Il fascino del Medioevo

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Margherita Reguitti

11 Gennaio 2018
Reading Time: 4 minutes

Angelo Floramo

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Angelo Floramo è esperto di letteratura latina medievale e di paleografia latina e diplomatica, ma anche scrittore e docente. Uomo di frontiera, vanta sangue misto friulano-balcanico. Di lui colpiscono lo sguardo sempre attento e curioso, sia alla grande storia sia alle memorie personali e collettive, così come il suo essere studioso rigoroso e affascinante cantastorie di vite e atmosfere di periferia. Collezionista di emozioni, esperienze e sapori, ama condividerli attraverso le pagine dei libri o con l’avvolgente malia delle parole in osteria, a scuola o nei luoghi deputati alla cultura. Per lui non fa differenza dove e con chi: ha il dono di saper scegliere le parole giuste per arrivare agli astanti. Un raccoglitore di storie, all’opera davanti a un bicchiere di vino sincero, fra i boschi del Cansiglio e in cammino lungo i sentieri rocciosi del Carso. Come un cercatore di funghi o pepite sa che una minuzia può nascondere un tesoro.

Professor Floramo, come è nata la passione per il Medioevo e la scelta di studi non ritenuti forieri di carriere di successo?

«Nella vita si è segnati dai bravi maestri e io ho avuto insegnanti di storia appassionati e appassionanti che mi hanno saputo presentare il Medioevo come una crepa non esplorata, ricca di tante suggestioni, in cui metterci le mani con passione e fantasia. All’università, quasi per caso, sono capitato a una lezione di latino medioevale di Nevio Zorzetti, per me un faro. Da lui ho imparato che questa parte della storia è come una grande e bella cucina, piena di strumenti e ingredienti diversi, dove muoversi con grande libertà perché ha orizzonti vastissimi, con ancora molto da capire».

Una passione verso la conoscenza del passato per capire il presente?

«Direi di sì. La passione per la storia mi ha condotto all’esplorazione dei medioevi slavi e lo studio mi ha portato a capire che cosa sta accadendo oggi nell’area balcanica. La fascinazione dello studio non sempre è legata a ragioni critiche, nasce piuttosto dalla golosità e anche bulimia di conoscere, a tavola e in biblioteca (ride, ndr). Certo lo studio della storia permette di capire meglio ciò che accade oggi».

Che rapporto vede fra le migrazioni di ieri e quelle di oggi?

«Il millennio medievale ci ha insegnato che non dobbiamo essere preoccupati per gli spostamenti di popoli. I così detti barbari hanno vivificato il substrato latino, greco e cristiano. L’Europa, a Oriente e Occidente, è diventata grande mettendo assieme culture e sensibilità diverse del mondo germanico e slavo. Chi si ferma alla paura ha capito poco della storia. Certo senza sottovalutare l’attuale fenomeno che ritengo debba essere inserito nel giusto contesto, con la corretta priorità. La storia non cristallizza, è sempre in divenire. Nei periodi di crisi e frattura hanno germogliato grandi civiltà».

Saggista e narratore, cantastorie e docente, appassionato  di cucina, buoni vini e mitologia. Come convivono questi interessi?

«Il mio appetito multiplo tiene assieme interessi diversi, nella costante ricerca di qualcosa che sia appagante, mai saziante, sempre sorprendente. Unire sapori improbabili, che poi risultano piacevolmente sorprendenti, è una caratteristica del mito antico ma anche della psicoanalisi, da Freud e Jung. Il mio è un desiderio di viaggiare, esperire e incontrare, sia attraverso i libri, sia nel contatto con le persone. Questo rende la vita un passaggio bello. Mai sazi!»

Lei è uomo di frontiera dai geni meticci, quanto incidono le radici in queste terre nell’attività di studioso e scrittore?

«Non potrei pensarmi altrove e neppure vivere in un grande centro, lontano dalle crepature, dagli incroci e dagli incontri di queste terre. Sarebbe una desolazione totale. Il fondo sabbioso, confuso, il diverso da te: sono elementi che fanno emergere le scoperte più interessanti, il senso di meraviglia e straniamento. Questa è una regione di attraversamenti di genti ma anche di spinte alle migranze, fenomeni che ci regalano un occhio vago, che ci permette di guardare oltre, senza supponenza, senza chiudere le porte, anche nel dolore dello sradicamento».

Con i suoi ragazzi a scuola che tipo di rapporto instaura: docente in cattedra o compagno di viaggio verso la vita?

«I ruoli durante la crescita vanno distinti. È importante la consapevolezza che non si è tutti amici. Per ruolo non intendo superiorità bensì il fatto che ho annusato più sentieri e accumulato più esperienza rispetto ai miei studenti. Sono dunque portato a consigliarli e a metterli in guardia. La scuola è però un bel laboratorio in cui tutto è messo in discussione. I miei studenti possono assaggiare qualcosa che io non ho indicato. Allora diventa un loro regalo per me, e viceversa. Dunque pur avendo ruoli diversi siamo una ciurma che va all’avventura. In questo senso sono compagno, nello studio e nei viaggi che compiamo assieme».

Se non fosse Angelo Floramo che personaggio del passato o del futuro avrebbe voluto o vorrebbe essere?

«Nel passato mi immagino come un chierico molto vagante, radicato in un’idea, ma anche in fuga verso altri orizzonti, in cerca delle orme di un maestro, nella speranza di mai trovarlo, per proseguire la ricerca. Nel futuro non saprei. Sono ancorato a un presente intriso di passato, ma bello da vivere, qui e ora, in quanto irripetibile».

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