Ridere è una cosa seria

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redazione

23 Marzo 2018
Reading Time: 6 minutes

Tiziano Cossettini

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Ci sono opportunità che possono cambiare in un attimo la direzione della propria vita. Tiziano Cossettini, classe 1962 di Mels di Colloredo di Monte Albano, la sua non l’ha fatta sfuggire. E così da vent’anni, pur mantenendo il proprio impiego all’interno di un’azienda che realizza protesi, calca i palcoscenici di tutta la regione alternando recitazioni in divertenti commedie con interpretazioni in esilaranti cabaret. Con una predilezione mai celata per la lingua friulana.

Tiziano Cossettini, partiamo dall’inizio: quando è nata la sua passione per il teatro?

«La passione è sempre stata dentro di me. Se rivolgo i miei pensieri al passato mi accorgo che fin da piccolo ogni occasione era buona per fare teatro. Certamente non in maniera ortodossa, ma i carnevali, le feste fra amici, le sagre paesane diventavano spunto per inventare piccole storie che si tramutavano poi in vivaci rappresentazioni. La svolta, comunque, avvenne nel 1998 con l’incontro con la compagnia teatrale di Ragogna».

Quando si dice destino…

«All’epoca facevo parte della Pro Loco del mio comune e chiamammo la compagnia di Ragogna a fare uno spettacolo. Casualità volle che a loro mancasse un componente e chiesero se c’era qualcuno che poteva sostituirlo. Ovviamente presi la  palla al balzo: la recita andò così bene che da allora sono molto orgoglioso di fare ancora parte di questa compagnia».

Quando ha capito che la recitazione sarebbe stata qualcosa di più di una semplice passione?

«Quando sono salito per la prima volta su un vero palcoscenico mi sono sentito a mio agio. Non è presunzione, intendo dire che quelle sensazioni e vibrazioni che si provano prima di salire sul proscenio tipo palpitazioni, adrenalina, tensioni, mi trasmettono una energia positiva anziché il contrario. Poi quando si riesce a instaurare un canale intenso di comunicazione con il pubblico tutto diventa straordinario».

Non solo recitazione: tra le sue performance spicca anche il cabaret. Tra le due qual è a suo avviso la più difficile?

«Nel contesto del cabaret mi definirei un buon apprendista, e come direbbe un tipico friulano “mi rangi”. Per quanto riguarda la difficoltà, sono due cose diverse: io vedo la recitazione come più costanza, dedizione, il cabaret invece è più improvvisazione, sregolatezza; una è più studio, l’altra più genialità; partono entrambe però da medesime origini».

Qual è il segreto per riuscire a far ridere la gente?

«Il ritmo, il tempo esatto della battuta, la mimica, il movimento del corpo, tutto ciò è essenziale se sorretto da un buon copione. L’ingrediente più importante però è essere il personaggio che racconti. Il bello del teatro è che sei in diretta e il pubblico non lo inganni: si accorge subito se credi a quello che stai raccontando oppure fingi».

L’efficacia della comicità è spesso legata al suo rapporto con l’attualità e la quotidianità. Vale così anche per Tiziano Cossettini?

«Direi di sì. Solo attraverso un filo diretto con il nostro vivere quotidiano la comicità si sviluppa in maniera fluida ed è facilmente intuibile e assimilabile anche dal pubblico. Se si vuole coinvolgere emotivamente lo spettatore bisogna per forza di cose estrapolare concetti, situazioni, aneddoti che facciano parte del nostro modo di vivere. Poi per fortuna dei comici, nonostante la società tenda a omologarsi, guardando i comportamenti umani abbiamo ancora tanto lavoro da svolgere…»

Dall’interpretazione ai testi: da cosa prende spunto per scrivere il copione di uno spettacolo?

«Molte volte sono intuizioni legate al mio mondo. Può accadere di andare al bar ed essere testimone di fatti, battute che aprono scenari inimmaginabili, altre volte possono essere delle letture oppure esclusivamente l’osservazione di certi avvenimenti di cronaca e la loro trasformazione in chiave comica».

Tra gli spettacoli messi in scena finora a quale è più legato?

