatrice?

«Impegno, dedizione e tecnica sono qualità importanti, come anche la concentrazione e la determinazione ad allenare innumerevoli volte lo stesso gesto tecnico affinché ci si possa avvicinare quanto più possibile alla perfezione. Ma una qualità necessaria è il coraggio: bisogna avere un carattere audace».

Qual è il suo ricordo più bello da tuffatrice?

«Fortunatamente i ricordi belli sono tanti. I compagni della nazionale erano diventati amici veri, praticamente fratelli e sorelle con i quali desideravo trascorrere quanto più tempo possibile. Questo è stato uno dei motori della mia crescita e dei risultati: se vincevo ero convocata in nazionale, se ero convocata in nazionale potevo passare molto tempo con i miei amici… Forse il più bello è stato quando ho vinto i Campionati Italiani Assoluti da atleta ancora juniores: per me era un risultato quasi scontato, di fatto ero tra le migliori tuffatrici in Italia, ma quello che ha comportato non me l’aspettavo. Da lì tutto è cambiato».

Dall’acqua a bordo vasca: ora è direttore sportivo della rinnovata Triestina Nuoto. Quali sono gli obiettivi che desidera perseguire nel suo nuovo ruolo?

«Sono ambiziosa e vincere piace a tutti. I settori natatori che gestisco sono molti e diversi tra loro. Gli obiettivi non sono esclusivamente agonistici: tutta la parte sportiva amatoriale per me ha un valore molto importante. Sono in primis una mamma e trovo fondamentali le esperienze e i percorsi sportivi dei bambini e dei giovani. La scuola di oggi purtroppo ha un’offerta formativa sportiva molto scarsa. Garantire quindi un servizio di qualità alle famiglie e agli iscritti credo sia, più che un obiettivo, la mia responsabilità».

E in ambito agonistico?

«Per ogni settore (nuoto, nuoto paralimpico, tuffi, tuffi dalle grandi altezze, nuoto sincronizzato e fondo) ho l’obiettivo di raggiungere risultati tangibili, partendo dalle fasi regionali, poi nazionali, poi internazionali con europei e mondiali, fino ad arrivare ai giochi olimpici e paralimpici del 2032. La nostra società è come un cantiere al tempo degli Egizi, considero ogni disciplina sportiva come una piramide; abbiamo la piramide che si trova a tre quarti dell’opera, quella che si trova a metà dell’opera, quella che si trova agli inizi e quella che è ancora in fase di progettazione. A fine lavori, quando il cantiere si potrà dichiarare chiuso, avremo costruito quella che sarà “una delle meraviglie sportive”».

Come valuta lo stato di salute dello sport in Italia?

«Spesso le piccole realtà non vengono sostenute e le grandi si fanno facilmente influenzare dal business sportivo, perdendo di vista i valori e gli insegnamenti che lo sport ci regala».

Non solo atlete, ma anche allenatrici, arbitre e dirigenti sportive: cosa manca a suo avviso affinché le donne possano raggiungere una reale parità con gli uomini anche nel mondo dello sport?

«Nulla. Sta solo nell’intelligenza di un uomo o di una donna, quindi della persona, capire qual è il proprio posto e qual è il proprio valore aggiunto. Se lo sport è diviso tra maschi e femmine una ragione ci sarà, anche solo da un punto di vista prestativo. Ad esempio un arbitro donna nel calcio, di base farà fatica a star dietro a giocatori uomini, poi ben vengano le eccezioni. Piuttosto, la persona dovrebbe chiedersi cos’ha l’allenatore, l’arbitro, il dirigente (indipendentemente se maschio o femmina) che io non ho. Solo così si migliora e si guadagnano i meritati ruoli».

Triestina Nuoto dedica una propria sezione all’attività rivolta ai giovani con disabilità. In cosa consiste nello specifico?

«La squadra agonistica del nuoto paralimpico è uno dei fiori all’occhiello della società. Sono ragazzi con disabilità di varia natura, fisica e intellettiva, che si sono avvicinati per caso a questo mondo e ai quali viene data la possibilità di prepararsi e confrontarsi nelle competizioni della stagione con altri atleti, gareggiando alla pari, nello stesso contesto e in base alle proprie potenzialità e disabilità».

Sotto l’aspetto pratico quali sono le difficoltà principali nel condurre attività sportiva con persone disabili?

