La tenacia del campione

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Claudio Pizzin

2 Novembre 2023
Reading Time: 7 minutes

Dopo il trionfo agli Europei juniores su pista, il ciclista friulano punta ai Mondiali 2024. E nella sua Fiumicello sta già coltivando il grande sogno: le Olimpiadi di Los Angeles

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FIUMICELLO VILLA VICENTINA – A novembre inizierà la preparazione atletica in vista della nuova stagione sportiva che lo vedrà indossare la “pesante” maglia di campione d’Europa juniores su pista conquistata con merito la scorsa estate in Portogallo. I giorni d’autunno sono comunque momenti intensi per Davide Stella, 17enne di Fiumicello, corridore dell’ASD Gottardo Giochi Caneva.

La giovane età non deve trarre in inganno: Davide è un giovane ma turo e riflessivo che, come emerge da questa intervista, ha idee molto chiare anche su temi delicati del mondo del ciclismo come la sicurezza stradale e il doping.

Davide, partiamo dal trionfo di questa estate in Portogallo. Cosa significa per te essere campione europeo juniores di ciclismo su pista in tre diverse specialità?

«Era uno degli obiettivi che avevo quest’anno, mi sono allenato tanto per questo. Il CT della Nazionale, Dino Salvoldi, era molto fiducioso e mi ha infuso coraggio nel proseguire verso questa strada e anche oltre».

Quando è nata la passione per il ciclismo?

«Ho iniziato ad andare in bici fin da piccolissimo, a 3 anni avevo già fatto la ciclolonga di Fiumicello senza rotelline che, peraltro, non ho mai utilizzato. Mio papà era ciclista, praticava anche triathlon, e mi ha trasmesso questa passione. Poi un giorno a scuola, in seconda elementare, hanno consegnato dei volantini di pubblicità del Team Isonzo Ciclistica Pieris, sono andato a provare e da quella volta non ho mai smesso».

Ti sei cimentato anche in altri sport?

«Sì, ma nessuno mi ha mai convinto. Ho provato pattinaggio con la mamma, pallavolo, basket, nuoto… Non è mai scoccata la scintilla».

Che ricordi hai delle tue prime gare ciclistiche?

«Le prime gare le ho fatte con il Team Isonzo Ciclistica Pieris in giro per il Friuli e qualche volta ci portavano già in Veneto. Ho due episodi che mi ricordo bene. Alla mia seconda gara, a Capriva, ero talmente preso dalla corsa che ho fatto la volata il giro prima dell’arrivo credendo di aver vinto, invece non era così…»

E il secondo episodio?

«Sempre con il Pieris, da giovanissimo, siamo arrivati in una gara a Martellago, vicino Venezia, con un furgone tutto sgangherato e delle bici non competitive come quelle degli avversari. Eravamo un po’ demoralizzati. Alla fine siamo rientrati a casa vittoriosi in ogni categoria (anch’io) e anche come squadra più forte».

Quali sono le principali differenze tra il ciclismo su strada e quello su pista?

«Il ciclismo su pista è più tecnico e ti puoi nascondere poco. Sei sempre in vista e o ci sei o non ci sei. Dipende dalle specialità ma è una disciplina dove il lavoro di squadra non ti può aiutare tantissimo. Devi mettere in funzione gambe, cervello e strategia. Il ciclismo su strada ha dietro anche squadra, compagni, organizzazione, funzionalità delle bici, tempo per gli allenamenti lunghi di gruppo non facile da gestire per lontananza. Su strada non sempre vince il corridore migliore, molte volte vince la squadra migliore. Quelli che hanno saputo organizzarsi meglio durante la corsa, quelli che hanno magari bici più leggere per gare in salita, quelli che hanno la squadra più numerosa e dunque con molti gregari che possono tenere chiusa la corsa e poi lanciare la volata, oppure quelli che chiudono ogni tentativo degli avversari di prendere un compagno in fuga… Altra differenza: il ciclismo su pista si fa nel velodromo e perciò in un posto più sicuro della strada aperta al traffico».

Il ciclismo è uno degli sport “di fatica” per eccellenza. Come sono impostati i tuoi allenamenti?

«Variano in base alle gare per le quali mi sto preparando. Il periodo gare va da marzo a ottobre. Normalmente inizio a novembre con la preparazione atletica con il mio allenatore Nunzio Cucinotta. A dicembre dell’anno scorso, per esempio, avevo già iniziato in pista con la Nazionale a Montichiari, una volta la settimana per circa quattro ore. La mattina andavo a scuola (frequenta il liceo scientifico sportivo, ndr) poi uscivo un paio d’ore prima, partivo per Brescia, facevo allenamento, rientravo la sera verso le 22.30 e la mattina dopo di nuovo a scuola».

Un tour de force…

«Anche per questo mia mamma ha chiesto la didattica a distanza e così il giorno della trasferta seguo le lezioni online durante il tragitto per non perdere troppe ore. A gennaio iniziano anche gli allenamenti su strada, praticamente sei giorni su sette un paio d’ore. A marzo iniziano le gare e s’intensificano gli allenamenti anche con il favore delle giornate più lunghe che regalano più ore di luce. Da maggio c’è il pieno di gare e allenamenti di pista e strada fino a settembre. La fatica più grande è riuscire a studiare, nei tragitti da casa ad allenamento o la sera dopo cena quando sono stanco morto».

