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L’ultimo mediometraggio di Michele Pastrello è ambientato in Valcellina. Un’opera che, dalle immagini al linguaggio, riassume l’essenza più recondita del Friuli Venezia Giulia

Michele Pastrello
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“Il fiume e il vento portano mille vert à all’albero e al monte” rifletteva lo scrittore friulano Beno Fignon, cantore della Valcellina. Ed è proprio la Valcellina, con le sue montagne, i suoi boschi, la sua parlata e i suoi misteri la protagonista indiscussa di “Inmusclâ”, mediometraggio del Michele Pastrello.

Un dramma onirico e un thriller psicologico, dal forte profilo allegorico, girato tra i luoghi incontaminati e innevati montani di Claut (Lesis), Barcis (lago e Val Pentina) e Andreis (Susaibes). L’opera, distribuita da Emerafilm, è disponibile sulla piattaforma online CHILI, quindi visibile da tutti dal proprio salotto di casa.

Michele Pastrello, il cinema e il Friuli. Come nascono le connessioni tra questi tre elementi?

«Cito un passaggio dal romanzo di due secoli fa di Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano: “Così è  l’indole dei paesi montani che nelle loro creste di granito serbano assai a lungo l’impronte degli antichi tempi; ma siccome il Friuli è un piccolo compendio dell’universo, alpestre piano e lagunoso in sessanta miglia da tramontana a mezzodì, così ìvi si trovava anche il rovescio della medaglia”. La connessione è quindi data dal fatto che il mio cinema è anche un cinema del paesaggio. I luoghi nelle mie messe in scena hanno sempre una funzione specifica, non sono semplici background. In tal senso il Friuli Venezia Giulia è terra generosa, anche perché soffre meno della cementificazione di cui il mio Veneto è vittima».

Parole dure dette da un veneziano di origine…

«Basta guardare la cosiddetta PaTreVe. Per i dati Ispra buona parte del suolo friulano non è ancora cementficata, speriamo che la politica friulana sia avveduta nel preservare questo territorio ancora così verde, dall’edilizia senza limiti e fatta di soli profitti immediati non lungimiranti».

Nel suo ultimo mediometraggio “Inmusclâ” il Friuli, nello specifico i territori della Valcellina, sono protagonisti assoluti. Perché questa scelta?

«L’attrice protagonista del film, Lorena Trevisan, mi invitò a visitare la Valcellina perché, conoscendo il mio percorso artistico, dedusse che potesse essermi da ispirazione. Ci andai nell’inverno del 2021 dopo una copiosa nevicata e, vuoi per destino o per caso, mi imbattei nei luoghi dove avrei proprio girato “Inmusclâ”. Avevo un’idea che mi frullava per la testa da tempo ma non le avevo mai dato forma, finché capii che la forma era lì, materica, davanti ai miei occhi: la Valcellina».

In breve, di cosa parla “Inmusclâ”?

«Il film può essere visto superficialmente come un mystery movie, un thriller. Ma la sua forma è altamente psicologico-simbolica e il paesaggio stesso diventa simbolo. Si narra di una donna che sta per compiere un misterioso viaggio a piedi, in una natura invernale spopolata, glaciale e inospitale. Quello che pare un inesorabile percorso che la conduce a perdersi, turbata, si rivelerà invece un cammino dentro un’imperscrutabile dimensione che le appartiene. Una dimensione dove ciò che minacciosamente la circonda non è quello che sembra».

A proposito, perché la scelta di questo titolo?

«Inmusclâ non è un termine conosciuto ovunque nel Friuli. È una locuzione traducibile con “ricoprire di muschio”, “avvolgere nel muschio”. Il muschio, o meglio, la sua caratteristica infestante, ha un significato preciso nel film».

Friuli non solo nei territori: la protagonista, Lorena Trevisan, è di Spilimbergo. Com’è stato lavorare con lei?

«Con Lorena abbiamo una rilevante sintonia. Lei è molto modulata nella recitazione e comprende al volo ciò che io desidero sia reso “attorialmente”. Questo mi agevola molto. Alla fine per ogni regista è importante avere collaboratori artisticamente o professionalmente affini».

