Fare rete e internazionalizzare: la sfida per la sopravvivenza del manifatturiero Fvg

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redazione

27 Novembre 2014
Reading Time: 5 minutes

Progetto “Nuova Manifattura”

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L’incertezza, economica e normativa, e la burocrazia sono viste come nemiche dell’impresa e della ripresaL’internazionalizzazione invece come opportunità concreta di crescita, dalle fiere internazionali al presidio di nuovi mercati, e l’importanza dell’accompagnamento da parte delle istituzioni, politiche ed economiche, biglietto da visita fondamentale per farsi conoscere all’estero.

Le imprese friulane cercano anche forme di collaborazione più efficaci, di filiera e rete, e chiedono più flessibilità nel mondo del lavoro e nel potere dei sindacati, su cui serve un’intesa sia in entrata per favorire le assunzioni a seconda delle necessità produttive, sia in uscita. Servirebbero poi “marchi di filiera”, legati a un Made in Italy che è richiamo fortissimo nella competizione globale, ma anche una riorganizzazione dei finanziamenti, per premiare i progetti più meritevoli. Contemporaneamente andrebbero poi favoriti l’accorpamento e la riorganizzazione di associazioni ed enti pubblici, con un sostegno concreto e preciso alle imprese. 

Sono queste alcune delle considerazioni manifestate nella prima fase di “screening” dalle imprese manifatturiere delle province di Udine e Pordenone, quasi un centinaio di realtà aziendali, coinvolte nel progetto Nuova Manifattura, che ha l’obiettivo di costruire un percorso di “rigenerazione” di un comparto che ha subito pesantemente la crisi degli ultimi 6-7 anni. Stando ai dati forniti dal Centro Studi Unioncamere Fvg, dal marzo 2009 a oggi le imprese industriali, che sono poco più di 9.500 (sulle 93.500 attive della regione) ma realizzano addirittura il 98,2% di tutto il valore di export Fvg, sono calate del 11,5%, circa quattro punti in più rispetto al calo subito dall’intera economia e pari a una perdita di oltre mille e 200 imprese.

Un calo su cui hanno pesato le chiusure in tanti segmenti: elettrico-elettronico (-19,2% di unità aziendali attive), legno-arredo (-17,7%), mezzi di trasporto (-16,1%)  e altri in diminuzione, con in crescita il solo il segmento delle riparazioni e manutenzioni (di oltre il 60%), sempre tra il 2009 e oggi. Una situazione che incide soprattutto sulle province di Udine e Pordenone, che ospitano rispettivamente il 48,3% e il 30,7% delle localizzazioni attive d’impresa manifatturiera. 

Nuova Manifattura, ramificazione di Friuli Future Forum, è promosso infatti dalle Camere di Commercio di Udine Pordenone, con l’assessorato alla attività produttive della Regione. Curato a livello locale dalla docente del dipartimento di management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Chiara Mio, che ha seguito passo passo proprio questa prima fase d’indagine assieme alla collega Daniela Fontanail progetto è coordinato dall’Ocse di Parigi, sulla scorta dell’esperienza del suo programma Leed, che si occupa proprio dello sviluppo dell’economia e dell’occupazione delle comunità locali. I temi emersi dal questo primo confronto con le imprese sono stati presentati questa mattina in conferenza stampa, in Sala Economia della Cciaa di Udine, da Daniela Fontana (la professoressa Mio non è riuscita a essere presente), assieme ad Andrea Billi di Ocse e introdotta dai presidenti delle due Cciaa, Giovanni Da Pozzo e Giovanni Pavan, nonché dal project manager di FFF, Renato Quaglia

«Questo progetto – ha evidenziato Da Pozzo  – vede impegnate le due realtà camerali a maggior vocazione manifatturiera e con l’affiancamento della Regione testimonia la volontà di un territorio intero, in forma di sistema, di lavorare per ottenere risultati concreti e proficui di cambiamento. Dobbiamo pensare a un nuovo manifatturiero, che sia in grado anche di relazionarsi con una realtà dei servizi oggi in grande espansione, di intercettarne e farne proprie le catene di valore. Siamo in un momento di forte e velocissima trasformazione, in cui dobbiamo trovare nuovi strumenti per agire: quelli validi fino a oggi non servono e non bastano più se vogliamo uscire dalle secche in cui ci ha trascinato questa crisi e competere ancora, con nuove modalità e in tutto il mondo».

