Calcio balilla, gioco o sport?

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Michele D'Urso

2 Novembre 2015
Reading Time: 5 minutes
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Pierangelo Angelillo

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Il protagonista di una vecchia e gioiosa pubblicità, alla fine dello spot, urlava: “Io non ho mai provato Hurrà”. E allora, diciamolo, chi non ha mai provato a giocare a calcio balilla?

Ma il calcio balilla, o calcino o calcetto o biliardino come dicono in alcune parti d’Italia, è solo un gioco o anche uno sport? Per avere lumi, in quel di Udine mi rivolgo a Pierangelo ‘Pier’ Angelillo, virtuoso della ‘stecca’, già a suo tempo campione d’Italia. «È senz’altro uno sport; con le sue regole, la sua moralità e il suo fair play. Come tanti altri sport ‘minori’ – racconta – ha le sue vicissitudini legate alla organizzazione dell’evento in sé. Ad esempio, fino a un po’ di anni fa, esistevano tante federazioni, spesso legate alla marca costruttrice del tavolo da gioco, e ognuna si faceva il proprio campionato assegnando il proprio titolo, per cui c’erano più persone che potevano fregiarsi di aver conquistato il Tricolore».

Lei quando ha cominciato?

«All’età di sei anni, in oratorio a Trieste. La mia famiglia viveva lì quando ero bambino e il mio hobby era andare in parrocchia e sfidare a calcetto i ragazzi di diciotto anni. Inutile dire che non ero io quello che perdeva…»

Un talento naturale. Un vero e proprio…

«Calcettista, così ci chiamano. Viene anche accettata una versione più grossolana di ‘calcettaro’, tanto per dire che non ci perdiamo in chiacchiere».

Se fosse un calciatore tradizionale le chiederei in quale ruolo gioca.

«Anche noi abbiamo i ruoli; portiere o attaccante, come anche le nostre specialità che sono il singolo, la coppia e la coppia mista. Io il singolo l’ho praticato più da bambino, poi crescendo ho giocato per un periodo come portiere, per poi seguire l’istinto e passare all’attacco. Sono uno a cui nella vita piace cogliere le occasioni al volo; mi piace sentire dove andrà a parare una situazione, anche sentimentale, e l’attaccante del calcetto deve cogliere l’attimo infinitesimo durante il quale una pallina lanciata a velocità pazzesca passa vicino al piede dell’omino della sua stecca e riuscire a deviarla per realizzare un gol. È una scarica di adrenalina, di energia, che nutre tutto il mio io».

Le gare di calcetto durano una eternità. Fa qualche preparazione particolare?

«Non ne ho mai sentito il bisogno. Sono un tipo attivo per natura e l’affinamento della mia preparazione negli anni addietro si riduceva a provare qualche colpo studiando le geometrie del movimento. Non ho mai sentito parlare di preparazioni atletiche particolari; certo, c’è chi ha il calcetto in camera da letto e appena si sveglia prova e riprova tecniche varie. Per me posso dire che, giusto per carburare, un paio di colpi di riscaldamento ci stanno sempre bene».

Tuttavia sembrerebbe impossibile resistere a gare che durano oltre ventiquattro ore senza una preparazione adeguata…

«È la passione, l’adrenalina dell’agonismo, quella che ti tiene su. Forza mentale? Quella sempre, d’altronde anche nella vita di tutti i giorni non può mancare. Però tengo a sottolineare che solo la passione, e il conseguente grande piacere che dà giocare a calcetto, sono la leva che mi spinge a percorrere centinaia di chilometri pur di fare una partita».

Con il suo sport ha girato l’Italia in lungo e in largo.

«Siamo una regione piccola, con pochi abitanti e quindi pochi praticanti: ciò significa giocare sempre ad almeno tre-quattrocento chilometri da casa».

Esiste anche un livello internazionale del calcetto?

«Certamente, e anche noi abbiamo i nostri fuoriclasse, come Amedeo Molino, campione del mondo di singolo. Uno così famoso che gli è stato perfino dedicato un tipo di calcetto con il suo nome. Da precisare che a livello internazionale all’estero si gioca spesso con un regolamento diverso».

Cioè?

«All’estero sono ammessi ‘ganci’, ‘tacchetti’, ‘palle ferme’… A me invece piace giocare soprattutto ‘al volo’, ovvero di prima intenzione. Con quelle tecniche di gioco invece diventa tutto molto statico, senza brio; secondo me, proprio un altro sport.  Non per niente il titolo italiano l’ho vinto al volo».

Nel 2000 a Tropea, in coppia con Gigi Morana di San Remo, detto ‘il mago’.

«Anche questo mi piace del mio sport: l’ambiente. I fantasiosi nomignoli, l’allegria, lo sfottò elegante fanno parte del mio modo di intendere il divertimento e la competizione. Non ho sempre giocato assieme con Morana, anzi, in precedenza ci eravamo scontrati più volte; poi lui mi chiamò e venne formata la coppia vincente. L’anno successivo fummo a un passettino dal bissare il successo perché perdemmo solo la finalissima, ma si sa, ripetersi è molto difficile».

Questione anche di fortuna?

«Succede di sbagliare; la fortuna sta solo nel fatto che ciò non avvenga nei momenti topici. Se uno ha la tecnica e la determinazione non ha bisogno di cercare scuse. Il risultato dovrebbe essere visto alla luce del fair play, sempre, e quindi accettato senza recriminazioni».

Anche in una fumosa sala giochi?

«Soprattutto! E comunque, nelle sale gioco, il fumo resta ormai solo un ricordo, per fortuna. Certo non è un ambiente da ‘mammolette’; la tensione agonistica è presente, palpabile, e mantenere la lucidità, dopo ore di gioco, non è uno scherzo, ma  alla fine lo spirito sportivo prevale sempre. Ho tanti amici fra i cosiddetti ‘avversari’, che poi tali non lo sono sempre, perché in certi tornei succede anche di essere sorteggiati a formare la ‘coppia’. Posso dire di aver conosciuto in questo ambiente  persone notevoli e degne di rispetto».

Perciò un luogo adatto anche a donne e ragazzi?

«Assolutamente sì, e non solo. Anche persone diversamente abili possono trarre motivo sia di gioia che di terapia dal calcetto. Non per niente la nostra Nazionale per atleti portatori di handicap è una fra le più forti al mondo».

Che bella lezione di sportività da questo istrionico e carismatico campione, con un cognome ‘sportivamente’ importante, come quello del famoso calciatore del trio di campioni argentini ‘Gli angeli dalla faccia sporca’ (Angelillo, Sivori e Maschio). Ringrazio Pier Angelillo del tempo dedicatomi e chiudo invitando i lettori a cimentarsi in qualche partita di questo, diciamolo pure senza remore, nobile sport. Come dite? Già fatto? Bravi!

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