I confini della storia

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Michele Tomaselli

20 Maggio 2014
Reading Time: 4 minutes
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Cippi e termini in Friuli Venezia Giulia

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Percorrendo la campagna friulana o i sentieri dell’arco alpino, vi sarà sicuramente capitato di incontrare nascosti fra le erbacce e i cespugli, cippi o termini appartenenti al confine italo-austriaco.

Un termine non è altro che un manufatto in pietra o in cemento, ma a volte può essere anche una roccia o un tronco d’albero, posizionato sul territorio a indicare che lì finisce uno Stato e ne comincia un altro. Fin dall’antichità si pensò di inserire questi segnali, attraverso pietre infisse nel terreno, per identificare i confini fra le diverse popolazioni. Fu di origine romana l’usanza di inserire carboni, ceneri e terrecotte sotto i segnali, per eludere le manomissioni dei confini, grazie all’esistenza sotterranea di altri indicatori. Inoltre la rimozione dei segnali costituiva sacrilegio, poiché i Romani li onoravano, riconoscendoli come dimora degli dei. Secondo l’editto di Rotari (643), la rimozione dei confini o la loro distruzione era punita, nei confronti dei cittadini liberi, con sanzioni pecuniarie e, per gli schiavi, con l’esecuzione capitale o con il taglio della mano.

Il rispetto dei termini è stato uno dei grandi problemi del legislatore antico: se ne occuparono perfino gli Etruschi, oltre ai Greci e ai Latini. In epoca cristiana, i termini venivano segnati con una croce e così religiosamente protetti. Era anche d’uso denominarli “capitelli” per la forma e l’importanza. Se ne potevano trovare di pregevole foggia, incisi sul marmo bianco. Va detto, però, che era molto più conveniente definire i confini sul percorso di un corso d’acqua o sulla cresta di una montagna, piuttosto che dover utilizzare, in grande quantità, manufatti appositi.

Oggi è possibile rinvenire cippi di confine sull’attuale confine italo-austriaco, alcuni pregevoli ed eleganti, altri più grezzi e artisticamente meno interessanti, ma sempre di grande valenza storica.

Questi cippi hanno resistito per secoli in mezzo al passaggio degli eserciti e dei contrabbandieri e oggi ricorda no “l’iniquo” confine fra il Regno d’Italia e l’Austria, la cui cancellazione costò all’Italia tante lacrime e tanto sangue. Il motivo dell’appellativo “iniquo” è presto spiegato: si trattava di una linea confinaria tra le più assurde nella storia, che per la sua realizzazione aveva richiesto 36 termini su 58 km, dislocati fra lo Judrio e la laguna di Grado.

Non possiamo dimenticare che i confini nord orientali per il Friuli, più che per ogni altra regione, hanno contrassegnato profondamente le vicende del popolo friulano.

Il termine di confine, di solito, è costituito da un blocco in pietra dura di profilo prismatico, lavorato a scalpello, che può assumere, a volte, le sembianze di un’opera d’arte. Può portare incisi numeri, lettere, stemmi e altri segni simbolici. Lettere e scritte indicano sui due lati gli Stati confinanti, un numero di una o più cifre, a volte preceduto dalla lettera N, rappresenta il numero distintivo e progressivo di ogni termine dentro una serie.

Fra tutti i termini ancora esistenti, probabilmente poche persone sono a conoscenza del cippo confinario n. 67 di Tre Ponti, un reperto di indubbio valore storico, che lega Cervignano del Friuli a Udine. Si tratta di un’importante testimonianza dei confini orientali, dal 1926 custodito nella cornice del Castello di Udine. Un reperto che, in due secoli di vita, ha visto cambiare vicendevolmente i confini.

Il 24 maggio 1915, inoltre, ha addirittura dato il benvenuto ai soldati italiani, al momento del loro ingresso nelle nuove terre redente: Cervignano e il suo  mandamento, porta verso i territori di Gorizia e Trieste, dove di fatto ebbe inizio la Prima Guerra Mondiale per l’Italia.

Fulcieri Paulucci di Calboli, eroe della Grande Guerra, il 24 maggio del 1915 fu fra i primi a varcare il vecchio e ora dimenticato confine di Tre Ponti di Cervignano, segnato da quello che ora appare un cimelio di rilevanza storica, a ricordo delle rivendicazioni di italianità di quelle terre. Il cippo, che risale al 1816, divideva l’Illiria, una suddivisione dell’impero austriaco, dal Regno Lombardo Veneto.

Allora, Cervignano si trovava in Illiria e costituiva la frontiera con il Lombardo Veneto. Nel 1866, con la nascita dell’impero austroungarico, Cervignano divenne l’ultimo avamposto dell’impero asburgico. Il cippo confinario n. 67 segnava il confine con il Regno d’Italia, che aveva appena inglobato il Friuli occidentale. Quando finì la Grande Guerra quel cippo non servì più e, nel 1926, fu donato ai Civici Musei di Udine. Oggi esso può essere ammirato in tutto il suo splendore e nella sua interezza (3 pezzi; la base non è autentica) presso lo spigolo Nord Ovest del castello di Udine, all’inizio della scalinata che scende verso Piazza della Libertà.

A perenne ricordo di quel confine venne collocata un’apposita scritta che recita: “Questo cippo dell’iniquo confine Cervignano di redenta divelse. E qui pose perché il risorto Friuli rammenti”.

Grazie a questa collocazione, il termine n. 67, che è del tipo 3a con dimensioni di cm 60×60 e dall’altezza di cm 90/100, è il meglio conservato del territorio friulano. Va detto però che, fi no al 1960, si trovava nell’atrio d’ingresso del Castello, in una posizione di maggior rilevanza. Inoltre va segnalato che, secondo la ricostruzione della guida “Antichi termini confinari del Friuli: localizzazione e itinerari alla loro riscoperta”, il cippo n. 67 si trovava a Strassoldo anziché a Tre Ponti, fra la dogana austriaca (oggi casa Marani) e la dogana Italiana (oggi Mulino delle Tolle).

Recentemente l’Associazione Cervignano Nostra ha chiesto al Comune di Udine la restituzione del Cippo di Tre Ponti, poiché ritenuto un pezzo importantissimo della storia cervignanese.

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