Ancora Friuli: nell’opera la voce narrante è affidata alla poetessa clautana Bianca Borsatti, vincitrice del Premio letterario Giuseppe Malattia della Vallata. Una donna di vasta cultura.

«L’incontro con la poetessa Bianca Borsatti è stato determinato da un altro scrittore, Beno Fignon. In un suo libro, quest’ultimo parlava delle poesie di questa verseggiatrice clautana. Ho comprato quindi i suoi libri di liriche in clautano e ho letto una poesia in particolare che era, di fatto, il riassunto del mio film. L’incontro e la conoscenza con Bianca poi sono stati belli e, assieme, abbiamo deciso di collaborare. Bianca Borsatti è una istituzione in Valcellina, essendo anche l’autrice del vocabolario clautano, assieme a Renzo Peressini. Invito tutti a cercare le poesie di Bianca Borsatti, sono davvero emozionanti e toccanti».

Inmusclâ” ha anche ottenuto il patrocino dell’Arlef e della Società Filologica Friulana per l’utilizzo del friulano nell’opera. Per un veneto com’è stato girare un film in marilenghe?

«Suggestivo. Come diceva qualcuno ben più noto di me, questa lingua sembra una poesia sonora. Mia madre è friulana di Precenicco e quindi da bambino ricordo che, quando venivamo nell’udinese, era bello sentirla parlare in quella strana lingua alle mie orecchie. In Inmusclâ la lingua friulana della voce narrante è nella forma clautana. Una scelta voluta perché il film è un enigma: far pensare la protagonista in questa parlata – sconosciuta ai più – ritengo contribuisca a far riverberare un misterioso fascino alla pellicola».

Michele Pastrello si trova meglio in Veneto o in Friuli Venezia Giulia?

«Sono nato vicino a Mestre e ho vissuto a lungo vicino a Treviso, due città abbastanza caotiche. Treviso è bellissima. Ora sono residente nella campagna friulana, a Vivaro, in un luogo dove la quiete è decisamente fuori dalla porta di casa. Non mi metto a fare classifiche: il Veneto è la terra dove sono cresciuto, il Friuli è la terra che ora mi sta accogliendo. Quando sono da una parte mi manca l’altra e viceversa».

Dal mondo dell’infanzia a quello degli anziani: nelle opere di Michele Pastrello c’è molta attenzione all’aspetto psico-sociale. Come mai?

«Quando esordii nel 2008 lo feci con “32”, un thriller-horror, e vinsi al ToHorrorFilmFest di Torino.  Ma fin dagli esordi, quello che raccontavo, anche se aveva le sembianze del cinema di genere, era sempre al di là delle prime apparenze. Nel mio cinema ho sempre cercato di mettere in scena immagini che, dietro i toni ora thriller, ora fantasy, ora emozionali, raccontassero della condizione umana. “Il giorno in cui cominci a comprendere quello che sai è il giorno in cui inizi veramente a vivere”, diceva il maestro spirituale indiano Nisargadatta Maharaj e con questa frase si può sintetizzare il mio percorso registicoartistico, un concentrato di evocazioni introspettive, esistenziali, fiabesche o filosofiche».

Dopo “Inmusclâ” quali sono i nuovi progetti in cantiere?

«Sto finendo di montare un cortometraggio con cui ritorno alle atmosfere dei miei esordi, dopo tanti lavori introspettivi e drammatici. Il titolo è “1485 Khz”. con Lorena Trevisan e con lo scrittore maniaghese Emiliano Grisostolo: si tratta di una ghost story tutto tondo girata tra Bosplans e Vivaro, che però rivela una riflessione sullo sfruttamento nel mondo del lavoro. Confido di presentarla a Roma nell’ambito di una retrospettiva dedicatami a un evento cinematografico in primavera. Ma si tratta solo di una parentesi, perché ora mi sto concentrando sull’esordio nel lungometraggio che, quasi sicuramente, sarà ambientato sulle montagne del Friuli Venezia Giulia».

A proposito di futuro: in quale luogo del Friuli Venezia Giulia vorrebbe ambientare il prossimo film?

«Cave del Predil evoca in me un certo fascino. Come anche il centro abitato di Casso, che sto seriamente considerando come uno dei luoghi del mio esordio nel lungometraggio».

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