Parole raccolte e condivise dal presidente Pavan: «Dobbiamo ipotizzare un manifatturiero che tenga conto delle mutate condizioni nazionali e internazionali – ha detto il presidente della Camera pordenonese – e immaginarlo in un’area di competenze più ampia, estesa anche ai servizi. Su questo, è importantissimo che abbiamo un’istituzione come l’Ocse che garantisce supporto scientifico a un processo partito dal basso, dall’ascolto delle esigenze reali espresse dalle aziende. Aziende che in molti casi stanno anche confermando come alcune delle strade su cui si sta impegnando il sistema camerale, internazionalizzazione e reti d’imprese per esempio, sono davvero sentite. In esse la nostra azione può essere veramente incisiva in loro aiuto». 

La fase di indagine è in completamento proprio in questo periodo e la relazione finale della Mio sarà inviata all’Ocse, che avrà il compito, come ha spiegato Quaglia, «di individuare interlocutori istituzionali e imprenditoriali di altri Paesi, con situazioni analoghe a quella friulana, ma che hanno già messo in atto con successo percorsi di riorganizzazione e innovazione produttiva. Una volta in contatto, l’obiettivo è far nascere dal confronto tra istituzioni e imprese friulane e del Paese scelto e dallo scambio di buone prassi – a partire da un primo grande meeting che si realizzerà plausibilmente a fine febbraio – nuove strategie e progettualità da mettere in campo sul territorio regionale e in particolare delle province di Udine e Pordenone, per dare nuovo impulso e sviluppo al comparto manifatturiero. Un po’ com’è avvenuto con Manchester,  ha raccontato il professor Billi di Ocse, su cui la strategia coordinata dall’Ocse ha registrato un consenso crescente. «L’approccio ha consentito di riportare l’industria tessile nella città inglese, che dopo essere stata un driver nell’economia locale per secoli aveva subito un declino apparentemente inarrestabile». Un ritorno, però, organizzato tramite la trasformazione, verso un’economia della conoscenza, l’innovazione, la tecnologia, la competizione e gli investimenti. 

Tra i temi emersi nella relazione presentata oggi, anche quello delle competenze: le imprese friulane hanno evidenziato l’opportunità di focalizzazione sull’elevato know how dei dipendenti e di riassettare i servizi erogati dagli istituti di formazione. Burocrazia? Sono necessarie uniformità legislativa, una semplificazione delle pratiche amministrative e agevolazioni per i progetti realmente virtuosi. Le aziende coinvolte nell’analisi hanno messo al centro delle politiche di sviluppo anche “etica e trasparenza”, con un ri-orientamento dei comportamenti delle aziende e degli altri operatori del sistema verso gli aspetti valoriali che per decenni hanno reso forte l’economia locale. Etica e trasparenza, per gli imprenditori, vanno messi al centro relazioni tra le aziende, e tra aziende e gli altri soggetti del territorio in cui operano. Altro snodo fondamentale, le infrastrutture e le utility, per cui sono necessari forti investimenti per garantire servizi primari (trasporti, rete internet, energia) efficaci ed efficienti per le imprese, e a costi contenuti. Idee sono emerse anche in merito a marchi unici e “Made in Italy”: i primi, da costituire per contraddistinguere l’intera filiera del prodotto, in appoggio a marchi del Made in Italy più forti e riconosciuti all’estero per ottenere successo. Sulle certificazioni, le imprese friulane richiedono un’incentivazione del loro conseguimento e mantenimento, perché si traducano in veri strumenti di tutela per i beneficiari (e non per gli enti erogatori). Infine, piani di sviluppo “istituzionali”: dagli imprenditori è emersa chiaramente la necessità che il pubblico formuli una chiara visione strategica unitaria, con l’indicazione dei piani di sviluppo economico del territorio. 

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