«Li amo un po’ tutti. Se dovessi scegliere, sono molto legato alla commedia “Pui di là che di ca” messa in scena con la compagnia teatrale di Ragogna. Prendendo spunto dalla letteratura, per l’idea della vendita dell’anima al diavolo, abbiamo creato la storia di un scrittore imbroglione che come Dante passa nell’aldilà e viene conteso tra inferno e paradiso. Dopo varie rocambolesche avventure riesce a ritornare nel mondo dei vivi dove crede di poter gabbare anche il diavolo. Il finale ovviamente è a sorpresa. Con questa commedia ho avuto anche un riconoscimento da parte dell’associazione teatrale friulana».

Lei ha collaborato e collabora tutt’ora con numerosi artisti del territorio: con chi di loro ha un rapporto più forte?

«Ho avuto la fortuna di conoscere Claudio Moretti, con lui mi sono avvicinato per la prima volta al mondo del cabaret. Nel tempo la collaborazione e il rapporto di stima si è consolidato ed è diventato anche di amicizia. È un professionista serio e capace da cui si può apprendere molto. Anche con Caterina Tomasulo c’è una forte convergenza e un’amicizia nata parecchi anni or sono. Poi ci sono tutti gli attori della compagnia di Ragogna tra cui Pauli Nauli, con il quale assieme alla Tomasulo formiamo il trio Patocos. Ci sono stati momenti di collaborazione anche con Di Pauli e Pecile, i geniali ideatori di Felici ma Furlans e Tacons, poi Luca Ferri di Anathema teatro e ultimamente ho avuto modo di collaborare e di apprezzare anche i Trigeminus».

A proposito di colleghi: c’è un attore o un comico a cui si ispira?

«Ve ne sono che mi piacciono molto a livello nazionale e anche nel nostro panorama friulano, ma devo dire che non mi sono mai ispirato a questo o quello. Ritengo importante cercare di essere originale. Ognuno porta dentro di sé caratteristiche uniche che rischiano di essere tradite se non si rimane se stessi».

Continuiamo a parlare di territorio, nei suoi spettacoli la lingua friulana è un caposaldo. È più facile far ridere in italiano o in friulano?

«La lingua friulana per me è la sorgente, è quella che sgorga per prima. Mi viene naturale la battuta in friulano. La lingua friulana è la lingua del popolo, è vivace, divertente, ha delle espressioni che in italiano diventano quasi intraducibili. Ovviamente mi capita di recitare in italiano e mi fa piacere, anche perché la nostra lingua nazionale dà la possibilità di avere un pubblico più vasto».

Qual è il segreto per fare in modo che la propria comicità sia sempre originale e mai ripetitiva?

«Cercare di rinnovarsi, avere voglia di scoprire modalità nuove. Nel teatro c’è sempre da imparare: per questo è importante avere un atteggiamento curioso, essere attento ai particolari, vedere alle volte le cose in modo semplice, quasi con occhi da bambino. E poi perfezionarsi ed essere intransigenti con se stessi».

Quando si trova davanti agli spettatori quali sono le emozioni che prova Tiziano Cossettini?

«Innanzitutto di rispetto per il pubblico. Poi ci sono due fasi: la prima, quasi di tensione adrenalinica, perché dobbiamo ancora conoscerci, ci dobbiamo comprendere, affiatare; poi arriva l’altra, quella del fluido che scorre, perché il teatro è  magia, e allora il pubblico diventa il tuo compagno di viaggio, ci divertiamo assieme in un reciproco scambio di energia».

Qual è il complimento che le ha fatto più piacere ricevere?

«Quando le persone si complimentano dicendoti che il personaggio interpretato è proprio come loro se lo immaginavano oppure ricorda loro individui che hanno conosciuto. I complimenti che mi fanno però molto piacere sono quando le persone mi ringraziano per aver fatto passare loro un paio d’ore di svago, estraniandole dalle loro preoccupazioni quotidiane. Il teatro è appagante quando capisci che può donare attimi di felicità».

Al di fuori del palcoscenico, quali sono le sue altre passioni?

«La corsa campestre è una passione che coltivo fin da piccolo; poi i viaggi, la lettura, il cinema, l’astronomia, il calcio. Ma amo trascorrere più tempo che posso con la mia famiglia».

Quali sono invece i progetti per il futuro?

«Ho scritto la storia di un barbone friulano e con la regia di Luca Ferri lo stiamo mettendo in scena. È una esperienza nuova per me, non tanto perché sarà un monologo ma perché non interpreterò il ruolo in chiave prettamente comica. È una bella sfida con me stesso, faticosa ma al tempo stesso eccitante».

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