Diffamazione sui social network

imagazine massimiliano sinacori

Massimiliano Sinacori

30 Luglio 2018
Reading Time: 3 minutes

Internet e onorabilità

Condividi

La diffamazione consiste nell’offesa dell’altrui reputazione, comunicando con più persone, anche in tempi diversi, attraverso affermazioni, allusioni o insinuazioni riferite a una persona determinata o facilmente determinabile. La diffamazione è volta a screditare l’onore di una persona, inteso come la stima e l’opinione di una persona in un determinato ambiente sociale e si differenzia dall’ingiuria, a oggi depenalizzata, in quanto quest’ultima richiede la presenza dell’offeso al momento in cui i fatti denigratori sono compiuti.

Tale condotta sanzionabile penalmente con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro ai sensi dell’art. 595 c.p., si inserisce tra i delitti contro l’onore ed è punibile a querela della persona diffamata entro 3 mesi dal momento della scoperta, da parte di quest’ultima, dei fatti diffamatori.

La diffamazione può avvenire attraverso modalità e canali comunicativi diversi, ciascuno sanzionabile diversamente. Infatti la norma prevede un inasprimento sanzionatorio, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato (comma 2), se è recata con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità (comma 3), ovvero se è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (comma 4).

Una particolare ipotesi di diffamazione aggravata è quella prevista dall’art. 13 della legge n. 47 del 1948 (legge sulla stampa) e consiste nell’attribuire a qualcuno un fatto determinato servendosi del mezzo della stampa, intesa come qualsiasi riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo destinata alla pubblicazione.

Orbene, in un mondo sempre più digitale, caratterizzato da un’interazione costante con i social network, il web è presto diventato il luogo e il mezzo attraverso il quale le persone possono esplicare la propria personalità manifestando liberamente il proprio pensiero ed esercitando ampiamente il proprio diritto di critica; diritti, questi, costituzionalmente garantiti. Naturalmente, tali interazioni ed esternazioni avvengono attraverso dispositivi quali smartphone o computer, quindi in assenza di un interlocutore fisicamente presente, e tale circostanza induce gli utenti a manifestare le proprie idee in modo spesso più disinibito, tanto da rendere molto sfumato il confine tra l’esercizio del diritto di critica e l’offesa all’altrui reputazione.

A tal riguardo, occorre tenere a mente che le comunicazioni offensive a mezzo Internet, attraverso pubblicazioni di “post” sulle così dette “bacheche” dei social network, integrano a tutti gli effetti il reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. nella forma particolare (aggravata) prevista dal comma 3, in quanto l’offesa è recata con “qualsiasi mezzo di pubblicità” (diverso dalla stampa).

La condotta, punita con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a 516 euro, è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone. Peraltro, in una recentissima sentenza la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo tramite oscuramento della pagina Facebook di chi è indagato per diffamazione connessa all’utilizzo dei social network. Ciò in quanto le forme di comunicazione telematica quali blog, newsletter, eccetera, pur rientrando nell’art. 21 della Costituzione, non godono delle garanzie costituzionali previste per la stampa; in essi, infatti, chiunque può esprimere il proprio pensiero su ogni argomento, suscitando opinioni e commenti da parte dei frequentatori del mondo virtuale (Cass. Pen., sez. V, n. 21521/2018).

Il codice penale prevede una particolare causa di non punibilità prevista dall’art. 599 c.p. che rende non punibile chi ha commesso alcuno dei fatti previsti dall’art. 595 c.p. in stato d’ira determinato da un fatto altrui, e subito dopo di esso. Si tratta dunque della così detta provocazione, in merito alla quale la giurisprudenza ha ritenuto che il requisito dell’immediatezza non deve intendersi come reazione attuata nello stesso momento dell’offesa ma può consistere in una reazione successiva, purché dipenda sempre dalla natura della ritorsione all’offesa.

Ciò che si percepisce è dunque il sostanziale allineamento e adeguamento della legislazione alle evoluzioni tecnologiche e ai comportamenti sociali connessi all’utilizzo dei social network, ciò al fine di evitare che l’assenza di materialità e fisicità renda il cyberspazio un vero e proprio far west.

Visited 1 times, 1 visit(s) today
Condividi