Colesterolo e infarto, quale rapporto?

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redazione

12 Aprile 2016
Reading Time: 5 minutes

Sabato giornata di sensibilizzazione

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Ogni anno nel nostro Paese si registrano più di 135.000 eventi coronarici acuti, dei quali un terzo risultano fatali. E le persone che hanno avuto un infarto corrono un forte rischio di svilupparne un secondo. Nei primi due anni successivi all’infarto la probabilità di essere nuovamente ricoverati è superiore al 60% dei casi e il 30% di questi è dovuto a una nuova sindrome coronarica acuta.

La buona notizia è che l’impatto delle recidive da infarto si può ridurre con una dieta equilibrata, l’attività fisica regolare, evitando il fumo di tabacco e, soprattutto, controllando i fattori di rischio, in particolare il colesterolo: tutte le evidenze indicano che mantenere stabilmente il colesterolo LDL al di sotto di 70 mg/dL diminuisce di circa il 25% il rischio di un secondo evento. 

Alle persone che hanno avuto un infarto è dedicato il progetto educazionale “Amico del cuore – Dopo l’infarto il colesterolo conta”, promosso dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, ANMCO, dalla Fondazione “per il Tuo cuore” e da Conacuore onlus, con il supporto non condizionante di MSD.

Un grande evento di formazione e informazione è in programma sabato 16 aprile in contemporanea in 14 città italiane collegate via satellite: l’appuntamento per i cittadini di Trieste interessati è allo Starhotels Savoia Excelsior Palace a Riva del Mandracchio 4, alle 11.30, con la tavola rotonda “La vita dopo l’infarto: cosa è importante sapere”. Oltre all’open day, anche il sito web www.amicodelcuore.it, un video e materiali educazionali distribuiti attraverso le UTIC e le cardiologie italiane informeranno i pazienti sull’importanza di cambiare il proprio stile di vita, controllare regolarmente i valori del colesterolo, assumere con costanza le terapie prescritte e, se non si riescono a raggiungere i target terapeutici, rivolgersi al medico che valuterà terapie alternative.

«Abbiamo deciso di promuovere, con il supporto di MSD, questo progetto educazionale per ricordare che i veri amici del cuore siamo noi stessi, che dobbiamo voler bene al cuore e prendercene cura, seguendo la dieta mediterranea e tenendo sotto controllo il colesterolo che “conta” sempre e in modo particolare dopo un infarto», afferma Michele Massimo Gulizia, Presidente ANMCO, Direttore U.O.C. di Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima Azienda Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione “Garibaldi” di Catania. «In questo progetto – aggiunge – il numero chiave è 70: non superare questo limite di colesterolo LDL riduce in maniera significativa il rischio di un secondo infarto e aiuta a tenere sotto controllo anche tutti gli altri fattori di rischio, dal momento che per ottenere questo obiettivo terapeutico c’è bisogno dei farmaci oltre che di una dieta particolarmente equilibrata e dell’attività fisica».

Quando si manifesta una sindrome coronarica acuta è fondamentale arrivare prima possibile in una delle UTIC diffuse sul territorio nazionale, reparti specializzati nella presa in carico e gestione del paziente infartuato che, attraverso un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico, provvedono a stabilizzare il paziente e ad attuare le procedure di rivascolarizzazione e le conseguenti terapie farmacologiche e fisiche. «Nonostante la prognosi di questa patologia sia allo stato attuale relativamente benigna, se confrontata a quella di alcune decadi or sono, l’infarto impatta fortemente sotto il profilo sanitario per l’aspetto organizzativo della rete dell’emergenza-urgenza – dichiara Andrea Di Lenarda, Direttore S.C. Centro Cardiovascolare, Azienda Servizi Sanitari n° 1 Triestina di Trieste – e impatta anche sotto il profilo sociale, perché è comunque necessario ricondurre il paziente sopravvissuto a un infarto alla sua vita quotidiana e al lavoro attraverso la riabilitazione, le terapie e i controlli per abbassare il rischio cardiovascolare e di nuovi eventi coronarici acuti».

Non riuscire a portare il colesterolo LDL al di sotto di 70 mg/dl è un problema piuttosto frequente tra i pazienti che hanno avuto un infarto, spesso legato a una non soddisfacente aderenza alle terapie. A 12 mesi dalla dimissione, l’aderenza è già bassa, con una percentuale che è di circa il 24%: i pazienti con ridotta aderenza hanno un rischio di complicanze fino al 50% maggiore. «Nel primo anno dopo l’evento coronarico acuto la mortalità extraospedaliera raggiunge il 12%, e di questa il 10% è dovuta a recidiva di infarto miocardico – spiega Antonella Cherubini, Dirigente medico S.C. Centro Cardiovascolare, Azienda Servizi Sanitari n° 1 Triestina di Trieste – le evidenze ci dicono che riducendo di 39 mg/dL in 5 anni il colesterolo LDL è possibile abbassare del 23% il numero di nuovi eventi coronarici maggiori. Se invece il target terapeutico non viene raggiunto, abbiamo la certezza che si andrà incontro a un peggioramento della prognosi con un impatto diretto sulla mortalità».

Altro elemento chiamato in causa nel mancato raggiungimento del target terapeutico riguarda i farmaci ipocolesterolemizzanti. Dosaggi elevati di statine possono indurre effetti collaterali in una percentuale di casi non trascurabile, contribuendo alla sospensione volontaria della terapia. «A tutti i pazienti viene prescritta una statina con evidenze di efficacia a raggiungere i valori target – dichiara Serena Rakar, Dirigente medico SOC Cardiologia, AOU Ospedali Riuniti Cattinara di Trieste – ma circa il 10-20% dei pazienti è intollerante alle statine oppure non le tollera a dosaggi elevati. In questi pazienti, con l’obiettivo di raggiungere il target di LDL definito dalle linee guida a 70 mg/dl, può essere seguita una diversa strategia prescrivendo ezetimibe, un farmaco ipocolesterolemizzante che agisce inibendo l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale, in aggiunta ai massimi dosaggi tollerati di statina».

Ezetimibe può essere usato in combinazione con una statina a basso dosaggio, come raccomanda la Nota 13 AIFA, per i pazienti ad alto rischio che non riescono a raggiungere i target terapeutici neanche con la dose massima di statine o per quelli intolleranti alle statine.

Il messaggio fondamentale che il progetto educazionale “Amico del cuore” vuole trasmettere è che dopo l’infarto si può tornare alla vita, ma la vita inevitabilmente cambia e non bisogna sottovalutare i rischi. Il ritorno alla normalità può essere lungo e faticoso per il paziente e anche per i famigliari.  «Un infarto può cambiare in modo rilevante l’esistenza di ogni persona – osserva Giovanni Spinella, Presidente Conacuore onlus – molto dipende dall’intensità con la quale viene vissuto l’evento. Cambia ovviamente anche la quotidianità, in qualsivoglia direzione, se non si vuole ricadere nel buco nero. Si riguarda a quanto e a come ci si ciba; diminuiscono le ore trascorse su una poltrona o dietro una scrivania, aumentano, quanto meno, le passeggiate. Inoltre, ci si deve curare, controllare, pesare, levarsi le cattive abitudini. Una componente importante è quella di dedicarsi al volontariato per attività intese ad evitare che il prossimo abbia a subire la medesima “iattura”».

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