All’origine dei Pooh

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redazione

30 Marzo 2016
Reading Time: 6 minutes

Intervista a Mauro Bertoli

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Nella primavera del 1962, a Bologna, Mauro Bertoli, chitarrista e cantante alle prime armi, incontra Valerio Negrini, batterista e cantante. Dall’intesa immediata fra i due nasce il fermo proposito di creare un gruppo musicale di spessore, che lasci un segno tangibile nella storia della musica italiana; agli inizi un duo, poi un trio, un quartetto fino alla prima storica formazione di cinque elementi, I Jaguars, che in breve tempo si impone all’attenzione della Bologna beat.

L’incontro con il patron della casa discografica “Vedette Records”, Armando Sciascia, nel 1965 in un locale della città costituisce la svolta decisiva: impressionato dall’impegno e dalla forza scenica del gruppo, lo convoca a Milano per un’audizione, superata a pieni voti nonostante l’inesperienza.

Lunghe sedute in sala di registrazione trasformano in breve tempo i Jaguars in una formazione molto agguerrita. Cambiano marcia e anche nome, nasce l’idea POOH. Nel frattempo iniziano a lavorare nei più famosi locali nazionali ma proprio a Bologna avviene lo storico incontro con Roby Facchinetti, nel marzo del 1966. Mauro rimane impressionato dalla vocalità del bergamasco e lo invita a farne parte: sarà la svolta decisiva e in breve nascerà anche il binomio “Facchinetti-Negrini”. Nel giro di poco anche Riccardo Fogli, conosciuto al Piper di Milano, entra nella formazione arricchendone la vocalità.

Nasce il primo Lp “Per Quelli Come Noi”,  pietra miliare dei POOH e data storica: 1966.
Tutto sembra procedere per il meglio, ma all’improvviso Mauro ha un ripensamento: dopo lunghe e personali riflessioni, manifesta la propria intenzione di lasciare il gruppo.

A cinquant’anni di distanza in un libro denso di emozioni (“POOH Atto di Nascita – 1962-1967”) il fondatore del complesso ripercorre quella storia. Che in questa intervista ha voluto condividere con iMagazine.

 

Mauro Bertoli, partiamo dalla fine: com’è nata l’idea di realizzare questo libro?

«Successe a Bergamo, il 3 gennaio 2014, in occasione della commemorazione a Valerio Negrini, al teatro Donizzetti, a un anno dalla scomparsa. Una moltitudine di fans dei Pooh mi riconobbe e mi assediarono di domande, molte sugli inizi… Quando raccontai loro del primo incontro con Valerio nel 1962 ci fu uno stupore generale: nessuno sapeva di quella data e tutti ritenevano che il gruppo fosse nato nel 1966, con l'uscita del primo LP “Per quelli come noi”. In effetti questa è la data storica indicata dai Pooh attuali, che non erano presenti allora nel gruppo. Dall’invito dei fans a fermare nel tempo questa favola meravigliosa è nata la decisione di scriverla in un libro».

Torniamo allora all’inizio: come sono nati realmente i Pooh?

«Valerio maturò l'idea di formare un complesso musicale di grande spessore e venne a proporla a me proprio nel 1962: nacque un duo, poi un trio, un quartetto, un quintetto, cambiando diversi elementi fino a giungere alla prima formazione dei Pooh che comprendeva, oltre  Valerio e me, Mario Goretti alla chitarra ritmica, Gilberto Faggioli al basso e Bob Gillot alle tastiere. Era il 1965».

Far parte di questo complesso cosa ha significato per lei?

«È stata l'esperienza più bella e gratificante di tutta la mia vita».

Nel 1967, quando ormai la strada verso il successo sembrava spianata, lei decise di abbandonare il gruppo: come mai questa decisione?

«Riguardo il mio abbandono sono state scritte tante cose. La verità è che non mi riconoscevo più nella figura di chitarrista e cantante dei Pooh. Desideravo fare altre esperienze, come effettivamente feci sempre nell'ambito della Vedette Record (casa discografica alla quale eravamo affiliati), dedicandomi ad arrangiamenti. Qualche anno più tardi abbandonai per motivi familiari».

Si è mai pentito della scelta?

«Non mi sono mai pentito delle mie scelte: forse non sono un personaggio da palcoscenico, preferendo l'intimità di uno studio di registrazione. Mi offre sensazioni più forti, più vere e sentite».

I Pooh hanno annunciato che quest’anno chiuderanno la loro carriera artistica: qual è il suo giudizio a riguardo?

