Il fascino delle immagini impossibili

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Margherita Reguitti

15 Settembre 2022
Reading Time: 5 minutes
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Davide Morandi

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Pilota riconosciuto ENAC di aeromobili a pilotaggio remoto, il monfalconese Davide Morandi è filmmaker e drone operator.

Dopo essersi formato alla Scuola di Cinema di Roma, ha iniziato la carriera come consulente fotografico, operatore di macchina, steadiman e macchinista per il cinema in diverse produzioni. Nel settore musicale ha collaborato con artisti del calibro di Elisa, Claudio Baglioni, Luca Carboni, Il Volo, solo per fare alcuni nomi. Da 10 anni fa parte del team della casa di produzione indipendente Dmovie. Gli abbiamo chiesto di raccontarci in cosa consiste il suo lavoro, un mestiere di oggi fortemente proiettato verso il futuro.

Dronista: questa la definizione “volgare” di una professione che fino a pochi anni fa non esisteva. Quali sono i settori e quali i ferri del mestiere?

«Quella del pilota di APR – aeromobili a pilotaggio remoto, in inglese UAV – Unmanned Aerial Vehicle – in effetti è una professione nata da poco. In sostanza, per quanto mi riguarda, è la possibilità di collocare la videocamera in posti prima impensabili e farle fare dei movimenti che fino a poco tempo fa erano impossibili. Per me la telecamera è dunque diventata un utensile in più nel mio “coltellino svizzero” da regista. In realtà poi gli APR vengono usati anche in molti altri contesti: dal civile all’industriale, dalla ricerca e salvataggio all’agricoltura. Logicamente per farne una professione ed essere un pilota accreditato non basta avere un riconoscimento basico ma superare vari step di formazione. Nel mio caso una formazione continua dal 2016, da quando ho iniziato la carriera di pilota professionista».

Cinema, sport, arte. L’occhio e cervello del fotografo che diventano il movimento del regista. Sfide e complessità del passaggio dalla staticità al movimento dell’immagine?

«A mio parere il video non è nient’altro che la diretta evoluzione della fotografia. Da qui la necessità di far muovere la camera per aggiungere dinamismo a quello che una volta era statico. Fortunatamente oggi la tecnologia ci aiuta molto in questo compito e, anche grazie all’uso dei cosiddetti droni, si possono ottenere risultati impressionanti. Io, da sempre piccolo nerd, sono affascinato e amo tutta la tecnologia e la sua applicazione nel contesto professionale del video. Da qui deriva la passione per il macchinismo, che diventa la sfida a far muovere la videocamera nello spazio con l’uso di stabilizzatori, bracci, carrelli, ma anche barche, auto, elicotteri e droni appunto».

Quali le motivazioni per il ritorno in Friuli Venezia Giulia dopo la formazione e il lavoro a Roma?

«Fondamentalmente la fame di lavoro. A Roma la concorrenza è sempre stata fortissima. Per questo, ma anche per il forte legame che ho sempre sentito per il Friuli Venezia Giulia, ho scelto di ritornare. Ho colto la sfida di portare le mie competenze professionali acquisite nella capitale a casa. Una scelta che mi ha permesso di ritagliarmi il mio “spazio nel mondo”».

Tecnica ed esperienza di “bottega” per comporre un proprio alfabeto espressivo. Quali le tessere?

«Sul lavoro sono una persona molto empatica, riesco a entrare quasi sempre in sintonia con le persone con cui sto lavorando, riuscendo a capire necessità e bisogni, se possibile anticipandoli. Questo è un mestiere che si ruba con gli occhi ogni momento, osservando come lavora chi ha più esperienza. Si impara sul campo. Per quanto si possa studiare sui “banchi”, la vera esperienza diventa patrimonio di conoscenza e competenza con la pratica. In tutti questi anni ho avuto la fortuna di lavorare con grandissimi professionisti, dai quali ho ricevuto molto a livello professionale ma anche umano».

Quanto è stata importante l’esperienza sul set del film “The Space Between”, pellicola pluripremiata ambientata in regione?

