Ilaria Tuti e il Friuli imprescindibile

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Margherita Reguitti

18 Febbraio 2021
Reading Time: 6 minutes

Intervista inedita con la scrittrice di Gemona

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I suoi romanzi noir ambientati in Friuli Venezia Giulia sono diventati veri e propri casi editoriali. In attesa del terzo libro dedicato alle avventure del commissario Teresa Battaglia, la scrittrice friulana Ilaria Tuti confida le motivazioni che l’hanno condotta alla stesura del recente romanzo onirico “Luce della notte”.

Senza scordare l’orgoglio delle portatrici carniche, narrato in “Fiore di Roccia”. E la necessità che il ruolo delle donne all’interno della società venga quotidianamente valorizzato.

 

Ilaria Tuti, “Luce della notte” è un libro che non era nei suoi programmi. Un romanzo onirico dedicato ai bambini che conoscono la sofferenza, è un lavoro particolare nella sua produzione. Quali sono state le motivazioni che l’hanno fatto nascere?

«“Luce della notte” è nato da un lutto. In quel momento, sembrava impossibile tornare alla normalità e riprendere in mano i progetti, e nemmeno giusto. Attraverso la scrittura, ho cercato di costruire dove era rimasto il vuoto. Questo romanzo è stato scritto per una bambina che non c’è più, mia nipote Sarah, e vuole essere speranza concreta per chi sta soffrendo. I proventi derivanti dai diritti d’autore saranno devoluti al Centro di riferimento oncologico di Aviano, a favore della ricerca sui sarcomi».
Teresa Battaglia è una commissaria dalle caratteristiche particolari. Si è forse ispirata a Letizia Battaglia, la grande fotografa siciliana ma anche editrice e operatrice culturale che ha segnato con il suo lavoro una svolta nel modo di raccontare il male della mafia?

«Il cognome di Teresa è un piccolo omaggio a questa grande donna e straordinaria artista, prima fotoreporter italiana nella Sicilia degli Anni 70. Ancora oggi, per Letizia Battaglia il valore più importante è la libertà. La trovo di profonda ispirazione. Ma Teresa è mille donne, è un inno alla bellezza della normalità, alla forza che ci vuole per rimettersi in piedi dopo ogni battuta d’arresto, con tutta la stanchezza e la solitudine che molte persone sperimentano ogni giorno. Quasi sessantenne, fuori forma, acciaccata, Teresa è un personaggio che rivendica il diritto a non essere perfetti. Eppure è vincente, grazie alla sua profonda empatia, all’integrità, alla determinazione».

Lei vive a Gemona, città distrutta e risorta. È scelta o casualità vivere e scrivere in un luogo dove si respira un’atmosfera raccolta, lontana dai grandi centri ma tanto vicina ai luoghi del Friuli e della Carnia che hanno trovato in lei una narratrice attenta e poetica?

«Sono nata e sempre vissuta a Gemona. Non è stata una scelta, ma lo è diventata. Non potrei vivere altrove, in un grande centro. La vicinanza con il territorio che narro è fondamentale per la scrittura e per la mia serenità. La natura mi ispira e mi calma, fa parte del mio mondo da sempre. Da ragazzina, come spesso capita, trovavo il paese di provincia limitante, credevo di avere minori opportunità rispetto ai miei coetanei che vivevano in città, sognavo di andarmene. Crescendo, viaggiando, ho capito che è qui che trovo maggiore ispirazione, dove affondano le mie radici, e che le opportunità siamo noi a crearle. Non conta “dove”, ma “come”».

Qual è il suo rapporto con la cultura multietnica e multilinguistica di questa regione?

«Mi affascina, è un tesoro che sto scoprendo a poco a poco e da cui è possibile attingere a piene mani per quanto riguarda storia, cultura, tradizioni e suggestioni millenarie. È un patrimonio di cui andare orgogliosi, da custodire e tramandare». 

I suoi libri, che hanno il Friuli come protagonista, hanno incontrato successo di pubblico e di vendite. Cosa crede che abbia colpito l’importante e storico Editore Longanesi, oltre alla forza della sua scrittura?

«Non mi aspettavo di certo un simile successo, per me era già straordinario il fatto che Longanesi avesse scelto una delle mie storie. La formula del successo, comunque, è ancora misteriosa. Posso ipotizzare che sia stato importante avere una protagonista forte ed empatica, e calare il plot di respiro internazionale del thriller in un contesto territoriale specifico e ricco di particolarità». 

Agli esordi della sua attività letteraria i suoi lavori sono stati pubblicati in rete. Che differenze per la scrittura stampata?

