L’ingegnere Raffaele Caltabiano, presidente dell’Associazione Amideria Chiozza
RUDA – Una storia secolare finita improvvisamente nel dimenticatoio.
Finché un giorno del 2008 le strade dell’ex Amideria Chiozza a Perteole di Ruda e dell’ingegner Raffaele Caltabiano si incontrarono per puro caso.
«Durante un intervallo di pranzo – ricorda proprio Caltabiano – approfittando di quattro passi mi imbattei nella fabbrica abbandonata e in una porta aperta. Non seppi resistere. Ricordo ancora come se fosse ieri l’emozione: ero entrato “nel passato”, in una fabbrica della prima rivoluzione industriale rimasta intatta e apparentemente abbandonata da qualche giorno. Con tutti i macchinari fermi e le attrezzature presenti, i prodotti sui tavoli pronti per l’imballo, le casse di amido pronte per la spedizione. E dappertutto il bianco dell’amido».
Una scena da film.
«Mi sono ricordato che da ragazzo leggevo e mi appassionavo ai libri di Ceram. In “Civiltà sepolte” con un racconto romanzato descriveva la scoperta delle tombe dei faraoni da parte degli archeologi: mi sentivo come loro, immerso improvvisamente nel passato».
All’interno di una realtà che ha lasciato un segno indelebile nella bassa friulana e non solo.
«Può sembrare paradossale ma la nascita dell’Amideria si deve alla presenza a Scodovacca di Luigi Chiozza. Di origine e famiglia triestina, Chiozza decise di non seguire le orme paterne in un’avviata fabbrica di saponi ma la sua passione per l’innovazione. Si dedicò alla Chimica, con periodi di studio a Parigi e a Milano, entrando in contatto con i grandi scienziati del tempo: a quel periodo risale l’amicizia con Louis Pasteur. La morte della moglie lo indusse a rifugiarsi nella tenuta di Scodovacca e lì continuò i suoi studi e impiantò un laboratorio per sviluppare le sue ricerche nella chimica organica. A lui si deve, nel 1854, la sintetizzazione dell’aldeide cinnamica, sostanza organica presente nell’olio di cannella».
Un vero e proprio visionario.
«Con il suo spirito d’innovatore attuò quella che oggi definiamo technology transfer, ossia trasferì i risultati delle sue ricerche e sperimentazioni nel settore agricolo, e questo in un territorio estremamente povero. Tra le varie innovazioni mise a punto un processo per l’estrazione dell’amido dal mais e poi dal riso, ottenendo risultati sorprendenti che gli valsero l’assegnazione del premio alla International Exibition a San Francisco nel 1876. Non si fermò al brevetto, ottenuto dal Ministero dell’Impero Austro Ungarico (di cui questi territorio facevano parte all’epoca), ma realizzò una prima produzione industriale e la commercializzazione del prodotto sui mercati mondiali. Alla sua prematura scomparsa l’attività venne portata avanti dal figlio Giuseppe e poi, con l’ingresso di capitali triestini, divenne la fabbrica che vediamo tutt’ora».
Ovvero?
«Una fabbrica progettata alla fine dell’800 con il massiccio impiego delle più moderne tecnologie del tempo. Una macchina a vapore, simbolo della prima rivoluzione industriale, prodotta dall’Ernst Brunn di Brno come oltre altre 30 macchine inserite in un edificio la cui struttura oggi è rimasta pressoché inalterata. Di fatto costituiscono un “monumento tecnico”: così si definiscono le testimonianze non solo del livello tecnologico ma degli aspetti della vita quotidiana di imprenditori, tecnici, operai che hanno contribuito alla sua nascita e al suo sviluppo».
Un monumento tecnico da riqualificare e valorizzare.
«Purtroppo finora c’è stato un interesse marginale per i monumenti tecnici e così stanno scomparendo irreversibilmente, ma la nostra generazione dovrebbe sforzarsi di ricercare, documentare e se possibile salvare il poco che rimane e riportarlo in vita».
