Pasolini e le menzogne italiane

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Margherita Reguitti

21 Luglio 2020
Reading Time: 5 minutes

Intervista a Dacia Maraini

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Un’amicizia di due donne al tempo della pandemia nella Sicilia del Settecento: questa la trama del nuovo libro di Dacia Maraini Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste a Messina, edito da Rizzoli, appena uscito in libreria. Un romanzo breve in forma epistolare ambientato per raccontare un’amicizia al femminile più forte dell’amore al tempo della peste.

Un lavoro uscito per un piccolo editore nel 2006 al quale la mente della scrittrice è tornata a febbraio ascoltando la quotidianità della cronaca di diffusione anche in Italia del Covid 19.

Da cosa è nato questo nuovo lavoro?

“Le informazioni sulla Sicilia del 700 le ho raccolte mentre scrivevo Marianna Ucria. Allora ero capitata sulla cronaca della epidemia di peste a Messina nell’anno 1743. Ma non ho utilizzato quelle informazioni perché erano fuori tema, ma mi era rimasta l’emozione della lettura di quella sciagura. Quando anni dopo un piccolo editore di Bagheria, Vincenzo Drago, un uomo coraggioso che ha combattuto la mafia e di cui la Sicilia dovrebbe essere fiera, mi ha chiesto un racconto per la sua casa editrice, ho scritto Un sonno senza sogni, che aveva come sfondo quella peste. Il racconto è uscito nel 2006. Dopo sono passati gli anni. Vincenzo Drago purtroppo è morto. E il racconto è stato dimenticato. Oggi la pandemia che ha stravolto le nostre vite mi ha riportato alla memoria quello scritto. Mi ci sono messa a lavorare e ne ho ricavato un romanzo”.

Cosa le fa scegliere la forma di romanzo breve piuttosto che una scrittura di ampio respiro per un testo corposo?

“Non lo so. Non decido a priori quanto debba essere lunga una narrazione. Credo comunque che la forma epistolare, in cui sono escluse le descrizioni, in cui è assente la voce del narratore, tenda di per sé alla stringatezza”.

Nel nuovo romanzo la peste è fra le protagoniste: similitudini e differenze con il virus che tanta sofferenza sta causando nel mondo?

“È cambiato molto in fatto di sanità e di tecnologie avanzate. Nel Settecento si curavano le malattie cavando il sangue dei malati, oggi abbiamo medicine straordinarie e cure molto efficienti. Ciò che non è cambiato invece è la psicologia umana. Come allora, anche oggi si cerca un colpevole a cui attribuire la responsabilità, allora erano gli untori, oggi sono i complotti internazionali, i big pharma, eccetera. E un’altra cosa in comune sta nella ricerca di rimedi pasticciati e inutili.  Insomma la paura, il sospetto, l’odio suscitati da una pandemia sono sempre gli stessi e andrebbero combattuti con la ragione e con la solidarietà”.

Come è cambiata la sua vita durante e dopo il lockdown?

“Dal punto di vista del lavoro non è cambiata molto: sono abituata a stare chiusa in casa a scrivere. È cambiata dal punto di vista della solitudine sociale. Mi sono sentita sola senza potere vedere gli amici, i parenti, senza potere andare a teatro e a cena fuori. E poi mi sono mancati i viaggi. Amo viaggiare, anche se da ultimo erano diventati troppo frequenti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante la pandemia ma anche in questi giorni le cronache registrano omicidi-suicidi: le donne e i bambini ne sono le vittime. Tanto è stato fatto, lei sempre in prima linea con i suoi libri e il suo impegno, ma tanto resta ancora da fare per sconfiggere la violenza di genere e contro i più deboli…

“La violenza contro le donne non ha niente a che vedere con la pandemia. Ovvero la pandemia ha accentuato questa violenza, che ha radici storiche profonde e lontane. Comincia la Bibbia a colpevolizzare la donna raccontando che è stata lei la responsabile della cacciata dal paradiso e della caduta in miseria del genere umano. Sembrano cose lontanissime ma pesano ancora nel pensiero profondo di una cultura cattolica. Siamo ancora in piena cultura dei Padri e non ne usciremo tanto facilmente. Certo è impressionante la quantità di donne uccise dai loro mariti o compagni che dicono di amarle. Il fatto è che quando un uomo identifica la propria virilità col possesso della donna “amata”, e quando questa donna pretende la sua libertà, questo tipo di uomo entra in una tale crisi che può trasformarsi in un assassino, pur non essendo affatto un criminale”.

Nel 2015 è stata presidente del Comitato nazionale Pasolini nato per ricordare i 40 anni dalla morte del poeta. Con Angela Felice, direttrice del Centro Pasolini di Casarsa scomparsa nel 2018, realizzò l’ampio calendario di manifestazioni. Che ricordo conserva, personale e professionale, di Angela Felice?

“Una bella persona, generosa, piena di entusiasmi e anche di grandi capacità lavorative”.

Quale il suo rapporto con il Friuli?

“Lo conosco poco. Mi piacerebbe conoscerlo meglio. Tutto quello che so mi viene dall’amicizia di Pasolini e dalle letture fatte”.

Scomparsi tutti i testimoni/accusati dell’omicidio di Pasolini la sua morte è destinata a restare un mistero italiano oppure, volendo, si potrebbe arrivare alla verità?

“Il nostro è un grande e bellissimo Paese, ma di fronte alla verità si tira in dietro, ha paura. I Paesi protestanti credono nella sacralità della verità. Nei paesi cattolici molto meno. Anzi direi che la menzogna è considerata lecita, per poi vedersela col confessore nel segreto del confessionale. Dovremmo fare una campagna per tornare a dare valore alla verità, costi quel che costi. La verità è un bene comune la cui mancanza avvelena i pozzi. La nostra storia recente è piena di menzogne e segreti non risolti, uno di questi è la morte di Pasolini”.

Lei ha sempre viaggiato molto, nel mondo ma anche in Italia per incontrare i giovani nelle scuole, le donne nei dibattiti contro la violenza, il pubblico per la presentazione dei suoi libri e lavori: come vive questi giorni dopo il Covid 19 in cui gli spostamenti possono essere complicati?

“Infatti non mi sto muovendo. In compenso faccio uno o anche due incontri virtuali al giorno: biblioteche e librerie che mi chiedono di dialogare coi loro lettori. Lo faccio volentieri, anche se preferirei l’incontro dal vivo. Ma per il momento va bene così”.

Il mondo della cultura italiana gode di buona salute? Il pensiero dei nostri scrittori, registi, pittori e filosofi ha buona reputazione all’estero?

“Direi che dal punto di vista del pensiero, della scienza e dell’arte il nostro Paese e molto seguito e amato all’estero. Invece, se considerato dal punto di vista del comportamento civile, della questione economica, della facilità alle risse e l’anarchismo che impedisce una buona amministrazione, e naturalmente della presenza ancora troppo ingombrante delle varie mafie, è visto molto male. Per fortuna prevale il rispetto e l’amore per la nostra parte artistica”.

Il suo sogno da realizzare?

Un libro sul campo di concentramento che da anni sto scrivendo e non arrivo a finire. Ma ci riuscirò, nonostante il dolore che mi comporta scriverlo (n.d.r., durante la Seconda guerra mondiale Dacia Maraini e la sua famiglia furono internati in un campo di concentramento in Giappone)”.

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