«Quello editoriale dei libri stampati è un mondo completamente diverso rispetto alle mie prime esperienze, più articolato e professionale, con scadenze da cui dipende il lavoro di tante altre persone. Il confronto con queste figure è continuo, fondamentale e non si esaurisce con la pubblicazione del libro, ma continua nelle librerie, grazie al lavoro prezioso dei librai».

Ritiene il genere noir uno strumento “popolare” per affrontare temi sociali e politici dell’attualità?

«Non credo molto nelle distinzioni di genere. Si può dire tutto o nulla con qualsiasi storia, dipende da “come” lo si fa. Sicuramente, il noir, il thriller, il giallo sono generi che aiutano a indagare la società, a gettare una luce nelle crepe che scorrono in superficie e, per quanto riguarda le mie storie, anche in quelle della mente umana, per vedere che cosa si agita nel buio. Nei miei romanzi della serie Battaglia ho affrontato argomenti come la maternità, la solitudine, la malattia, l’infanzia tradita dal mondo adulto, la memoria, personale e collettiva, persino storica».

Lei è una donna che lavora e una madre: come concilia i tempi di famiglia, lavoro e scrittura?

«Spesso con grandi sacrifici, scrivendo in ogni momento libero, sacrificando le ore del riposo e dello svago, ma sempre sostenuta dalla grande passione che la scrittura rappresenta per me. La scrittura, quando diventa professionale, richiede non solo slancio, creatività e inventiva, ma anche tanta disciplina».

Fra i suoi programmi c'è quello di dedicarsi alla sola letteratura?

«Quel momento arriverà in modo naturale, credo. Non mi pongo limiti, né scadenze. Di sicuro la scrittura sta prendendo uno spazio sempre più grande nella mia vita».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che rapporti intrattiene con gli altri colleghi scrittori in regione, ma anche a livello nazionale e internazionale?

«Alcuni sono diventati amici, ci scambiamo impressioni, idee, ci confrontiamo continuamente. È bello sapere di poter condividere la propria esperienza con chi ne vive una simile. Ed è bello leggere le storie degli altri, perché uno scrittore nasce prima di tutto come lettore».

Per lei scrivere è raccontarsi e approfondire aspetti della sua personalità?

«No, i miei personaggi non sono autobiografici, però racconto le mie curiosità, riflessioni che mi sfiorano, argomenti e pezzi di storia che mi appassionano. In questo sono presente tra le righe, accompagno il lettore in un viaggio che io stessa sto facendo alla scoperta della mia terra, di questa parte di mondo».

Fiore di Roccia” è invece un romanzo storico che rende omaggio alle donne carniche durante la Grande Guerra. Una storia d’amore in stretto rapporto con la fatica, i pregiudizi e la grande Storia. Le donne hanno ancora bisogno di essere raccontate fuori da stereotipi?

«Sì, perché di noi donne si racconta ancora troppo poco. La storia è sempre stata narrata da un punto di vista maschile. Ancora oggi nei manuali scolastici la presenza femminile è irrisoria – eppure ci siamo sempre state – e si è dovuti correre ai ripari con la firma di un protocollo, il P.o.li.te. (Pari opportunità nei libri di testo), per la correzione di questa assenza non più sostenibile. Chissà quante storie di donne come quella delle portatrici carniche attendono di essere riscoperte e valorizzate».

Oggi auto-pubblicare è “facile”, si può parlare di bulimia della scrittura o ritiene sia un fenomeno positivo?

«Auto-pubblicare può essere un’esperienza divertente e appagante nel breve periodo, ma se si vuole scrivere in modo professionale è necessario affidarsi a editori seri, non importa quanto grandi e importanti. Scrivere libri è anche un mestiere, non solo una grande passione. Ci sono tantissime cose da imparare e per farlo è necessario avere un rapporto quasi quotidiano con le figure professionali del mondo editoriale».

In bocca al lupo per aprile per il premio internazionale “Edgar Allan Poe Awards 2021”. Cosa significa per lei vincere un premio?

«Viva il lupo, sempre. Premi e riconoscimenti sono importanti, perché aiutano a capire se si stia andando nella direzione giusta, ma non rappresentano, dal mio punto di vista, un obiettivo imprescindibile, un punto di arrivo. Fanno senz’altro piacere, aiutano a non perdere lo slancio, e per questo sono grata per ogni riconoscimento ricevuto, come sono grata ai lettori per i bei messaggi che mi fanno arrivare. Scrivere significa restare spesso soli per lunghe ore, mesi e mesi. Sentire che qualcuno sta aspettando le tue storie è un aiuto preziosissimo».

Nei prossimi mesi tornerà in libreria: ci può anticipare qualcosa del prossimo libro?

«Sarà ambientato ancora una volta in Friuli, ma abbandoneremo le montagne per un’ambientazione più storica. Scaveremo nella cultura millenaria di questa terra, ma anche nel passato di Teresa».

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