La rabbia in smoking

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Margherita Reguitti

7 Settembre 2018
Reading Time: 5 minutes
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Rossana Moretti Luttazzi

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La mia passione per il bianco e nero alla Fred Astaire. Il piacere per l’eleganza. Il rispetto per il pubblico. E l’amore per la verità”. Parole semplici, incisive e fortemente evocative di Lelio Luttazzi (Trieste, 27 aprile 1923 – 8 luglio 2010) scelte a prefazione del racconto La villa di campagna del 1971. Un testo scritto pochi mesi dopo l’errore giudiziario che lo coinvolse, ferendo in modo irrimediabile l’uomo e travolgendo uno degli artisti più eclettici e raffinati del secondo Novecento. Il libro, uscito postumo per volontà della Fondazione Lelio Luttazzi presieduta dalla moglie Rossana Moretti, si intitola La rabbia in smoking (Luglio Editore, Trieste).

Raccoglie sceneggiature, racconti, pensieri e riflessioni mai pubblicati. In particolare la ventina di pagine de La villa di campagna divenne la sceneggiatura del film L’Illazione. Un lavoro realizzato per la Rai che però non lo mandò mai in onda. Troppo diretto e senza appelli l’atto d’accusa contro l’istituzione magistratura e i giudici in quanto uomini; una presa di posizione antesignana di quanto accaduto decenni dopo. Un gesto di rivolta morale e civile verso quelle professioni – magistratura in particolare ma non solo – che permettono l’esercizio di un potere a danno degli altri, impunemente, senza controllo. Un testo di grande attualità contro chi può mettere alla gogna, senza l’obbligo di avere le prove definitive di un reato, contro “giudici” non giudicabili, liberi di decidere il bene e il male di una persona con superficialità. Un lavoro nel quale Luttazzi fu regista e  interprete oltre che sceneggiatore.

Il film è stato proiettato in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Roma nel 2011 dalla Fondazione Luttazzi, nata pochi mesi dopo la scomparsa dell’attore, cantante, musicista, direttore d’orchestra, regista, scrittore, showman e conduttore televisivo italiano. «È stato possibile proiettare il film – racconta la signora Rossana – solo a quasi 40 anni di distanza, grazie alla determinazione della direttrice artistica della rassegna, Piera Detassis, che, dopo averlo visionato, decise che andava fatto conoscere. È stata una grande anteprima mondiale alla quale erano presenti gli amici e un pubblico numeroso».

Un lavoro essenziale nel quale viene raccontato il dolore mai dimenticato di aver vissuto una  vicenda assurda e ingiusta. In contemporanea alla serata del Festival, venne mandato in onda anche da Rai 5.

Rossana, cosa ha significato per lei la nascita della Fondazione?

«Per me è una forma di sopravvivenza alla scomparsa di Lelio e di devozione per i 36 anni vissuti assieme. La perdita di Lelio è stata una grande, vera tragedia che mai avevo pensato potesse   accadere. Ho deciso di dare vita a una fondazione dedicata a Lelio per dare una mano ai giovani musicisti e per diffondere il suo lavoro, tenere viva la sua musica, la sua scrittura, il suo cinema. In questi 8 anni abbiamo lavorato molto, io personalmente dedico tutte le mie energie a questo impegno».

Luttazzi amava la musica e la scrittura e ha lasciato molti racconti, sceneggiature, testi veloci, pensieri e riflessioni, così come partiture. Come gestite questo grande patrimonio?

«Tutto quello che era contenuto nella nostra casa di piazza Unità a Trieste, dove abbiamo vissuto  al 2008 fino a quando è volato via, è stato donato da me al Ministero per i Beni culturali per essere esposto nello Studio Luttazzi, allestito permanentemente in quattro sale della “Biblioteca statale Stelio Crise” di Trieste. Lì sono conservati ed esposti materiali importanti, manoscritti, premi, i suoi libri, oggetti personali, il suo smoking, il pianoforte e tanto altro. Il resto del patrimonio è conservato nella sede della Fondazione e piano piano, compatibilmente con le forze e le risorse economiche sempre più difficili da reperire, viene catalogato e diffuso».