«Ritengo che i Pooh abbiano dato moltissimo alla musica e l'abbandono prima del batterista Stefano D'Orazio e successivamente la scomparsa del grande Valerio Negrini, che ha firmato le pagine più belle della loro musica, siano state cause fondamentali di questa scelta. Valerio, in particolare, ha impresso con i suoi testi meravigliosi un carattere particolare e profondo alle musiche dei Pooh: Valerio li ha creati e con la sua scomparsi li ha, credo, indotti a chiudere».

All’epoca, negli anni Sessanta, si sarebbe immaginato un successo così duraturo per il gruppo?

«Agli inizi eravamo fermamente convinti delle possibilità di fare del nostro gruppo qualcosa di grande. Non per presunzione ma per fiducia nei nostri mezzi, nelle idee, nel duro impegno. Con la ferma convinzione di non mollare mai, perché alla fine il lavoro paga sempre».

A proposito di anni Sessanta, com’era allora il panorama musicale italiano?

«Sia in Italia che nel mondo c'era gran fermento. Nascevano gruppi e cantanti quasi a ritmi quotidiani. Si suonava ovunque, in ogni cantina, locale, club privato: era nato il “Beat” e tutti i suoi proseliti si davano un gran daffare. Ho sempre ritenuto la musica come la colonna sonora del momento storico: allora c'erano grandi progetti, idee di rinnovamento, desiderio di cambiamenti, in ogni campo, e la musica interpretava questi sentimenti con fantasia, entusiasmi, innovazione. Oggi stiamo vivendo un periodo oscuro, i valori dimenticati, tanta incertezza, scarse opportunità e la musica risponde con poca ispirazione e tanti vuoti».

All’epoca cosa significava per lei la musica?

«Allora come oggi, per me la musica rappresenta gioia di vivere, creatività, momenti di intensa intimità: è la mia compagna preziosa, non mi abbandona mai».

Per la sua carriera e per quella dei Pooh l’incontro con Valerio Negrini è stato determinante. A lui ha dedicato il libro: come lo ricorda?

«Ricordare Valerio è problematico. Parlare di una persona come lui non basterebbe mai: dotato di una sensibilità unica, profondo conoscitore dei sentimenti umani, alla continua ricerca di sensazioni vere e profonde, ha saputo tradurre tutto in parole meravigliose che hanno caratterizzato l'opera dei Pooh. È, senza dubbio alcuno, uno dei più grandi parolieri di tutti i tempi. Personalmente lo ricordo come amico fraterno, consigliere prezioso: ha fatto di me, un ragazzino timido e insicuro, un musicista convinto e grintoso. Gli devo tutto e lo ricorderò sempre con immensa gratitudine e stima. Mi mancherà».

Tra gli artisti di oggi chi apprezza maggiormente?

«Vecchioni, De Gregori, Zucchero Fornaciari, per citarne alcuni, portano avanti situazioni coinvolgenti. Però sono tutti personaggi “datati”, non giovanissimi. Alcuni grandi non sono più tra noi: Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè. Non me ne vogliano ma non mi riesce di individuare talenti “genuini”, che non imitano nessuno, proponendo veramente qualcosa di nuovo e personale». 

Ritorniamo al libro: qual è il messaggio che desidera trasmettere con quest’opera?

«Ho raccontato la storia, o se vogliamo la preistoria, della nascita del gruppo, evidenziando la costanza, i sacrifici, la determinazione impiegati in questa impresa. Ho rivolto un pensiero particolare ai giovani, esortandoli  a questi valori da noi impiegati, a credere nei loro ideali, a non demordere mai. Affermando ancora che il lavoro serio alla fine paga sempre. Naturalmente l'impegno deve essere supportato da doti giuste, ma anche quest'ultima affermazione deve servire a scacciare le illusioni, a fare scelte ponderate nella strada da intraprendere».

Dopo il passato e il presente, chiudiamo con il futuro. Quali progetti desidera ancora realizzare Mauro Bertoli?

«Essendo un “sognatore coi piedi per terra”, mi chiedo ogni mattina “cosa farò da grande”. Scherzi a parte, continuo a far musica, in ogni modo, con tutti i mezzi: ho un modesto ma pratico studio di registrazione, nel quale trascorro le mie giornate a comporre, arrangiare, suonare. Sto collaborando con una cover band ufficiale dei Pooh: i Boomerang, col proposito di fare serate, proponendo, oltre alle canzoni dei Pooh, il mio libro, la favola che ho vissuto, cantando con loro quei brani che hanno caratterizzato gli inizi, quei tempi unici e meravigliosi, nell'intento di farli rivivere ancora. Penso facciano bene alla gente, sempre desiderosa di sensazioni forti, vere, sempre più rare e dimenticate».

 

Si ringrazia Lucilla Corioni per la collaborazione

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