Ghiacci antartici sempre più a rischio per il riscaldamento atmosferico

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redazione

12 Settembre 2014
Reading Time: 4 minutes

Ricerca internazionale con l’OGS di Trieste

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La catastrofica disgregazione della piattaforma di ghiaccio di Larsen (Larsen Ice Shelf – LIS-B), un’enorme lastra grande quanto la Valle d’Aosta, situata sulla costa orientale della Penisola Antartica, verificatasi nel 2002, con una perdita di circa 3.250 km2 di ghiaccio, è il risultato dell’aumento della temperatura atmosferica e dello scioglimento della superficie del ghiaccio, piuttosto che del rapido cambiamento della struttura del ghiacciaio e delle variazioni di temperatura degli oceani. 

Lo ha stabilito uno studio pubblicato oggi su Science, prestigiosa rivista scientifica edita dall’American Association for the Advancement of Science. Lo studio è frutto del lavoro di un team internazionale di ricercatori provenienti da Stati Uniti, Italia, Portogallo, Germania, Canada e Regno Unito, cui hanno collaborato gli scienziati italiani Michele Rebesco e Fabrizio Zgur, ricercatori all’OGS – Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste.

La nuova scoperta dimostra che le piattaforme di ghiaccio possono cambiare in periodi brevi, alla scala della vita umana, e che il riscaldamento della superficie dei ghiacci, generato da quello dell’atmosfera, è la causa scatenante dello sviluppo di pozze di fusione e crepacci, che permettono così all’acqua degli oceani di infiltrarsi nei ghiacci e di provocare scioglimenti di grandi proporzioni.

La ricerca ha importanti implicazioni per capire come sono ora e come si evolveranno l’ambiente e il clima. Lo studio della dinamica di modifica delle piattaforme di ghiaccio è infatti fondamentale nella comprensione di come i vasti strati di ghiaccio dell’Antartide si comporteranno, in conseguenza dell’aumento della temperatura globale del nostro pianeta. Se le piattaforme di ghiaccio antartiche dovessero sciogliersi completamente in mare, il livello globale degli oceani aumenterebbe di circa 60 metri. Altri ricercatori in precedenza hanno segnalato che questo collasso potrebbe essere già iniziato in un’altra parte dell’Antartide e che possa avvenire solo nell’arco di secoli. Tuttavia, la potenziale risposta delle calotte glaciali all’aumento di temperatura, come suggerito dallo studio pubblicato oggi, potrebbe essere più veloce.

I meccanismi riconosciuti come causa della destabilizzazione e riduzione delle calotte di ghiaccio e il conseguente innalzamento del livello del mare sono due: correnti oceaniche calde sciolgono dal basso il fondo delle piattaforme di ghiaccio nel punto dove il ghiaccio e i fondali si incontrano e/o il riscaldamento della superficie dei ghiacci e la conseguente instabilità delle piattaforme di ghiaccio porta ai crolli catastrofici. E si riteneva che entrambi i fenomeni avessero contributo al distacco di Larsen.

Lo studio sulla LIS-B, basato su dati marini raccolti nel 2005 e nel 2006 a bordo della nave rompighiaccio di ricerca statunitense Nathaniel B. Palmer, ha analizzato con il radiocarbonio i sedimenti prelevati al di sotto dei GZS – Grounding Zone Systems (linee di distacco), le aree in cui la transizione tra il ghiaccio continentale e le piattaforme di ghiaccio galleggiante aiutano a regolare il flusso di ghiaccio, divenute per la prima volta raggiungibili dopo il crollo del 2002. I rilievi hanno mostrato come è cambiato molto poco sul fondo del mare dalla fine dell’ultima era glaciale e che la perdita di contatto del ghiaccio con il fondo in questo sito risale a circa 12.000 anni fa. Ciò significa che il recente e rapido crollo della LIS-B è stato probabilmente una risposta al secondo meccanismo: clima più caldo e conseguente riscaldamento della superficie del ghiaccio piuttosto che instabilità della linea di distacco e assottigliamento della piattaforma.

La nuova ricerca non nega il precedente modello teorico sui distaccamenti, ma amplia le possibilità che gli scienziati devono prendere in considerazione quando analizzando le dinamiche delle piattaforme di ghiaccio, suggerendo di studiare con un maggior dettaglio le linee di distacco, campionando direttamente i sedimenti, nonostante le difficoltà di accesso, il rischio logistico e le ingenti risorse necessarie per farlo. Si tratta di analisi fondamentali per capire come le grandi masse di ghiaccio si comportano in presenza di variazioni di temperatura degli oceani e del livello delle acque del mare.

“Sono stati fatti grossi sforzi internazionali per campionare e anche perforare le linee di distacco in entrambi gli emisferi – ha spiegato Michele Rebesco, ricercatore dell’OGS -. È importante capire il meccanismo, lo sviluppo e l’arco di tempo coinvolti in questo processo. Lo abbiamo rilevato anche nel corso di una recente crociera di esplorazione che abbiamo fatto nel 2013 nella parte nord occidentale del Mare di Barents”.

Eugene Domack, professore di oceanografia geologica presso la University of South Florida e co-autore dello Studio, ha rilevato inoltre come il crollo della piattaforma Larsen B abbia contribuito notevolmente alla conoscenza scientifica in una vasta gamma di settori. In precedenza, infatti, alcuni ricercatori, tra cui lo stesso Domack, avevano esaminato le implicazioni biologiche del collasso Larsen B, scoprendo una sorprendente comunità sul fondale marino che sopravvive nelle profondità delle acque senza sole e senza alcuna apparente fonte di nutrienti e di energia. “Solo l’insolito crollo del LIS- B ha permesso di raggiungere quel fondale e di analizzare la linea di distacco, arrivando a queste scoperte”. 

La ricerca sarà illustrata da Michele Rebesco, ricercatore OGS, nell’ambito dell’incontro “Energia nelle Aree Polari”, in programma sabato 27 settembre alle ore 17 al Magazzino delle Idee (Corso Cavour, 2 – Trieste), inserito nel programma di Trieste Next, terza edizione del Salone Europeo della Ricerca Scientifica.

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