Gian Paolo Polesini: il figlio unico

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Per secoli la sua è stata una famiglia ricca e potente dell’Istria. Poi il dramma dell’esodo con la confisca di beni e possedimenti, e la fuga a Udine per ricominciare da zero. L’ultimo discendente di quella dinastia rivive un’epopea che ora anche a Parenzo hanno deciso di tramandare nel tempo

Gian Paolo Polesini
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La famiglia dei marchesi Polesini torna a casa a Parenzo, a 80 anni dal tragico agosto del 1944 quando con l’arrivo dei titini i nobili dovettero fuggire per avere salva la vita.

L’arte e la cultura ricompongono quanto la storia disgregò. Gian Paolo Polesini, noto e apprezzato giornalista e scrittore udinese, esperto di cinema e televisione, ultimo discendente della aristocratica famiglia, fra le più influenti, ricche e stimate dell’Istria, da Montona a Parenzo, ha infatti voluto che l’importante quadro che ritrae i suoi avi, unitamente a centinaia di fotografie e documenti, gioielli, oggetti preziosi e importanti, torni nella terra di origine del casato.

Saranno il corpus del fondo dedicato alla nobiltà istriana che il Museo del territorio parentino allestirà in una delle sale più prestigiose del barocco Palazzo Sinčić, edificio nel cuore della città.

«Il fondo Polesini, ricco di pezzi unici di grande valore storico-artistico – spiega la direttrice dell’istituzione culturale, Elena Uljančić –, racconterà il periodo più importante della vita del nostro territorio nei due secoli dal ’700 all’’800. Verrà esposto in una delle sale più belle del futuro museo al quale stiamo lavorando con grande impegno e che, dopo il completamento del restauro delle facciate, andremo a ultimare nei prossimi anni, non appena avremo la disponibilità dei fondi necessari. Si tratta di un investimento di parecchi milioni di euro per i quali stiamo esaurendo le procedure di richiesta per finanziamenti anche europei».

Il quadro, attribuito a Giuseppe Tominz (1790-1866), ritrattista della nobiltà e della borghesia fra i più importanti e famosi del suo periodo, si presenta in ottime condizioni di conservazione. Raffigura alla maniera della moda del tempo da sinistra Marianna Cridelli, il marito Benedetto, le figlie Nicolina ed Elena, accanto a Gian Paolo e Francesco, padre e fratello di Benedetto.

I Polesini nel quadro di Tominz
I Polesini nel quadro di Tominz

Una storia lunga 500 anni quella dei marchesi Polesini, originari di Montona e giunti a Parenzo nel ’700, che Gian Paolo ha raccontato in due libri: “Sangue blu” (Cre@ttiva, 2007) e nel recente “Polle – Il figlio unico” (L’Orto della Cultura).

Un’epopea che, dopo il dramma dell’esodo a seguito dalla confisca e nazionalizzazione delle terre, dei palazzi e di ogni altro bene, portò il padre e il nonno del giornalista, Benedetto (1915-1998) e Gian Paolo (1886-1967) (ebbene sì, i nomi si ripetono spesso nelle famiglie di alto lignaggio) a ricominciare da zero a Udine, privati degli agi e della ricchezza nei quali la famiglia aveva vissuto per secoli.

Anche recentemente la storia ha giocato un altro tiro mancino; ce lo racconta lo scrittore che, suo malgrado, si è trovato impastoiato in una vertenza che sarebbe il plot perfetto per una commedia dell’assurdo, vista la passione anche per il teatro dell’ultimo discendente del casato.

«A cavallo fra il 2010 e il 2011 – confida – ebbi la gradita sorpresa di ricevere la comunicazione ufficiale che 20 ettari dalle parti di Montona erano sfuggiti, non si sa come, alla nazionalizzazione ed erano ancora intestati ai miei nonno, padre e zio. Avviai lunghe e laboriose pratiche di successione e quando il tribunale locale mi annunciò che ero titolare della proprietà, attestato dalle mappe catastali, accettai l’offerta di un imprenditore austriaco che volle acquistare i terreni per realizzarvi un campo da polo».

Tutto bene dunque?

«Per niente; firmato l’atto ricevetti una comunicazione sempre statale ma di “altro ufficio competente” che mi accusava di aver venduto terre della Repubblica. Si immagini! Sono stati anni di battaglie legali e di tante preoccupazioni e arrabbiature».

Al momento come stanno le cose?

«Tutto tace, spero che gli uffici croati si siano parlati e chiariti, altrimenti c’è il rischio che mi ritrovi inquisito, in quel caso non mi resterebbe che la latitanza (sorride ironico, ndr). Mi creda sono stati anni di fatica psicologica, sempre alle prese con avvocati e carte da bollo, stavo male ogni volta che andavo in Croazia. Oggi sono abbastanza tranquillo, ma non si sa mai!»

La sua era una famiglia potente, ricca e di grande prestigio.

