L’uomo senza colpa

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Livio Nonis

6 Luglio 2023
Reading Time: 4 minutes

L’opera del regista monfalconese affronta le morti a causa dell’amianto. «Ho voluto ridare voce e dignità a un territorio tanto colpito da questo disastro sanitario, storico e politico»

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MONFALCONE – In Friuli Venezia Giulia è il regista del momento. E proprio nella sua terra Ivan Gergolet ha trovato la chiave per la propria carriera di autore. Come ci racconta in questa intervista esclusiva.

Ivan Gergolet, si aspettava il successo di critica riscontrato dal suo film L’uomo senza colpa?

«Ero consapevole di aver fatto un buon lavoro, nel senso che è uscito esattamente il film che avevo in mente. Ma il tenore delle recensioni va ben oltre quello che immaginavo e quindi sono felice che un pubblico tanto ostico come i critici cinematografici abbiano capito il film».

Per un monfalconese cosa significa realizzare un film sulle morti da amianto?

«Significa ridare voce e dignità a un territorio tanto colpito da questo disastro che non è solo sanitario, ma anche storico e politico. C’è chi si è sottratto al dovere di proteggere (e spesso anche di proteggersi) da un pericolo noto».

I suoi concittadini come hanno reagito a questo film?

«Ho visto molta commozione e gratitudine. Ma conosco anche persone che non se la sentono ancora di guardarlo. Questo la dice lunga sull’impatto emotivo che questo film può avere, ma ciononostante li invito ad andare al cinema. Potrebbe essere un’esperienza almeno parzialmente liberatoria».

L’uomo senza colpa la sta conducendo alla ribalta nazionale, con riconoscimenti giunti da festival e concorsi di diverse regioni italiane: se lo aspettava?

«Conosco abbastanza bene il mondo dei festival da sapere che i premi sono una lotteria. Perché alla fine si tratta di cinema e non di matematica. Alla fine tutto si basa sul gusto e la sensibilità individuale. Ciò detto il Premio alla regia “Ettore Scola” è stato una tappa importante per la vita di questo film».

Lei ha iniziato a lavorare a livello professionale nel mondo dell’audiovisivo nel 2006. Una lunga gavetta prima del successo di oggi. Quali sono le difficoltà nel lavorare in questo settore?

«Il cinema è un’arte collettiva. Bisogna saper mettere insieme tante teste diverse, tanti caratteri contrapposti e tante sensibilità spesso distanti. E tutti devono spingere il carro nella stessa direzione. Bisogna saper fare un passo indietro come singoli e dedicarsi al gruppo. Chi non impara a farlo non lavorerà mai su un set».

Nel 2014 il suo Dancing with Maria è stato il primo documentario mai selezionato all’interno della Settimana Internazionale della Critica alla 71ª Mostra del Cinema di Venezia: era il preludio dell’exploit di un grande regista?

«Dancing with Maria è stata una lunga e bella parentesi mentre già stavo lavorando alla sceneggiatura de L’uomo senza colpa. È stata un’esperienza indimenticabile che mi ha formato come cineasta e mi ha insegnato come stare al mondo con una telecamera in mano. Come quando si dice di un calciatore che ha la posizione, che sa sempre dove mettersi in campo».

Ivan Gergolet cosa desidera trasmettere attraverso le sue opere?

«Mi interessa scoprire storie non raccontate che possono parlare a tutti, in cui possiamo trovare un significato importante per noi anche se non ci riguardano direttamente. Mi interessano i personaggi anche sconosciuti che possono guidarci a comprendere un po’ di più quel grande caos che è la vita».

Quali sono le caratteristiche che lei ricerca negli attori chiamati a recitare nei suoi film?

«Fondamentalmente tre cose. Dedizione, ascolto e coraggio. Non sono una persona che crede nel talento, che sì esiste, ma è sopravvalutato. I migliori attori che ho conosciuto sono semplicemente persone che studiano tantissimo. Che sanno ascoltare e che non hanno paura di sbagliare».

Fare cinema in un territorio piccolo come il Friuli Venezia Giulia è uno svantaggio o un vantaggio rispetto ai contesti delle grandi città?

«Per me è stata la chiave che mi ha permesso di cominciare una carriera di autore. A Roma non sarebbe stato impossibile, ma sicuramente più complicato. Dopo gli studi all’Università a Bologna, quando era chiaro per me che volevo lavorare nel cinema – e non necessariamente come regista –, i casi della vita mi hanno riportato in regione. E stava nascendo un mondo nuovo dal punto di vista della produzione cinematografica. Ora si è tutto consolidato e possiamo dire a pieno titolo che viviamo in una regione di cinema».

Tra gli attori e i registi del nostro territorio, chi sono quelli che stima maggiormente?

«Ne stimo molti, ma ne citerò uno solo, perché è la persona da cui ho imparato di più lavorando al suo fianco e a cui sono legato da una lunga amicizia: il regista triestino Davide Del Degan».

Quali sono i prossimi progetti cinematografici a cui si dedicherà Ivan Gergolet?

«Mi sono rimesso a scrivere e ho molte idee. In generale mi piace sempre l’idea di saltare da palo in frasca. Ancora non so di preciso quale di queste idee sarà la prima a diventare un film. Di solito è quella che costa di meno… Ma non necessariamente».

Il Friuli Venezia Giulia viene scelto con sempre maggiore frequenza come set per serie tv e film. In quali luoghi della regione le piacerebbe girare il suo prossimo film?

«Mi faccio guidare sempre dalla storia e noi qui ne abbiamo tantissime. Siamo una regione ad altissima “biodiversità culturale” e questa è una ricchezza che il cinema, il teatro, la letteratura e l’arte in generale aiutano a scoprire e a preservare. Quindi come sempre sarà la storia a scegliere il suo set».

Lasciamo da parte per un attimo il cinema: quali sono le altre passioni nella vita di Ivan Gergolet?

«In questo periodo mi sto dedicando molto alla musica suonando il basso con Los Ekekos, il gruppo che abbiamo fondato per salvarci dalla depressione da pandemia. Suoniamo una variante psichedelica della cumbia latinoamericana e veniamo tutti dal cinema, nel senso che ci siamo conosciuti lavorando sui set per poi cominciare a suonare insieme. Ora stiamo finendo il nostro primo disco che si chiamerà Cumbia en la selva nueva. Suonare è una grande liberazione perché vivi un’emozione immediata assieme al pubblico. E compensa tutte le fatiche e le complicazioni di un set».

 

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