«Da parte di una società e dell’allenatore le difficoltà sono diverse e i fattori sono molteplici. Dipende dalla natura della disabilità, se fisica o intellettiva, e dal grado di disabilità, di conseguenza sono un problema ad esempio gli spazi, i tempi, la comunicazione. Se invece valutiamo il problema dal punto di vista degli atleti, spesso quelli con disabilità fisica fanno molta fatica a farsi vedere in costume in un contesto come quello della piscina dove le forme del proprio corpo sono sotto gli occhi di tutti. Chissà quanti giovani potrebbero intraprendere percorsi sportivi stimolanti e non lo fanno per timore di esser giudicati. Capita quotidianamente a ogni atleta e ragazzo normodotato, figuriamoci coloro che mettono in mostra una disabilità fisica».

Le istituzioni quali azioni dovrebbero intraprendere per favorire accessibilità e utilizzo delle strutture sportive?

«Le famiglie, come le società, sostengono costi altissimi per supportare la stagione di un atleta agonista paralimpico. Le istituzioni potrebbero a questo riguardo creare dei fondi individuali di supporto per gli atleti che ottengono determinati risultati agonistici sportivi».

Quanto è importante praticare sport per le persone con disabilità?

«La pratica sportiva è importante per tutti, direi fondamentale. Da un punto di vista fisico, caratteriale e sociale. Per un ragazzo disabile è lo stesso se non di più».

In ambito sociale la condivisione di attività tra persone “normodotate” e quelle con disabilità riveste un ruolo fondamentale nella crescita di entrambe. Nello sport in generale e in quelli acquatici in particolare, questa condivisione è fattibile?

«La condivisione è fattibile nel momento in cui la si gestisce in modo oggettivo e la si considera semplicemente normale. Alcuni dei nostri atleti paralimpici con disabilità sia intellettive che fisiche si allenano negli stessi orari, nelle stesse corsie e fanno gli stessi allenamenti degli atleti agonisti normodotati. Gareggiano, quando permesso, nelle stesse competizioni occupando la stessa zona riservata agli atleti e condividono la stanza quando sono in trasferta o durante gli allenamenti collegiali. Quando i ragazzi sono abituati, soprattutto i normodotati, che è normale… per loro è normale, fine. Spesso è solo una questione di abitudine e di educazione sentimentale».

Trieste sforna da anni atleti di valore nelle più svariate discipline. A suo avviso qual è il motivo di questi successi?

«Direi molteplici. Il territorio offre la possibilità di spostarsi rapidamente e poter portare avanti di pari passo un percorso scolastico e sportivo di buon livello. Inoltre c’é la possibilità di trascorrere del tempo immersi nella natura praticando qualsiasi tipo di attività sportiva amatoriale in una fascia temporale ridotta. Infine i triestini vivono con passione e amano la loro città. Chi non li conosce, li descrive come persone chiuse, invece dentro hanno un fuoco che li contraddistingue».

A proposito di Trieste, qual è il rapporto di Sigrid De Riz con la sua città?

«La amo. Amo ciò che mi ha dato e amo vivere e vedere quanto si trasforma. Trieste ha tutto, offre tutto, per certi versi è un fiore che va coltivato e per altri versi è un gioiello che va salvaguardato».

C’è un luogo della città con il quale ha un legame speciale?

«Il Carso e nello specifico la campagna dove ho trascorso da bambina la maggior parte dei weekend in famiglia con gli amici. È il luogo che tanto amava una persona che ora non c’è più e che troppo presto se ne è andata».

Al di fuori della piscina, che persona è Sigrid De Riz?

«Sono esattamente quella che è in piscina. Non ho ancora capito se è un bene o un male per chi mi sta vicino, ma non potrei essere diversa. Sono semplice e vera».

Qual è il sogno che desidera realizzare?

«Vorrei che Trieste diventasse un importante polo d’attrazione sportivo natatorio per gli atleti della regione e per quelli provenienti da fuori regione. Offrendo così un supporto nel percorso sportivo e di studi ai giovani e universitari più talentuosi, consentendo loro di realizzare i propri sogni sportivi di alto livello. Al contempo vorrei poter offrire ai giovani meno dotati della nostra città e alle loro famiglie un ambiente sportivo sano, protetto e adeguato al loro livello e alle loro necessità».

 

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