Il manager del cinema

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Margherita Reguitti

23 Marzo 2022
Reading Time: 6 minutes

Federico Poillucci

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Negli ultimi vent’anni il cinema è stato attraversato da cambiamenti epocali, dalla pellicola al digitale con un ritorno, per pochi eletti, al triacetato di cellulosa. La pandemia Covid-19 ha fermato le produzioni e desertificato le platee. Molti estimatori della settima arte non hanno resistito agli ammalianti richiami di visione comoda, quando vuoi, dal divano di casa della distribuzione via internet di film e serie televisive.

Ma, sempre dall’inizio del terzo millennio, scenografi e produttori, hanno scoperto che il territorio del Belpaese valeva la pena di uscire dalla grande madre Roma e dai centri votati al ciak. L’Italia tutta è diventata, grazie al lavoro delle Film Commission, un grande set, e ora nei titoli di coda della quasi intera produzione patria e non solo leggiamo dove è stata girata e con il contributo di quali enti locali.

In Friuli Venezia Giulia, a cavallo fra il vecchio e nuovo secolo, Federico Poillucci ha fondato una delle prime film commission regionali, un’eccellenza nata nel 1999 che è diventata un modello per bellezza delle location, efficienza dei servizi offerti, alta professionalità delle maestranze ed economicità di costi.

Poillucci ne è stato presidente e motore fino al dicembre 2021, poi le dimissioni. Ripercorriamo con lui questa bella storia di crescita e conoscenza del mondo che sta attorno a “Ciak si gira!”.

Federico, come è iniziato tutto?

«Era la fine del 1999 e con Gianluca Novel e Guido Cassano, tutti poco più che ventenni, abbiamo deciso di iniziare questa avventura che in Italia aveva pochi precedenti: la creazione di una film commission regionale. Ne esistevano solo due, una delle quali a Genova, costituita da un mio conoscente. L’idea era nata negli Stati Uniti negli anni ’60, per arrivare in Europa trent’anni dopo in Francia e in Gran Bretagna».

Rispetto a Genova voi avete puntato però a creare un progetto regionale.

«L’idea di non limitarci al territorio comunale ci venne data dall’allora sindaco di Trieste, Riccardo Illy, che ci suggerì di contattare l’assessore al turismo regionale, Sergio Dressi, di area politica opposta alla sua. Fu l’imprinting politicamente trasversale che da sempre ci ha caratterizzato. L’idea di dare gambe e cervello a una società di impianto privato in un contesto pubblico si basava sulla bellezza, novità ed economicità delle location che avremmo proposto a produttori e registi cinematografici e televisivi. Il nostro territorio bellissimo offre una varietà di paesaggi, meno di 150 chilometri dalle Alpi Giulie al Golfo di Trieste e alle spiagge di Grado, di atmosfere, di contesti urbanistici dai borghi medievali all’archeologia industriale, e pluralità linguistiche, stratificazioni storiche e culturali senza eguali. Luoghi che potevano definirsi vergini, mai visti prima sugli schermi. Oltre a ciò da subito abbiamo puntato su servizi di alta professionalità a costi concorrenziali. Ecco perché il Friuli Venezia Giulia poteva diventare un set interessante per cinema e televisione».

Quanto conveniente era ed è girare in regione?

«All’inizio, rispetto ai poli come Roma, Venezia o Milano, girare da noi costava anche un quinto in meno. Oggi le cose sono cambiate ma l’aspetto economico resta interessante. Possiamo parlare di un terzo in meno sul budget di produzione, garantendo servizi che sono, a detta di chi ci sceglie, d’eccellenza».

Questi gli inizi, ma quando il salto di qualità?

«La patente di maturità l’abbiamo conquistata nel 2003 quando, primi in Italia, con la Regione abbiamo costituito un fondo di produzione. Siamo diventati quindi finanziatori, non solo fornitori di servizi, per la produzione di film che fino ad allora erano finanziati solo dal Ministero. È stato un boom di produzioni; siamo passati dalle 7 alle 20 in un anno. Un’attività in crescita che dal 2015 fino al 2019, alla pandemia che tutto ha fermato, ha fatto registrare ogni anno 45 produzioni».

Il film che ha più amato?