Lei presiede da anni l’Associazione Amideria Chiozza, attiva dal febbraio 2014: come opera questa realtà?
«Assieme ad altri tre volontari fondammo questa associazione il cui scopo, come indicato nello statuto, è “perseguire finalità di studio, salvaguardia e valorizzazione della struttura, dei manufatti, dei macchinari, del materiale d’archivio e del patrimonio sociale ed etico che la riguarda”. La finalità dunque è quella di ridare vita a un patrimonio industriale composto da una dimensione fisica e da una dimensione relazionale rispetto al territorio in cui l’Amideria è inserita».
Come perseguite questi obiettivi?
«Attraverso tre azioni principali: la sistemazione dell’archivio, per metterlo in sicurezza; la realizzazione di un museo con le tracce della storia dell’Amideria; consolidare la memoria storica, con filmati e registrazioni. Negli anni ci siamo impegnati ad allargare la rete delle relazioni e ad avviare la raccolta fondi necessaria alle opere di salvaguardia e costruzione del museo. Con le Università di Udine e Trieste abbiamo iniziato un lavoro di recupero storico attraverso lo studio nell’ambito di diverse tesi di laurea. Al fine di uno studio coordinato e per una completa salvaguardia e valorizzazione di questo patrimonio industriale si è costituito nel 2017 il Comitato Scientifico con la partecipazione dell’AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) e dei due atenei».
Una visione che mira a coinvolgere numerosi attori.
«Nel 2017 l’Associazione ha ampliato lo spazio in cui la propria attività si è sviluppata attraverso l’organizzazione di una giornata evento sui territori di Perteole, Scodovacca e Cervignano, per restituire ai partecipanti il mondo in cui operava l’Amideria. A Scodovacca infatti c’è tutt’ora Villa Chiozza, la casa del fondatore dell’Amideria; a Perteole c’è la fabbrica; a Cervignano il porto da cui arrivava la materia prima, il riso, e da cui partiva il prodotto finito, l’amido. Per far conoscere la storia dell’Amideria al di fuori degli spazi in cui è geograficamente e culturalmente inserita, l’associazione ha creato e allestito una pièce teatrale per raccontarne la storia: “Amida: due madri una fabbrica”».
A cosa ha condotto tutto questo lavoro?
«A un master plan complessivo che individua alcuni possibili componenti per la valorizzazione e riuso dell’Amideria. La prima componente è il Museo del Processo Industriale, visto lo stato di conservazione dell’impianto originale. Gli altri spazi potranno essere adibiti a funzioni diverse. Per esempio, una scuola di restauro industriale e un incubatore di imprese artigiane per formare artigiani culturali: persone esperte non solo delle tecniche artigianali, ma capaci di comprendere e valorizzare il ruolo culturale degli oggetti che andranno a restaurare o realizzare. Parte del master plan riguarda un’attività di più prossima realizzazione, “Riapriamo l’Amideria”, un percorso di recupero, restauro e riapertura al pubblico: in questo caso l’intento è culturale e turistico. Non bisogna dimenticare la collocazione dell’Amideria rispetto al territorio: poco distante da due siti Unesco (Aquileia e Palmanova), Ruda è vicina alle spiagge e all’aeroporto, posizione che può facilitare il passaggio di turisti».
Come si cala una realtà turistica dentro un contesto agricolo?
«L’associazione ha condotto, in collaborazione con l’Università degli Studi di Udine, uno studio per valutare la percezione dei residenti di fronte a un eventuale sviluppo turistico della loro area legata all’Amideria. Sono state intervistate circa 300 persone su 3.000 residenti dell’area: oltre l’80% del campione ha dimostrato interesse verso lo sviluppo turistico. Conferme sull’attrattività turistica giungono anche dall’estero: un’agenzia austriaca che organizza viaggi culturali in Italia ha chiesto di poter inserire l’Amideria nei suoi programmi di visite. Anche senza pubblicità, un interesse e ritorno verso la struttura già c’è».