Il Maestro amava i giovani e la Fondazione ha istituito un premio…

«A gennaio uscirà sul sito www.premiolelioluttazzi.it il bando del premio dedicato ai giovani pianisti e cantautori. Il premio è biennale, una scelta che ci permette di ottimizzare le energie organizzative per un progetto davvero impegnativo. Nel 2017 è stato un successo e la serata delle premiazioni, avvenute al Blue Note di Milano, è stata trasmessa da Rai 1. C’erano gli amici di Lelio come Pippo Baudo presidente della giuria, assieme a Rita Marcotulli, Fio Zanotti, Arisa, Paolo Giordano e tanti altri. Ma c’erano anche le istituzioni. Abbiamo avuto il Premio di Rappresentanza del Presidente della Repubblica. Il premio inoltre vede la presenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Mibac che, assieme ai Comuni di Trieste e Roma, hanno dato i loro patrocini. Anche la prossima edizione sarà realizzata in collaborazione con L’isola degli artisti».

Che rapporto aveva Luttazzi con Trieste?

«Un rapporto di amore ricambiato. Ci siamo sposati il 6 dicembre del 1979, festa di san Nicolò. Ogni anno tornavamo in città per festeggiare il nostro anniversario e Lelio tornava bambino, felice di girare tra le bancarelle, ritrovando le atmosfere della sua fanciullezza e adolescenza. Nel 2008 era felice di essere tornato a vivere nella sua amata Piazza Unità, per lui la più bella del mondo, era ringiovanito e pieno di energia. Il 15 agosto del 2009, in occasione del concerto di Lelio, Piazza Unità era strapiena di gente e il mare luccicante di barche per ascoltarlo».

Per lei cosa significa Trieste?

«Mi è sempre piaciuta, amo la sua atmosfera mitteleuropea, così come amo la lingua di Saba, Svevo e la sua grande cultura. Ma dopo circa tre anni dalla sua scomparsa sono dovuta scappare. Continuare a vivere a Trieste era diventato doloroso per me. Ogni volta sono felice di tornare ma i  ricordi e la nostalgia mi fanno davvero molto male. La verità è che i lutti non si elaborano, i grandi dolori rimangono dentro di noi e con il tempo si trasformano. Oggi lo sento camminare, leggere e ridere accanto a me».

Artista e uomo elegante, come vivrebbe questi tempi impuri, spesso volgari?

«Era molto distante dalle cose terrene e distaccato dalle mediocrità. Detestava la stupidità, gli esseri vanesi e vanagloriosi. Nella scala dei valori pone va in alto l’intelligenza e l’umiltà, il tutto legato da una forte, a volte feroce, autocritica e da un brillante senso dell’umorismo. Si sentiva un antieroe, pigro e svogliato, come Oblomov protagonista del romanzo dello scrittore russo Ivan Aleksandrovič Gončarov. Per questo aveva battezzato la nostra barca con questo nome. Un’ironia raffinata e non gridata, non comprensibile a tutti. Si prendeva in giro, senza mai darsi dell’importanza, perché sempre insoddisfatto, in perenne ricerca della perfezione».

 

…È una mia vecchia idea che, in una società bene organizzata, tutti coloro che hanno responsabilità sociali – insegnanti, medici, sacerdoti, poliziotti, magistrati e via dicendo – andrebbero psicoanalizzati prima di venire immessi nella professione. Una psicoanalisi addirittura discriminante, perché certe tendenze negative che fanno parte della natura di ciascuno di noi – sadismo, volontà di potenza, narcisismo, esibizionismo – alle volte, quando siano presenti in misura esuberante, ci spingono a scegliere professioni dove possano meglio soddisfarsi rimanendo al coperto. Siccome questa psicoanalisi ancora non si fa, il primo sentimento ch’io provo davanti alle divise, alle toghe, alle tonache, è la diffidenza. Per questo trovo che la parte più straordinaria della tua avventura, non è tanto che ti abbiano messo dentro, quanto che ti abbiano messo fuori. Un magistrato ti ha messo in galera per nulla e un altro magistrato, un mese dopo, ti ha messo fuori perché era evidente che non avevi fatto nulla. Possiamo anche dire che questo secondo magistrato, nel vedere giusto, è stato aiutato dall’opera d’un valente avvocato…

Giuseppe Berto (dalla prefazione di “Operazione Montecristo” il libro scritto da Lelio Luttazzi)

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