Un campione europeo direttamente da Fiumicello: che rapporto hai con il tuo paese?

«Sono molto orgoglioso di essere di Fiumicello. Ci sono tutti gli amici che sono la mia tifoseria più grande dopo la famiglia e i parenti. Quando sono rientrato con l’aereo dal Portogallo mi aspettavano tutti alla Mostra delle Pesche: ero talmente stanco che temo di non essere riuscito a dimostrare quanto mi aveva fatto piacere. Nei giorni successivi parenti e amici della mamma mi hanno organizzato una festa a sorpresa bellissima: non la dimenticherò mai. Le persone fermano sia me che i miei famigliari per strada per complimentarsi, è bello sentirsi così apprezzati».

Dalle persone alle strade, ti piace pedalare lungo il “tuo” territorio?

«Sono molto fortunato rispetto a certi miei compagni che abitano in città molto trafficate. Mi piace allenarmi nella zona del Carso e nei giri di defaticamento apprezzo girare nella zona di Grado e Fossalon».

Ciclismo e sicurezza: spesso si sente parlare di ciclisti – anche professionisti – coinvolti in gravi incidenti stradali con autoveicoli. Cosa si dovrebbe fare per migliorare la situazione?

«L’esperienza che ho vissuto in Belgio mi ha fatto provare molta invidia per le loro “piste ciclabili” che sono praticamente delle strade dedicate solo per i ciclisti. Purtroppo in Italia uscire ad allenarsi su strada è diventato molto rischioso, mia mamma mi segue sempre sull’applicazione con la localizzazione perché finché non arrivo non sta in pace… Inoltre mi ha regalato una luce che, grazie a un sensore di avvicinamento dei veicoli, inizia a suonare e a lampeggiare man mano che arrivano più vicino. Da poco hanno approvato la legge degli 1,5 metri di distanza dai ciclisti nei sorpassi delle auto. È già qualcosa, ma sfortunatamente i ciclisti sembrano essere i nemici numero uno degli automobilisti».

Come mai?

«Non escludo che qualche volta ci siano dei ciclisti che viaggiano in doppia fila dando fastidio, ma questo non dà il diritto di ucciderli perché fastidiosi. Gli automobilisti dovrebbero pensare che su quella bici potrebbe esserci il loro figlio, parente o amico».

Torniamo alle corse: dal punto vista delle aspettative, è cambiato il tuo modo di approcciarti alle gare dopo la conquista del titolo europeo?

«Mi ha reso più sicuro di me stesso ma allo stesso tempo gareggiare con questa maglia addosso non è sempre così semplice, pesa un po’. Nelle gare disputate successivamente sono sempre stato al centro dell’attenzione e di conseguenza marcato a vista. Inoltre le aspettative di tutti sono aumentate e non sempre le ciambelle vengono con il buco…»

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi in ambito ciclistico?

«Riconfermare i successi di quest’anno e magari puntare a vincere i mondiali del 2024 visto che quest’anno la vittoria mi è sfuggita per poco. Mi piace pensare in grande puntando alle Olimpiadi di Los Angeles 2028: magari non rimarrà solo un sogno. Vorrei ottenere anche più risultati su strada».

Extra ciclismo, invece, quali sono le altre passioni di Davide Stella?

«La cioccolata, giocare con mia sorella e i miei amici con la playstation o comunque trascorrere del tempo con loro e la mia famiglia».

Ci sono ciclisti a cui ti ispiri?

«Peter Sagan, Mathieu van der Poel, Wout Van Aert, e i nostri Pippo Ganna ed Elia Viviani. Tutti mostri sacri, ognuno con la sua particolarità. Quello a cui mi sento molto vicino come caratteristiche è Elia Viviani. Un velocista molto forte in pista ma che se la cava molto bene anche su strada».

Da anni il ciclismo è impegnato nella battaglia contro il doping: qual è il tuo pensiero su questo fenomeno difficile da debellare?

«Credo che in Italia stiano già facendo abbastanza. Per esempio io che sono nel giro della Nazionale devo sottopormi ad analisi con cadenza regolare e durante le competizioni di livello vengono svolti i test antidoping. Nelle altre gare possono capitare test antidoping a estrazione. Nelle categorie più importanti c’è il passaporto biologico (tracciamento nel tempo dei parametri ematici dell’atleta). Poi c’è il Whereabouts dove gli atleti di alto livello hanno l’obbligo di comunicare trimestralmente le informazioni sui luoghi relativi alla propria reperibilità e permanenza per poter essere sottoposti ai controlli sia in gara che fuori gara. In Italia ci sono molti divieti e controlli: dovrebbero essere estesi anche al di fuori dei nostri confini, sia per la parificazione delle prestazioni sia per la salute di tutti. Il mio unico “doping” è una marca famosa di cioccolata per bambini, da cui gli amici, storpiandola, hanno inventato il mio soprannome».

 

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