Il filosofo del basket

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Livio Nonis

3 Novembre 2023
Reading Time: 4 minutes
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Con la maglia azzurra ha conquistato titoli europei e medaglie olimpiche. Ora il cestista aquileiese allena i giovani che si avvicinano alla pallacanestro

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Ha calcato i parquet del mondo, ma Aquileia resta sempre casa sua. Dopo quella da giocatore di successo – ex capitano della Snaidero Basket e pilastro della Nazionale in due spedizioni olimpiche, nonché campione d’Europa nel 1999 –, Michele Mian ha da poco intrapreso la sua seconda vita nella pallacanestro, quella di allenatore di settore giovanile.

Laureato in filosofia, in questa intervista Mian condivide ricordi ma, soprattutto, una visione a 360 gradi del “suo” sport.

In due parole cos’è la pallacanestro per Michele Mian?

«La mia passione e divertimento».

Da atleta delle squadre giovanili a professionista della Serie A e della Nazionale, e ora allenatore. Nei 50 anni di vita di Michele Mian, com’è evoluto questo sport?

«Come tante cose la pallacanestro è cambiata, i regolamenti sono mutati. Quando ho iniziato a giocare ad esempio non c’era il tiro dei tre punti, solo successivamente è stata introdotta la regola dei 24 secondi per effettuare il tiro, che ha reso il gioco più veloce e fisico. Dall’altra parte però mi sembra che il basket stia diventando mediamente meno tecnico se non parliamo del livello top».

Con la Nazionale italiana lei è stato campione d’Europa nel 1999 e ha vinto sia un argento

alle Olimpiadi che un altro bronzo europeo. Quali sono i momenti che ricorda con maggior affetto?

«La partecipazione alla prima Olimpiade a Sidney, nel 2000. Per me era la prima partecipazione e quindi tutto appariva nuovo: un’esperienza magnifica, perché mi ha anche permesso di conoscere l’Australia. Inoltre erano 16 anni che la Nazionale italiana non si qualificava alle Olimpiadi e io ho avuto l’onore di partire in quintetto base nella partita d’esordio. Ma ci sono anche altri momenti importanti».

Ce ne dica uno.

«Il bronzo agli Europei di Stoccolma 2003 è stata la medaglia più imprevista, con una squadra di minor talento rispetto agli anni precedenti e tutta da formare. Siamo riusciti a costruire un gruppo solidissimo e unitissimo che ci ha permesso di ottenere risultati insperati anche l’anno successivo».

La pallacanestro come scuola di vita. Lei gestisce un’associazione dove allena giovanissimi: cosa insegna loro oltre alle tecniche del basket?

«Il rispetto. In primis verso se stessi: impegnarsi e dare il massimo come forma di autorealizzazione al di là dei risultati. Poi rispetto delle regole, dei compagni, degli avversari e del materiale che si sua. Senza una di queste componenti il gioco non potrebbe avvenire».

Semplicemente divertirsi e legittima ambizione di diventare un campione: nei giovani giocatori che praticano questo sport come si trova il giusto equilibrio?

«Per me è stato semplice, mi sono sempre divertivo a giocare a basket in qualsiasi luogo e con qualsiasi compagno di gioco, sognando di essere i miei miti dell’infanzia, Karim Abdul Jabbar e Magic Johnson. A mio avviso parte tutto dal divertimento e dalla passione che uno ci mette, al di là di dove giochi».

L’allenatore Michele Mian cosa desidera trasmettere ai propri allievi?

«Il senso della squadra, dell’impegno e del cercare di superare i propri limiti e la fatica, se si fa tutto questo con passione ci sarà anche il divertimento».

A proposito di allenatori, chi è stato il più importante nella sua carriera?

«Ce ne sono stati tanti e per motivi diversi. Cito solo il primo che ho avuto ad Aquileia quando ho iniziato a giocare: Luciano Sverzut. Mi ha insegnato il gioco di squadra, a coinvolgere i compagni e a fare le scelte giuste sul parquet».

Michele Mian quando ha capito che il basket era più di una semplice passione e che sarebbe diventato la sua professione?

«Devo dire che ho sempre trovato riduttivo considerarmi solamente un giocatore di basket, per questo anche quando ho iniziato a fare il “professionista”, finite le scuole superiori mi sono iscritto all’università e quando potevo frequentavo le lezioni a Trieste. Mi ricordo che durante i raduni della Nazionale, dopo pranzo, quando i miei compagni di squadra andavano a riposare, io mi mettevo a studiare per preparare gli esami di settembre…»

Da giovane ha mai pensato di smettere di giocare e di fare altro?

«Ho smesso di giocare un paio di volte tra i 16 e i 19 anni, entrambe le decisioni dopo che non mi sono sentito accettato per quello che ero al di là del campo. L’ultima volta ho preferito smettere di giocare nella squadra che quell’anno partecipava al campionato di serie B, ma ovviamente ho continuato a frequentare il campetto, non avrei mai potuto restare senza la pallacanestro».

Il dottore Michele Mian nel 2001, tra tanti impegni sportivi, si è laureato con il massimo dei voti in Storia e Filosofia. Esempio concreto di come pratica sportiva e percorso di studi non siano incompatibili…

«Mi sono iscritto all’università sia per curiosità e passione ma anche per non sentirmi solo un giocatore di basket. Ero come uno dei tanti ragazzi che studia».

Lei ha fatto parte anche di diversi sindacati sportivi. Non tutti i giocatori professionisti diventano milionari e a fine carriera hanno necessità di reinventarsi. Quali tutele sono a suo avviso necessarie?

«Prima delle tutele ogni giocatore dovrebbe investire su se stesso, sulla propria formazione al di là della pallacanestro, magari seguendo e approfondendo le sue passioni e i suoi interessi».

Michele Mian adora allenare le giovani generazioni. In futuro è ipotizzabile anche una panchina seniores?

«Ho appena conseguito il patentino di allenatore e devo ancora imparare come si allena, al momento sono focalizzato solamente sulle prime squadre giovanili».

 

Michele Mian è stato giocatore di basket professionista dal 1993 al 2011. Ho conquistato varie promozioni sia dalla Serie B alla A2 (1994), che dalla A2 o Legadue alla Serie A (1998 e 2007). Con la Nazionale italiana ha partecipato a tre Campionati Europei vincendo una medaglia d’oro (1999) e una di bronzo (2003). Ha inoltre partecipato a due Olimpiadi: Sidney (2000) e Atene (2004) dove ha conquistato una medaglia d’argento. Ha vinto anche altre due medaglie d’argento: una con la Nazionale Under 22 agli Europei (1994) e l’altra con la Nazionale Sperimentale ai Giochi del Mediterraneo (1998).

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