Accordi prematrimoniali: presto anche in Italia?

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Massimiliano Sinacori

17 Novembre 2015
Reading Time: 3 minutes
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Sposi e contratti

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Dopo l’approvazione della legge regolante il Divorzio breve (Legge 6 maggio 2015 n.55) parte dell’opinione pubblica ha riacceso la polemica attorno alla possibilità di inserire nell’ordinamento giuridico italiano quelli che gli inglesi chiamano “prenuptial agreement”: gli accordi prematrimoniali.

Cosa sono: contratti con cui i futuri coniugi stabiliscono, prima della celebrazione delle nozze, la gestione della loro nascente vita matrimoniale, sia sotto il profilo personale che matrimoniale, ivi compresa la fase di crisi. Il fine sarebbe quello di consentire a chi si sposa di regolare autonomamente il regime patrimoniale della famiglia, risolvendo così anche i problemi dei tempi e degli intasamenti presso le aule giudiziarie in caso di divorzio. In alcuni Paesi europei, vedi Germania, Francia, Inghilterra, esistono già e vengono sottoscritti dai nubendi in presenza di un pubblico ufficiale (un notaio sostanzialmente), il quale autentica l’accordo concernente sia il regime economico regolante il matrimonio che quello in vista di un eventuale annullamento dello stesso. I contenuti sono normalmente incentrati sulla divisione anticipata dei beni e sulle future condizioni di separazione, in primis gli assegni di mantenimento, tuttavia non mancano accordi contenenti le clausole più disparate, riguardanti finanche l’adulterio e l’interruzione di gravidanza.

Ma quali sono i problemi giuridici che limitano il loro ingresso in Italia? Nel nostro ordinamento giuridico dottrina e

giurisprudenza sono concordi nel ritenere nulli per illiceità della causa i patti assunti prima delle nozze, in quanto contrastanti con i principi di indisponibilità dello status di coniuge e di figlio, nonché dell’assegno di divorzio.

Il combinato disposto degli art.5, 6 e 9 della Legge sul Divorzio n.898/1970 nonché le nuove procedure divorzili prevedono, infatti, la competenza esclusiva in capo a giudici, ovvero pubblici ufficiali legalmente autorizzati, per le dichiarazioni di stato in materia di separazione dei coniugi, per la quantificazione dell’assegno di mantenimento, per le disposizioni in materia di filiazione e per le eventuali revisioni.

La sottoscrizione di questi patti risulterebbe in aperto contrasto con l’art.24 Cost. vanificando il diritto di difesa nelle aule giudiziarie del coniuge economicamente più debole, il quale, pur di contrarre matrimonio, potrebbe essere indotto a sottoscrivere simili accordi, rinunciando per il futuro al riconoscimento e alla salvaguardia di taluni diritti essenziali, suoi e della eventuale prole.

Non mancano le critiche a tale orientamento tradizionale. Per i sostenitori degli accordi prematrimoniali la negazione di simili intese sarebbe un limite inaccettabile all’evoluzione del sistema normativo, orientato, al contrario, a riconoscere sempre maggiori spazi di autonomia privata ai coniugi, come dimostrano le ultime riforme sulla possibilità di Negoziazione assistita e del Divorzio breve.

Un passo avanti, seppur minimo, si può riconoscere in una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ. 21 dicembre 2012 n.23713) la quale ha considerato lecito un patto prenozze che impegnava un futuro coniuge, in caso di separazione, al trasferimento di un proprio bene immobile al compagno in considerazione del prestito fattogli da quest’ultimo per le spese di ristrutturazione dello stesso. La sentenza di legittimità ha considerato la scrittura quale contratto atipico (contra vedi Cass. civ. 21 agosto 2013 n.19304) meritevole di tutela ai sensi dell’art.1322, comma secondo, c.c., libera espressione della autonomia negoziale tra le parti, estranea alla categoria degli accordi prematrimoniali diretti alla disciplina dell’intero assetto economico tra i due soggetti o di un profilo rilevante dello stesso. Le parti avevano dunque inteso attuare un collegamento sinallagmatico tra due prestazioni economiche: la moglie avrebbe trasferito al coniuge la proprietà di un suo immobile a fronte delle spese sostenute da costui per ristrutturale la “casa coniugale”, delineandosi in tal modo una datio in solutum ai sensi dell’art.1197 c.c..

Quella descritta, tuttavia, non apre le porte a una anticipazione della disciplina in caso di separazione o divorzio che quindi si può dire ancora “tabù” nel nostro sistema.

Nell’ottobre 2014 gli stessi promotori della riforma sul Divorzio breve avevano presentato nel Decreto legge n.2629/2014, cd. “salva Italia”, anche le modifiche necessarie per l’inserimento degli accordi prematrimoniali nel codice civile. Le stesse riguardavano parte del dettato dell’art.156 c.c. e l’inserimento di un articolo ad hoc in materia, art. 162-bis. Tuttavia, la proposta di legge non ha avuto seguito venendo eliminata nelle varie revisioni del decreto.

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