La grammatica della realtà

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Cristian Vecchiet

5 Aprile 2019
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Educazione e consapevolezza

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Educare vuol dire accompagnare in forme plurime a uno stile di vita consapevole e responsabile. È un’impresa affascinante e ardua a un tempo. Ogni educatore sa bene quanto contano gli esempi e le figure autorevoli nel percorso di crescita di un uomo e anche nella formazione all’arte di educare.

Uno dei più autorevoli educatori del passato, a cui vale sempre la pena rifarsi, è senza dubbio Socrate: filosofo che nella Grecia antica, con l’arte del dialogo, cercava di andare in profondità nella comprensione della realtà e dell’umano, nella convinzione che la conoscenza fosse un tassello decisivo del vivere bene. La testimonianza di Socrate è sempre viva e attuale, e a essa può far ricorso chiunque creda che valga la pena di impegnarsi nella ricerca di una vita autentica. Ogni educatore può essere anche oggi in un certo senso allievo di Socrate e compagno della sua stessa avventura. Questo gigante ci ha insegnato l’importanza di “rendere ragione” della propria visione del mondo e del proprio modo di vivere. Cercare delle buone ragioni per vivere in un certo modo piuttosto che in un altro è elemento essenziale di una vita consapevole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Socrate ci ha spiegato che è meglio sapere che non sapere. E ci ha detto che sapere di non sapere è meglio di far finta di sapere. Anzi, Socrate insegna che sapere di non sapere è già sapere. Sapere di non sapere è, in un certo senso, il presupposto della conoscenza. Questo implica l’apertura alla possibilità di conoscere. Sapere di non sapere è il presupposto per mettersi in ascolto umile dell’altro, di se stessi e della realtà. Sapere di non sapere in un certo senso introduce al senso della realtà e del nostro essere nel mondo assieme ai nostri simili.

Entrare in contatto in modo umile con noi stessi, con gli altri, con il mondo, aiuta a capire che la realtà ha le sue  regole, i suoi vincoli. La realtà – e potremmo dire la vita – ha la sua grammatica. Il sapere ci apre ai valori morali, al valore del tu e del noi. Di più: il sapere è qualcosa di altamente positivo in se stesso. E come si può fare per mettersi in ascolto della realtà? Un metodo è quello di porsi alcune domande fondamentali. Chiedere e chiedersi «perché?» e «cos’è?». Chiedere: «Perché fai quello che fai?». Oppure: «Perché dici quello che dici?». Ovvero: «Perché giudichi in questo modo?». E rincarare: «Sei proprio sicuro?», «ne sei convinto»? Chiedere le buone ragioni è proprio dello spirito socratico. Instillare il dubbio non per dubitare di tutto ma per sollecitare ad andare sempre più in profondità nelle cose, per passare dalla superficie a quello che sta sotto la superficie, per non dare nulla per scontato e non accontentarsi del «sentito dire» o del «si è sempre fatto così». Educare all’arte di ragionare, di porsi domande, di cercare risposte soddisfacenti e non banali, che non siano semplici ripetizioni del già noto e senza convinzione. Questo è fondamentale nel processo di crescita.

Educare a chiedersi e a chiedere sempre il perché aiuta a maturare il senso critico. Le buone ragioni non possono essere scontate ma sempre argomentate. Le buone ragioni corrispondono ai buoni argomenti. Educare a non accontentarsi delle prime risposte, o a quello che si sente dire su una questione, è compito di un buon educatore. Chi educa deve far emergere il gusto del farsi domande e del chiedersi il perché delle proprie e delle altrui convinzioni. Non importa tanto che gli educatori sappiano sempre dare delle ottime ragioni su tutto o rispondere a tutte le domande. È però decisivo che avvertano l’importanza del cercare le buone ragioni e così testimonino il valore del cercare e trovare argomentazioni fondate. Platone fa dire a Socrate: «Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta».

Fare domande non è un esercizio solo intellettuale. È anche un compito etico. Chiedere a se stessi le buone ragioni di una presa di posizione o le buone ragioni di una scelta ossia di un comportamento è già di per se stesso un atteggiamento etico e richiama alla necessità – e non solo all’opportunità – di un agire congruente. Le buone ragioni possono indurre a cambiamenti nei comportamenti e negli stili di vita.

Ma come si fa a trovare delle buone risposte alle buone domande? Un modo può essere l’osservazione della realtà, l’attenzione a quello che succede a noi e attorno a noi, al nostro mondo emotivo e al mondo emotivo altrui. La vita quotidiana, se ben osservata e ascoltata, offre molte risposte ragionevoli a tante domande. Ancor di più il proprio mondo interiore offre tanti suggerimenti e ipotesi di senso. Proviamo a fare alcuni semplici esercizi: «Cosa provo quando aiuto qualcuno in difficoltà?» Oppure: «Cosa ho provato quando ho assistito o sono venuto a conoscenza di un torto che qualcuno dei miei cari ha subito?» La realtà quotidiana ci offre molte esperienze su cui ragionare. Il mondo emotivo e affettivo ci offre molti indicatori di senso e di valore.

Educare può voler dire allora insegnare a prestare attenzione alla realtà, a quello che succede a noi, ai nostri cari o anche a persone che ci sono all’apparenza molto distanti. Educare vuol dire insegnare a prestare attenzione alle emozioni, ai sentimenti che proviamo e alle domande che ci vengono quasi spontanee di fronte agli eventi ordinari e straordinari che capitano a noi e agli altri. Educare vuol dire essere compagni di avventura di Socrate, cioè imparare a chiedersi e a chiedere: «Perché pensi questo?». Oppure: «Perché hai agito così? È stato giusto?». Di più: «Si sarebbe potuto fare altrimenti?»

Anche le domande sulle cause e sulle conseguenze delle azioni indicano delle direzioni di marcia: cosa mi ha portato a reagire così? A quali risultati mi ha portato? Porre delle domande non vuol dire avere subito delle risposte, ma significa intraprendere un sentiero che avvicina a risposte plausibili o più attendibili di altre. Questi esercizi dello spirito verso il proprio mondo interiore, verso il prossimo e la realtà che ci circonda passano attraverso il confronto con gli altri. La ricerca dei perché si sviluppa attraverso il dialogo con i nostri simili. E questo ci testimonia che, a maggior ragione, la domanda sul perché ha un’impronta eminentemente etica. Senza l’altro io non sono e senza l’altro la mia vita perde di qualità e profondità.

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