Scoprire il Carso in bici sotto le stelle

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redazione

24 Luglio 2020
Reading Time: 4 minutes

Iniziativa della Pro Loco Fogliano Redipuglia

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Tempo clemente per la terza serata della rassegna ‘Luci&Ombre sul Carso della Grande Guerra’, organizzata dalla Pro Loco Fogliano Redipuglia per il quattordicesimo anno di fila.

“Qualche volta abbiamo anche cantato” è un concerto teatrale ideato da Fabio Bertasa in collaborazione con Matè Teatro, il gruppo di canti popolari Aghi di Pino e la Piccola Orchestra Karasciò, che ripropone in chiave folk contemporanea i canti di trincea dei soldati al fronte e utilizza il teatro per rappresentare gli avvenimenti bellici che hanno caratterizzato l’inizio del secolo scorso. Attraverso canti popolari, nati spesso dai rari momenti di quiete in trincea, e il racconto teatrale a più voci, il pubblico è stato guidato in tre dei più cruciali episodi del conflitto: la resistenza sull’Altopiano di Asiago, Caporetto e Vittorio Veneto.

Uno spettacolo è stato dedicato dagli ideatori alla memoria del giovane fotografo Emiliano Perani, 36enne bergamasco scomparso a causa del Covid e che aveva seguito gli esordi de ‘Qualche volta abbiamo anche cantato’. Lo spettacolo è stato preceduto da alcune letture tratte da ‘Notturno sull’Isonzo’ di Alojs Rebula a cura del giornalista Ivan Bianchi.

Ad anticipare la serata la seconda edizione di ‘Carso sotto le stelle in bike’ che, nonostante un inizio sotto la pioggia, è partita ugualmente sotto i migliori auspici con una quindicina di partecipanti, giunti da tutta la provincia di Gorizia. Dal Monte San Michele alla Dolina dei Bersaglieri i temerari ciclisti hanno percorso sentieri e carrarecce accompagnati dall’introduzione dell’esperta Grande Guerra Elisa de Zan e, durante la pedalata, dallo storico Andrea Ferletic.

La collaborazione tra Pro Loco Fogliano, amministrazione comunale di Sagrado, e Fiab Bisiachinbici, che ha curato la parte tecnicamente più ciclistica, verrà riproposta giovedì con le stesse modalità di quest’ultimo appuntamento. Sarà possibile partecipare alla biciclettata tramite navetta con partenza dalla Stazione Multimediale di Redipuglia entro le 18.30. Si prenderà parte con la propria bicicletta che deve essere in buono stato di manutenzione. Obbligatorio avere al seguito la mascherina vista l’emergenza Covid in atto e dotazione di acqua e quanto necessario.

La quarta e ultima serata di Luci&Ombre ospiterà ‘Mato de Guera’, un testo sulla Prima guerra mondiale che serve come spunto per una analisi della guerra tout court e sulla sua inutilità. Ambientato a Treviso – per la precisione in una stanzetta del manicomio di Sant’Artemio – alla metà degli anni Trenta. Verso la metà di quel decennio che corre verso il secondo conflitto mondiale, dal suo piccolo osservatorio popolare Ugo si rende conto che sulla pelle di tutti i suoi compagni morti sul Grappa e sul Piave si sta consumando l’ultima, ignobile speculazione. Sono questi infatti gli anni in cui si costruiscono i grandi ossari.

Già, non alla fine della guerra 15-18, ma venti anni dopo. Dunque, non per pietà e riconoscenza verso tanti ragazzi morti, ma per sostenere la retorica della nuova guerra che si sta preparando. Ugo vede passare i camion carichi dei contenitori pieni di ossa e le pietre destinate a costruire gli ossari: non regge e scoppia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riaffiora in lui terribile la memoria della guerra. Combattuta su due fronti, come dice ad un certo momento: perché c’era da guardarsi dal nemico, ma anche dalla stupida intransigenza di uno stuolo di ufficiali italiani boriosi e impreparati. In questo contesto il tempio del Canova di Possagno diventa, nel ricordo del reduce, metafora e simbolo. Lì passava il fronte e nella distruzione della bellezza, della cultura, del patrimonio religioso travolto dalle bombe e dai proiettili di cannone è l’immagine di un tracollo epocale. Con tutte le sue miserie umane.

Il secondo fronte: spesso gli ufficiali italiani per ottenere disciplina angariavano i propri soldati ogni oltre limite. Ugo, in un momento di acuta pazzia, si lascia sfuggire che lui e un suo amico (del cui suicidio ha appena avuto notizia: altra vittima del peso insostenibile della memoria) uno di quegli ufficiali lo hanno ucciso prima che si lanciasse all’attacco fuori della trincea.

Mato de Guera getta uno sguardo anche sui profughi che si disperdono in mille rivoli in quel continente sconosciuto che è l’Italia: nemmeno sanno quanto sia lunga e scoprono alla fine (i profughi di Possagno approdano in Sicilia) che è “lunga una settimana di treno”. E sui prigionieri che non tornano.

Alla fine, Ugo Vardanega si fa consapevole di essere affetto da una malattia incurabile: la memoria. E allora decide di ricordare tutto, senza infingimenti, senza fughe nella follia, in una lucida disperazione che sarà il suo fardello per tutta l’esistenza.

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