«Nel ’700 i Polesini raggiunsero l’apice della ricchezza, influenza culturale e politica e vennero nominati marchesi dal doge Paoli Ranieri. Ma già alla fine del XIII secolo il mio avo Nicolò era Guastaldo di Montona. Le nostre terre si estendevano per 480 ettari coltivati a vigne, mais, ma anche tenute a bosco. Terrazze di stupefacente bellezza sul mare. Vi vivevano molte famiglie di coloni. In città avevano palazzi e molti edifici nelle campagne. Nel 1870 il mio bisnonno costruì sull’isola di San Nicolò, precedentemente acquistata, il castello in stile palladiano dedicato alla moglie Isabella».

Il castello sull’isola di San Nicolò a Parenzo
Il castello sull’isola di San Nicolò a Parenzo

Nella casa sull’isola crebbe suo padre?

«Visse da figlio unico molto amato fino alla tragica estate del 1944. Pensi che, dopo varie brutte trasformazioni in chiave turistica dagli anni ’60 in poi, nel 2015, centenario della nascita di mio padre, la villa è stata restaurata e trasformata in un elegante grand hotel di proprietà della Valamar. Il 5 dicembre, giorno del suo compleanno, a struttura chiusa in quanto stagionale, la proprietà mi concesse il permesso di andarvi per restare un paio d’ore. Portai dei fiori e una lettera indirizzata a mio padre, lasciai tutto davanti alla porta di “casa”. Sono sicuro che qualcuno vide e prese la busta, non so chi; ma mi piace pensare che ancora la conservi, magari facendosi tante domande».

Non era mai tornato sull’isola prima?

«Da bambino con i miei genitori e poi da studente universitario. Faceva figo portare gli amici e le fidanzatine sull’isola di famiglia».

Fra i suoi avi ce n’è uno in particolare a cui assomiglia?

«Mi sento affine a mio nonno, anche lui Gian Paolo, gli assomiglio anche un poco. Da lui ho imparato ad amare le auto, soprattutto le sportive decapottabili e veloci. Ne possedeva varie e ai suoi tempi era un privilegio di pochi. Uomo molto elegante, amava il bel vivere ed era un gran fumatore. Anche quando si viveva in un appartamento a Udine, per cena si cambiava come ai tempi della vita in palazzo. Ogni giorno nel suo diario annotava, preciso e regolare, i fatti per lui significativi. Entrambi amiamo il mare ma lui, a differenza di me, navigò. Io preferisco lo sguardo dalla spiaggia. Si fece costruire un cutter, imbarcazione trialbero battezzata “Eta”, nomignolo di sua moglie Margherita. Il suo equipaggio si componeva di un cameriere, un cuoco e un marinaio, lui era il comandante, ça va sans dire. Faceva lunghe traversate e partecipava, vincendo, a importanti regate. Conservo una grande coppa, primo premio, d’argento massiccio. Morì lontano dal mare. Nella mia camera da letto c’è un disegno ad acquarello della sua barca a vela. Lo penso sempre quando lo guardo».

Gian Paolo e Margherita, nonni di Polesini
Gian Paolo e Margherita, nonni di Polesini

In euro a quanto ammonterebbe oggi il valore della proprietà?

«Difficile fare una trasposizione: ma credo che si potrebbe parlare di un patrimonio di oltre 150 milioni di euro. Gli indennizzi riconosciuti nel dopoguerra da parte dello Stato italiano furono misere briciole».

Cosa rappresenta lo stemma dai marchesi Polesini?

«Il gallo è il simbolo della casata, accanto a una zampa di leone, ricordo della Serenissima alla quale la famiglia era fedele nutrendo forti sentimenti antiaustriaci. Tre stelle su campo rosso e blu completano il blasone che porto tatuato sul polso».

Con quali figure comporrebbe un suo scudo araldico parlante?

«Con i simboli del mio carattere e delle mie passioni. Il sorriso: le mie battute, dote naturale e retaggio del mio passato di cabaret e di clownerie. La penna, passione estetica da collezionista ma anche strumento di lavoro, dal 1985 sono giornalista per il Messaggero Veneto. Infine l’orologio: ne possiedo vari ma sono  affascinato in modo particolare dalla funzione di meccanismo pensato per scandire lo scorrere del tempo. Passato, presente, futuro: mi piacerebbe rivedermi negli anni ’70 mentre sto vivendo un momento importante, ad esempio il primo bacio a una fanciulla in un parco. Vorrei poter viaggiare nel tempo senza tempo. Non a caso il mio film preferito è “Ritorno al futuro”».

Polle. Il figlio unico” avrà un seguito?

«Ho scritto anche troppo dei Polesini. Non voglio che la gente dica: sa scrivere solo di quello!»

Si sente un nobile decaduto?

«Il nostro addio ai fasti e alla ricchezza è stato causato dalla Storia, non fu dunque nostra causa. Abbiamo perduto la ricchezza ma conservato l’onore morale, mantenendo stima e rispetto. Mi accade spesso di incontrare persone di ceti diversi che mi attestano questi sentimenti verso la mia famiglia. Sono fiero delle mie origini. Io non credo di aver fatto molto, cerco però di vivere secondo un’educazione ligia ai principi etici di onestà e disciplina morale. Non ho potuto riacquistare palazzi e terre ma con la scrittura ho riconsegnato alla mia famiglia la sua storia e memoria. Le carte sono per sempre, spero!»

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