La musica dell’anima

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redazione

11 Gennaio 2021
Reading Time: 5 minutes
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Rob Delay

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Don Roberto Rinaldo, in arte Rob Delay, presenta la sua prima raccolta di canzoni in un contesto acustico chitarra e voce, disponibile in formato fisico e in streaming su tutte le piattaforme digitali.

Il disco, intitolato “Libertà ”, fa parte del percorso artistico che don Rinaldo ha intrapreso facendo sbocciare la sua grande passione per la musica. I nove brani contenuti nell’album, registrati in presa diretta agli Angel’s Wings Recording Studio di Pantianicco, sono il frutto del suo percorso artistico genuino e sincero, nato durante il lungo periodo di lockdown causato dall’emergenza covid.

Le sue canzoni sono un grido di condanna di fronte al dolore cosmico ma anche un inno di speranza, di rinascita e di amore verso le persone.

Don Roberto, com’è nata l’idea di realizzare questo album?

«È stata la naturale conseguenza di un lavoro di produzione musicale nato un po’ per caso. Durante il lockdown ero segregato tra i muri della casa canonica di Galleriano. Non si poteva uscire. Mi sentivo solo, abbandonato e non potevo nemmeno correre (amo lo sport). Come reagire? Certamente l’intimità con Dio, quindi la preghiera… Eppure c’era il bisogno di esprimere ciò che si scatenava nel mio intimo. Ecco allora la musica».

Per lei è stata sempre un canale spirituale privilegiato.

«Fin da bambino ho tanto amato la musica in tutte le sue forme di espressione. Spaziavo dal genere classico al rock più grunge e aggressivo di allora. Durante il lockdown un giorno mi sono svegliato e nei miei pensieri si librava una melodia spontanea con quel mantra “andrà tutto bene”. Alla sera avevo già in mano un foglio di appunti con un testo e una serie di accordi. Mi sono accorto che dentro di me c’era tanto, troppo, ed era arrivato il momento di svuotare il sacco. Nel giro di dieci giorni avevo scritto già una dozzina di canzoni. Alla fine mi ero reso conto che tra alcune c’era un filo conduttore, un denominatore comune. Da qui l’idea di raccoglierle in un album e pubblicarle».

Perché il titolo “Libertà”?

«Volevo parlare della cosa che più ci sfugge oggi: la libertà. Credo che l’aspetto “positivo” di questa situazione pandemica sia l’opportunità che ci sta offrendo per fare una riflessione sul nostro status: siamo liberi?»

Per un sacerdote cosa significa il termine libertà?

«Paradossalmente in questo stato di oppressione e di “carcere” ho scoperto la mia libertà, quella di essere me stesso. Sono rientrato in me stesso ripercorrendo il passato. Libero di affrontare le gioie e i dolori della vita. A volte per vivere sereni ci lobotomizziamo, cerchiamo di cancellare quel passato che ha condizionato in nostro essere e quindi lo condiziona tuttora. Solo quando siamo in pace con noi stessi le nostre scelte diventano libere, non dettate dalle paure, dalle ferite o peggio ancora condizionate dagli altri. “Ama e fai ciò che vuoi”, diceva Sant’Agostino. Amare chi? Amare Dio e il prossimo come te stesso. Il punto di partenza è amare te stesso: quella è la vera libertà. Roberto, quindi, libero di amare Roberto e di accettarlo così com’è».

A proposito di nomi, quello che lei usa come artista è Rob Delay. Perché questa scelta?

«Rob si capisce, Delay (cioè ritardo) era per sottolineare la produzione di un album a quasi 43 anni. Sento che nella vita ho fatto sempre le cose in ritardo, mi sento un ritardatario, sono l’ultimo… Ma siccome c’è già chi si chiama “Ultimo” e “Ritardo” non mi suonava bene, allora ho optato per “Delay”».

Il Vescovo di Udine e la comunità di Galleriano dove lei opera come hanno preso che questa iniziativa?

«Non ho mai parlato della cosa con il Vescovo, anche perché sinceramente la vivo come un hobby che non mi impedisce di svolgere i miei impegni pastorali. I parrocchiani sono contenti, amano le mie canzoni».

La critica invece quali responsi ha dato?

«Mi sembra di percepire che ci sia interesse e curiosità. Sono già stati pubblicati diversi articoli: la gente è attratta da questa produzione musicale, il giovane come l’anziano. Mi dicono che sentono un’anima in queste canzoni, che c’è quel qualcosa in più».

L’album comprende nove diversi brani: quanto tempo ha impiegato a scriverli?

«Le nove canzoni dell’album (dal cantiere ne sono venute fuori 22) credo che mi abbiano impegnato cinque-sei giorni. Se ho l’idea giusta ci metto un attimo a trovare le parole e la melodia».

Da cosa ha tratto ispirazione per la loro stesura?

«Le canzoni son un mix di emozioni e sentimenti che affondano le radici nel terreno della vita. Con piccoli giochi di parole ho cercato di cristallizzare i pensieri che mi fruivano continuamente. Una specie di delirio artistico. Pensieri semplici che rappresentano gli stati d’animo nella quotidianità».

Nell’immaginario collettivo si ritiene erroneamente che un sacerdote suoni e canti solo canzoni religiose. A lei quali brani piace suonare?

«Nell’imaginario collettivo il prete non è nemmeno un uomo. Mi è successo più volte di suonare pezzi come “Sally” (per me un’opera d’arte), sono un fan sfegatato di Springsteen (ultima colonna della vera musica rock), adoro i Queen».

La “chiamata” verso il sacerdozio come è arrivata?

«È stata il frutto di un percorso lungo, difficile e doloroso. Una ricerca del senso profondo della vita. Prima di tutto c’è stata e c’è ancora la chiamata a essere cristiano. La fede non è una cosa statica, una certezza ma al contrario parliamo di dynamis (Δύναμις). Ogni giorno lottiamo per essere credenti, cristiani, per dire sì a questa chiamata».

Per don Roberto Rinaldo cosa significa essere sacerdote?

«A me piace sempre correggere il “tiro”: non sono sacerdote ma “presbitero”. Cristo rimane l’unico vero sacerdote. È una missione importante, si tratta di trasmettere una speranza fondamentale a tutta l’umanità. Il vero senso della Chiesa è essere una comunità di fratelli che si amano e che uniti dalla fede affrontano le battaglie della vita».

L’album “Libertà” è stato composto durante il lockdown della scorsa primavera. Oggi la pandemia torna ad aggredire il nostro Paese. Che effetto le fa?

«Sono spaventato. Credo che il virus sia davvero un nemico terribile che sconfiggeremo solo con la forza d’animo, l’unione e il rispetto delle regole. Accetto l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale ma sono abbastanza scettico che la strada giusta siano altri lockdown. È vero che da un lato questo ci permette di salvaguardare le fasce deboli però con conseguenze devastanti per tutti e soprattutto per i più giovani che sono il futuro. Chiudendoci a riccio rischiamo di distruggere i soggetti di domani e senza di loro non ci sarà nemmeno un futuro. Forse dobbiamo trovare un giusto compromesso».

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