«“Tutto il mio folle amore” del 2018 di Gabriele Salvatores, un film che doveva essere girato negli Stati Uniti e che, grazie anche alla mia intuizione e determinazione, diventò un roadmovie friulano-balcanico. Un lavoro che rafforzò la mia amicizia con il maestro con il quale avevamo già collaborato con tre film: “Come Dio comanda” a Osoppo e Maniago e due capitoli del “Ragazzo invisibile” a Trieste, seguito nel 2021 da “Commedians”. Una grande soddisfazione collaborare e diventare amico del mio registra preferito sin da quando ero ragazzino, dai tempi di “Mediterraneo” e “Puerto Escondido”. Ci siamo conosciuti nel 2007 a Udine davanti a un frico e a un bicchiere di Friulano. L’inizio di una grande amicizia».

Il film che avrebbe voluto girare qui?

«Ovviamente più di uno, ma mi sarebbe piaciuto girare un film di Paolo Sorrentino. Ma non poniamo limiti alla provvidenza».

Il film sul quale ha cambiato opinione in fase di realizzazione?

«“La ragazza del lago” di Andrea Molaioli, girato fra Udine, Tarvisio e i laghi di Fusine, con Tony Servillo e Valeria Golino. Un grande successo che nel 2008 ricevette 10 David di Donatello».

Qual è il suo genere preferito?

«Amo il noir, e ne abbiamo avuti parecchi, ma anche il genere western, che però oggi non va».

Sergio Amidei, Franco Giraldi, Tullio Kezich, Matteo Oleotto, Mario Valdemarin, Giuseppe Battiston, Anita Kravos, Lelio Luttazzi: sono alcuni nomi del nostro cinema, chi aggiungerebbe?

«Sicuramente Ariella Reggio, una grande attrice e amica. L’ho vista recentemente sul set di “Diabolik” perché aveva appena finito di girare in un altro lavoro con Miriam Leone. Considero Matteo Oleotto un amico fraterno e un grande rapporto di amicizia mi lega a Giuseppe Battistion. Tanti film e tanti buoni bicchieri assieme. Anita Kravos è un’attrice che abbiamo lanciato noi».

Venti anni di successi: un solo momento difficile.

«Un episodio surreale nel 2012 quando si arrivò a parlare di sopprimerci per aver sostenuto il film di Marco Bellocchio “Bella addormentata”, sul caso di Eluana Englaro. Ne siamo usciti bene perché tutte le regole per il finanziamento erano stata rispettate e la politica contraria ha dovuto fare marcia indietro. Una vittoria a sostegno della trasversalità del nostro lavoro».

Imprenditore multitasking, promotore, diplomatico, esperto di logistica o suggeritore-consulente di registi e sceneggiatori: come le piace essere definito?

«Mi sento un imprenditore prestato al pubblico. Un burocrate creativo che prende spunto da una scintilla creativa appunto. Nella mia attività c’è tanta burocrazia, permessi, raccolta di documenti, contabilità, bilanci. Ma il tutto prende l’avvio dalla lettura di una sceneggiatura e dall’immaginarmela viva in questo territorio».

Il cinema non è solo attori e registi; è anche tante altre professionalità. In regione ci sono?

«Si sono create: all’inizio su 60 componenti di una troupe 7 erano locali. Oggi sono 30. Un numero che racconta meglio di tante parole la crescita non solo quantitativa ma anche di qualità e di ruolo. Oggi il territorio offre professionalità non solo di assistenti, ma di sceneggiatori, fonici, direttori di fotografia e bravi registi come Alberto Fasulo, Davide Del Degan e Laura Samani, per citarne alcuni».

Il cinema costa, cosa rimane sul territorio?

«Nel 2019, anno i cui dati sono attendibili prima della pandemia, a fronte di un investimento della Regione di un milione e settecentomila euro, sono stati spesi e documentati, fatture alla mano, più di 8 milioni di euro. Dunque un comparto industriale importante al quale aggiungere la formazione professionale che fa impresa nei servizi al cinema, dal noleggio di materiali alla postproduzione, al catering. Faccio un esempio: a Gorizia è nata Galaxia, una società di casting che è un’eccellenza italiana».

Quale sarà il futuro della sua creatura Film Commission?

«A questa domanda non so rispondere: certo il suo ingresso in PromoturismoFVG la renderà più solida anche se meno autonoma. Un rischio calcolato per una realtà che si colloca sul podio delle prime tre in Italia per qualità di servizi, originalità delle location, impegno finanziario e alta professionalità, assieme a Puglia e Piemonte».

Quali sono i suoi progetti che non ha fin qui svelato. Salvo dire che starà nei paraggi…

«Non lo so. Intanto mi prendo una pausa di qualche mese sabbatico, poi si vedrà. Il cinema è il mio mondo, la mia professione e la mia passione, non l’abbandono. Da freelance o con qualche altro ruolo, che oggi non riesco proprio a immaginare, resto un imprenditore creativo per il cinema».

 

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