La logica dell’ovile

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Margherita Reguitti

24 Marzo 2022
Reading Time: 3 minutes

Una favola nera

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Quando lo scrittore Gianni Spizzo ha vergato l’ultima parola, dell’ultima riga dell’ultima pagina del suo nuovo romanzo “La logica dell’ovile. Una favola nera” (Gossmann edizioni) non avrebbe potuto immaginare, dopo la pandemia globale, che l’Europa si sarebbe trovata, come si trova, in una guerra scatenata dalla Russia, benedetta da una parte della Chiesa Ortodossa, quale presunta reazione all’aggressione dell’Occidente.

Di follia e ossessioni che, se condivise da molti, diventano normalità, se ne intende assai l’imprevedibile romanziere con radici a Monfalcone, sempre in caccia di paradossali derive, sociali e personali, politicamente scorrette, assurdamente affamate di felicità raggiungibili “in paradisi per consumatori standard”.

Osservatore e narratore affascinato e affascinante di vite dell’uomo e della donna della porta accanto che, in apparenza “regolari”, celano risvolti da archetipo contemporaneo. Storie che lui con sguardo chirurgico, utilizzando il bisturi dell’ironia, il filo da sutura dell’umana comprensione e le bende della condivisione solidale, riesce a rendere “epiche nel racconto letterario”.

La narrazione di questo noir-rosa che ancora profuma di stampa si svolge in un presente distopico nella via della propria città di provincia, nella casa con giardino di un vicino, durante il primo e il secondo lockdown. Il protagonista è un sovranista bianco, pensionato, fan del terrorista norvegese Anders Breivik, ossessionato dell’essere informato su cosa accede nel mondo, tanto da svilire fino ai mini termini la sua vita, dimentico del gusto di “vivere”.

Spizzo prende in contropiede il lettore tenendolo saldamente legato alla storia, instaurando un dialogo fitto, fatto di ripetute domande e chiamate in causa per saper che ne pensa chi legge di un’idea o di un comportamento del suo eroe. La sua messa in scena della crudeltà, ignavia, indifferenza, curiosità pettegola e superficialità, abbinate alla mancanza di pensiero, coperta da un consumismo bulimico dei suoi personaggi, destabilizza e avvinghia il lettore. Il suo è l’eroe asociale, patologicamente ossessionato: “Dai rapporti di forze fra le etnie”. Convinto che: “L’Occidente sta per scomparire se non si cambierà passo” e che anche nella sua città di provincia imperversa: “La rassegnazione delle pecore in attesa del lupo mussulmano”.

È l’essere insignificante, che non si nota, che passa inosservato nel suo essere svuotato di ideali e forza interiore la vera deriva di questo occidente? Da lui ci si può aspettare di tutto?

L’ironia corre sul filo del rasoio di una comicità ora assurda ora cinica, condita da suspense e colpi di scena, sempre coerente e aderente alla profondità psicologica e alla fisicità dei suoi personaggi. Ma attento lettore non farti fuorviare da questo mondo: “Una nave senza comandante. Solo tanti nostromi a sbraitare sui ponti. A mostrare i muscoli. A darsele”.

Tanti i temi, forti e attuali di questo romanzo dalle sorprendenti svolte narrative: l’immigrazione che cambia il tessuto sociale anche della provincia con l’arrivo di etnie, culture e religioni diverse, la sacralità della vita, la potenza dell’amore, la reazioni alla prima pandemia mondiale della storia dell’umanità. Un mondo nel quale un virus sovverte sicurezze e diritti fino ad allora granitici: “La società della sicurezza si basa sulla paura, per ridurre i rischi devi continuamente evocarli, non si scappa”.

Vivere lasciandosi portare dalle svolte dell’esistenza, dagli incontri e dall’amore, è la rivolta salvifica di questo romanzo dal finale aperto facendo attenzione a “non sprecare il poco tempo che si ha a disposizione”.

Elegante e evocativa la copertina futurista-costruttivista e le scelte di graphic design di Roberto Duse.

 

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