A Trieste gli autori dei “Panama Papers”

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redazione

11 Aprile 2016
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Il 24 aprile per Link

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È il caso del momento per i media dell’intero pianeta e sarà certamente ricordata come una delle inchieste giornalistiche del decennio: non solo perché Panama Papers ha scoperchiato nomi e meccanismi dell’industria dell’off shore e di 21 paradisi fiscali, dove proliferano oltre 200 mila società trust e Fondazioni con decine di migliaia di clienti in tutto il mondo, ma anche per il metodo innovativo che ha richiesto l’azione coordinata di oltre 400 reporter internazionali, riuniti in un pool di giornalismo “investigativo” che ha lavorato per molti mesi all’inchiesta: ricercando, collegando, verificando e sistematizzando i nomi e i dati contenuti in 11,5 milioni di file pervenuti in prima battuta al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung.

Panama Papers, con il racconto degli ultimi mesi di lavoro del pressnet che sta facendo tremare  – e cadere – i governi europei, sarà al centro di Link 2016, Premio Luchetta Incontra, il festival dell’attualità e del buon giornalismo in programma a Trieste dal 22 al 25 aprile. Sarà un backstage d’autore, quello che Link proporrà al suo pubblico domenica 24 aprile, alle 20, nella Fincantieri Newsroom di Piazza della Borsa: per la prima volta intorno a Panama Papers si confronteranno i tre giornalisti che hanno firmato le “carte” italiane dell’inchiesta per il settimanale L’Espresso, unico partner italiano dell’Icij, l’International consortium of investigative journalistsVittorio Malagutti, caporedattore all’Espresso, Paolo Biondani, firma d’inchiesta e di cronaca giudiziaria per lo stesso settimanale e Leo Sisti, che dopo vari decenni all’Espresso è rimasto collaboratore di riferimento ed è direttore esecutivo di Investigative Reporting Project Italy, saranno protagonisti a Link dell’incontro: «L’occasione per una vera e propria lezione di giornalismo investigativo – spiega la curatrice di Link Francesca Fresa –  e al tempo stesso un gate privilegiato per entrare nella notizia e in un format che ha probabilmente tracciato il futuro del  giornalismo d’inchiesta, nel mondo globalizzato. Abbiamo accolto con entusiasmo l’opportunità di questo incontro, in aggiunta al cartellone già presentato dell’edizione 2016 del festival». 

«In Italia abbiamo cominciato a lavorare sui Panama Papers a inizio 2016 – spiega Vittorio Malagutti – con un pool ristretto di cui, insieme a me e Paolo Biondani, sono stati riferimento Leo Sisti, che è anche collegamento italiano con l’Icij, e i giornalisti Stefano Vergine e Gloria Riva. Lavorare in rete significava confrontarsi quotidianamente con centinaia di colleghi impegnati contestualmente in tutto il mondo: anche in Uruguay, Brasile, in Giappone e in Asia, persino in Russia, malgrado l’altissimo rischio personale in quel Paese. Certo, su Putin, personaggio ‘globale’, hanno lavorato colleghi di molte redazioni nel mondo, ma il collega russo ha fornito il lavoro di base rispetto a nomi e collegamenti che potevano risultare meno significativi per chi non lavora sul campo, a Mosca. E pare che il regime gli abbia già fatto arrivare i ‘complimenti’ per l’inchiesta: le prime intimidazioni sono state puntualmente recapitate. A noi, per il momento sono arrivate letteracce dagli avvocati e l’eco infastidita di nomi eccellenti coinvolti nell’inchiesta». 

Come si è davvero lavorato su Panama Papers e quali conseguenze porterà lo tsunami mediatico? «Investigare sui nomi italiani – osserva ancora Malagutti – significava soprattutto contestualizzarli: l’elenco non aveva solo ‘protagonisti’ eccellenti, c’erano soprattutto nomi sui quali approfondire i collegamenti e la rete che aveva portato verso l’offshore. Un vero lavoro investigativo, di cui abbiamo dato preciso alert: inviando a tutti una mail in cui segnalavamo che il loro nome era comparso in un’inchiesta su società off shore, chiedendo dunque spiegazioni e dettagli per il servizio al quale stavamo lavorando».

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