In cosa consiste il progetto “Riaccendiamo la macchina a vapore”?
«Grazie al finanziamento FAI – I luoghi del cuore e all’impegno di oltre 1.500 ore dei soci volontari, la progettualità ha permesso il completo restauro della macchina a vapore, unica fonte di moto della fabbrica dal 1902 al 1986: esempio unico al mondo tutt’ora nel suo sito originale. Abbiamo realizzato anche un libro che racconta i 120 anni di storia della macchina ma soprattutto tramite bellissime immagini fotografiche i tre anni impiegati nel restauro: la passione e l’impegno dei volontari. Importante inoltre l’obiettivo raggiunto quest’anno, grazie al progetto “La memoria del riso”, con il completamento del percorso per la raccolta, il salvataggio e la valorizzazione del patrimonio immateriale dell’Amideria Chiozza di Perteole. La passione nella raccolta di oltre 750 documenti, tutti digitalizzati, ha guidato la ricerca delle “testimonianze” oggi valorizzata sotto la guida del Digital Storytelling Lab del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale DIUM dell’Università degli Studi di Udine, in un mediometraggio di 28 minuti che racconta la storia della fabbrica di Perteole e che sarà presentato al pubblico entro l’anno».
Come reagiscono i visitatori che entrano in Amideria?
«La gente si aspetta la scoperta di una fabbrica abbandonata, di una realtà materiale visitabile e una parte immateriale della sua storia raccontata da quanti, per generazioni, hanno vissuto e lavorato in “La Fredda” (così veniva chiamata la fabbrica d’amido). Per rendere possibile ciò abbiamo realizzato il Progetto MACH – Museo Amideria CHiozza, che raccoglie e presenta oggetti e testimonianze, attualmente ospitato nello Spazio Amideria a Saciletto. Da anni organizziamo visite guidate, abbiamo accolto oltre 3.500 visitatori (dagli studenti ai gruppi di pensionati) e in occasione della Setemane de culture furlane, organizziamo le visite guidate in lingua friulana. Con la collaborazione dell’autore Carlo Tolazzi abbiamo realizzato la traduzione di Amida in Amide la versione in lingua friulana magistralmente messa in scena in diverse edizioni da Aida Talliente».
L’Amideria Chiozza è stata destinataria di importanti fondi statali per avviare un processo di riqualificazione della struttura.
«Sul piano finanziario, il lavoro svolto dall’Associazione ha contribuito senz’altro all’impegno dell’Amministrazione comunale di Ruda, proprietaria dell’intera fabbrica, dal 2016 al 2018, nella raccolta di fondi pubblici per oltre 12 milioni di euro che porteranno a un recupero dell’intera area. Comprendiamo che un processo lungo e impegnativo e rinnoviamo la nostra disponibilità a contribuire al raggiungimento degli obiettivi».
Lei ha una carriera alle spalle da ingegnere elettronico, ma ha anche ricoperto ruoli di prestigio in altre realtà. C’è ancora un sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare?
«Ho ripensato più volte in questi anni a una frase di Victor Hugo: “Non c’è niente come un sogno per creare il futuro”. Ho un sogno nel cassetto che permetta un futuro sostenibile per la valorizzazione dell’Amideria Chiozza: la costituzione di una Fondazione con la partecipazione della Regione Friuli Venezia Giulia, proprietaria di Villa Chiozza, della biblioteca e della strumentazione di Luigi Chiozza, del Comune di Ruda proprietario dell’Amideria, e dell’Associazione Amideria Chiozza Odv. Uno strumento patrimoniale e operativo al tempo stesso che possa realizzare, con il coinvolgimento dei territori e delle comunità che li abitano, quanto l’UNESCO sottolinea: “il patrimonio è la nostra eredità del passato, quello che viviamo oggi e ciò che trasmetteremo alle generazioni future”.