«Sono entrato a far parte della crew di “The Space Between” in sostituzione di un collega macchinista che si era infortunato. Sono dunque arrivato a riprese già iniziate e le ho portate a termine. È stata la mia prima esperienza, veramente emozionante, oltre che formativa. Ho lavorato ad altissimi livelli avendo la possibilità di conoscere persone molto interessanti, tra cui la regista Ruth Borgobello e suo marito Davide, con i quali si è creato un rapporto speciale, abbiamo legato in modo particolare».

Come è stato lavorare nel mondo della musica con Elisa, Baglioni e tanti altri?

«Ogni esperienza è particolare perché ogni artista è unico. Lavorare in stretto contatto con i grandi è un’esperienza davvero speciale; Marino Cecada, regista ed editor di video e live per i maggiori artisti della scena italiana, è stato il mio Pigmalione. Con lui ho avuto la possibilità e l’onore di conoscere e collaborare con grandi professionisti della canzone italiana».

Lei ha seguito anche la cronaca politica romana. Quale il valore aggiunto di tanta esperienza fra spettacolo, set cinematografici e immagini industriali per Fincantieri, ma anche azione nel mondo della scienza con Margherita Hack?

«Nel corso degli anni ho avuto modo di spaziare in molti campi della produzione dell’audiovisivo e quindi mi è capitato di lavorare per le news come sui set cinematografici, ma anche di realizzare video e spot industriali, e questi ultimi al momento sono il mio core business. Grazie a Dmovie, realtà importante in regione con la quale collaboro da 10 anni, ho avuto la possibilità di entrare a Fincantieri. Cantiere Navale di Monfalcone dove già mio nonno materno lavorava come fotografo. Mi piace dunque pensare a una continuazione della tradizione di famiglia. Ho ripreso la sua strada ma alla mia maniera: utilizzando la tecnologia di ultima generazione».

Fra gli ultimi suoi progetti a Milano ha fatto parte del team del progetto artistico “The art of dreams”. Un evento mondiale made in Porsche, fra arte e spettacolo. Di cosa si è trattato?

«Si è trattato di una performanceshow di 3 minuti, 4 volte al giorno, nella quale 10 droni volavano in coreografia sopra l’istallazione floreale presentata dallo studio Mary Lennox di Berlino dal titolo “The Art of Dreams”, allestita all’interno della corte di palazzo Clerici durante il Fuori Salone di Milano. Questa particolare operazione, realizzata con così tanti droni pilotati manualmente in un contesto urbano, è stata possibile solo grazie all’utilizzo di elementi inoffensivi del peso inferiore a 250g e alla maestria del grande Claudio Zavagno, mente del progetto che mi ha dato la possibilità e concesso la fiducia di partecipare».

La nuova tecnologia dell’immagine fa bene alla creatività nel suo settore?

«Credo che la tecnologia sia semplicemente un mezzo per raggiungere un fine. La capacità di utilizzarla al meglio dipende solo da ognuno di noi, in rapporto alle proprie competenze. Detto questo, da piccolo nerd, per me è una pacchia. Adoro perdermi fra le innovazioni tecnologiche del mio settore, e una delle mie passioni è costruire, programmare e pilotare droni acrobatici FPV. Ovvero guidarli con visore in “prima persona”. L’emozione è quella di essere a bordo, in volo. Fantastico».

Un sogno da realizzare e un consiglio per chi intende seguire la sua strada?

«Mi piacerebbe tornare a lavorare nel cinema su set di importanti produzioni. Detto questo, sono contento della mia vita professionale e al momento non mi manca niente. Ho la grande fortuna di fare un lavoro che mi piace e che non mi pesa troppo. Consiglio, a chi volesse avvicinarsi a questo mondo, ma ritengo che sia una modalità di approccio che valga in generale nella vita, di essere umili e propositivi, avendo rispetto del prossimo. In modo particolare in questo momento storico travagliato e incerto nel quale l’inciviltà sembra a volte prendere il sopravvento. Il mestiere verrà da sé».

 

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